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L'ordinamento professionale e le istanze di riforma
relazione di Luca PERILLI
ORGANIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA CIVILE E RUOLO DELL’AVVOCATURA Un impegno comune per la giustizia Roma 21 febbraio 2007



Il tema della riforma dell’ordinamento professionale degli avvocati è tanto attuale quanto controverso.
Vi è generale consapevolezza, innanzitutto all’interno dell’avvocatura, che il tempo è giunto di intervenire sulla legge professionale.
Controverso è invece quale direzione sia opportuno imboccare per la modernizzazione della professione forense.
L’agenda politica –e mi riferisco al tanto contestato “decreto Bersani” prima ed al disegno di legge delega del Ministro della Giustizia Mastella approvato dal Governo il 1° Dicembre scorso poi- dimostra di volere considerare la riforma delle professioni liberali quale tema unitario.
L’Avvocatura, invece, rivendica la peculiarità della professione forense in nome della tutela di interessi costituzionali garantiti dalla categoria, quali il diritto di libertà delle persone ed il diritto di difesa.
In termini assai schematici, si potrebbe dire che, nelle prospettive di riforma, si contrappongono istanze di liberalizzazione, che trovano fondamento in una supposta efficienza del libero mercato dei servizi legali, ad istanze, invece, di mantenimento se non di incremento della regolamentazione a tutela di interessi primari.

L’ottica mirata di questo incontro, volto a considerare le possibili ricadute dei progetti di riforma dell’ordinamento forense sull’organizzazione del processo civile non consente di approfondire i temi economici della riforma.
Chi parla è tuttavia convinto che, anche nella prospettiva dell’organizzazione del processo e dei rapporti tra Avvocatura e Magistratura, non sia possibile dimenticare il quadro di fondo, all’interno del quale noi giuristi, per primi, ci muoviamo costantemente e cioè quello dell’integrazione europea e della vigenza di regole sopranazionali di matrice spesso giurisprudenziale quando non direttamente promananti dal Legislatore europeo.

Ritengo, infatti, non contestabile che le modifiche già apportate alle professioni regolamentate[1] in generale ed quella forense in particolare, così come quelle allo studio della politica, trovino origine nel sistema comunitario.
E’ superfluo ricordare che in base all’articolo 14, paragrafo 2, del Trattato di Roma il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione dei servizi; che i servizi costituiscono il motore della crescita economica e rappresentano il 70% del prodotto interno lordo e dei posti di lavoro nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea[2]; che, nell’ambito dei servizi, le professioni liberali contribuiscono in misura significativa alla produzione di reddito nell’Unione Europea[3].
Mette conto poi osservare che, con il vertice di Lisbona del marzo 2000, il Consiglio dei Primi Ministri dell’UE, preso atto dell’importanza fondamentale che i servizi professionali rivestono nelle economie avanzate e del loro ruolo di rilievo anche per la crescita dell’occupazione in Europa, decise di fissare un agenda di lavori per rendere l’economia europea dei servizi sempre più competitiva per il raggiungimento dei fini del Trattato, e cioè “il miglioramento economico del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri”[4].

In tale contesto va ricordato come l’attività degli avvocati sia giunta ripetutamente all’attenzione della Corte di Giustizia della Comunità Europea ed abbia condotto la Corte ad affermare alcuni principi che hanno modificato radicalmente le regole sulla prestazioni dei servizi all’interno del mercato unico.
Mi riferisco non tanto a quelle sentenze, conosciute come Arduino[5] e Wouters[6]¸che guardano, con comprensibile disappunto dell’avvocato affezionato al suo ruolo di difensore di diritti, all’attività forense come attività d’impresa ai fini della normativa sulla concorrenza [7].
Guardo, piuttosto, alla ripetute pronunce della Corte di Giustizia che, attraverso contestazioni portate da avvocati di Stati Membri contro restrizioni all’esercizio della professione legale in diversi Stati Membri, hanno contribuito prima a rendere effettive, poi a disegnare ed infine a rifinire nei contorni le libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento (artt. 43 e 49 del Trattato) professionale (dai primissimi casi del 1974, Reyners[8] e Van Binsbergen[9], nei quali la Corte ha affermato l’applicabilità diretta delle norme del Trattato in materia di libertà di servizi e diritto di stabilimento, si passa attraverso i casi Thieffry[10], Gullung[11], Vlassopolou[12], Kraus[13] , Gebhard[14], con cui la Corte ha tracciato la differenza stessa tra servizi e stabilimento, fino alla recentissime sentenze Cipolla e Marcrino[15] e Wilson[16]).
Da tale Giurisprudenza emerge come l’avvocato sia, per sua immanente natura, dotato di mobilità e duttilità ma anche come, al contempo, abbia costantemente trovato, muovendosi nello spazio Europeo, imponenti barriere all’accesso ed all’esercizio della professione, barriere erette dagli ordini professionali, generalmente con l’accondiscendenza dello Stato[17].
E’ dunque opportuno osservare come:
Ø sia stata la giurisprudenza della Corte di Strasburgo a scardinare i limiti all’accesso della professione da parte di avvocati di diversi Stati Membri, aprendo così la strada ad una liberalizzazione nell’accesso, che ha poi trovato riconoscimento legale nel Decreto legislativo 2 Febbraio 2001 n. 96, attuativo della direttiva 98/5/CE, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, con l’apertura alle categorie dell’avvocato stabilito[18] e dell’avvocato integrato[19] oltre che con la disciplina delle società tra avvocati;
Ø sia la Corte di Giustizia, oggi, con la recentissima decisione nei casi Cipolla-Macrino, giustamente salutata da una parte dell’avvocatura come la conferma della compatibilità delle tariffe minime obbligatorie del sistema italiano alle regole del Trattato sulla concorrenza (artt. 10, 81 ed 82 del Trattato), a stabilire però che le tariffe minime inderogabili sono contrarie alla libertà di prestazione dei servizi[20];
Ø sia la Corte di Giustizia nel recentissimo caso Wilson a porre in discussione l’imparzialità ed effettività della giurisdizione domestica degli ordini professionali[21] ed a porre un problema di conflitto d’interessi[22] in seno agli stessi ordini degli avvocati, la cui struttura sia ispirata, come nel sistema italiano, al principio della stretta regolamentazione amministrata da un ente pubblico composto dagli stessi avvocati.

E’ ancora una volta, dunque, la Corte di Giustizia, nell’espletamento del suo ruolo di tutrice delle libertà del Trattato a spingere verso una liberalizzazione.

Non si tratta però, e qui vengo finalmente all’argomento del convegno, di una liberalizzazione senza paracadute.
La Corte di Giustizia e lo stesso Legislatore europeo, ancor più che il Governo italiano nel disegno di legge pendente relativo alla riforma delle professioni, hanno riconosciuto espressamente, negli ultimi anni, la peculiarità della professione di avvocato[23] in particolare e delle professioni liberali più in generale.
Nella sentenza Christian Adam in Urbing[24], la Corte ha espressamente definito le professioni liberali come:“attività che, tra l’altro, presentano un pronunciato carattere intellettuale, richiedono una qualificazione di livello elevato e sono normalmente assoggettate ad una rigorosa e precisa disciplina professionale. Nell’esercizio di un’attività del genere, l’elemento personale assume una rilevanza particolare e un siffatto esercizio presuppone, in ogni caso, una notevole autonomia nel compimento degli atti professionali”.
Anche la Direttiva 2005/36/Ce, relativa al riconoscimento della qualifiche professionali[25], ha definito le professioni liberali come: “Quelle praticate sulla base di pertinenti qualifiche professionali in modo personale, responsabile e professionalmente indipendente da parte di coloro che forniscono servizi intellettuali e di concetto nell’interesse dei clienti e del pubblico”.
Lo stesso ruolo degli Ordini è valorizzato dal cosiddetto Libro Bianco sulla Governance Europea[26], che prevede la “coregolamentazione” e cioè una positiva combinazione di “azioni vincolanti di ordine giuridico e normativo con azioni decise, in base alla loro conoscenza ed esperienze pratiche, dagli operatori maggiormente interessati”, tra i quali vanno evidentemente ricompresi anche gli Ordini.
Emerge, però, con altrettanta forza dalle sentenze e dalla normativa europea[27] che gli Stati Membri, nello stabilire, in procedure di co-regolamentazione con gli Ordini, limiti alle libertà di concorrenza o di libera prestazione dei servizi, possono farlo nell’ottica di tutela di motivi imperativi di interesse pubblico rappresentati dalla tutela dei consumatori e dalla buona amministrazione della Giustizia nell’ambito del principio generale di proporzionalità[28].

Applicando dunque i principi sopra richiamati al tema del convegno:

Ø il primo e più rilevante obbiettivo comune a Magistratura ed Avvocatura, nella prospettiva della riforma degli Ordini e nell’ottica dell’organizzazione del processo, è quello della tutela del cittadino-cliente consumatore, che incarna quell’interesse pubblico, a tutela del quale la giurisprudenza della Corte ed il diritto europeo[29] consentono l’apposizioni di limiti alle libertà del Trattato al fine di mantenere un equilibrio tra apertura dei mercati, servizi pubblici nonchè diritti sociali” ed individuali.[30]
Alla base della giurisprudenza e delle direttive citate vi è, invero, un concetto economico oramai acquisto nell’azione della Commissione europea[31] e cioè quello di asimmetria informativa[32].
La complessità ed il tecnicismo della materia giuridica precludono ai portatori dei diritti di orientarsi consapevolmente nella scelta del servizio legale.
Il cittadino-consumatore generalmente non è in grado di comprendere se, per una determinata questione coinvolgente aspetti giuridici, sia necessaria una tutela legale; quand’anche egli sia in grado di comprendere la necessità di un’assistenza legale, non è, poi, generalmente, in grado di orientarsi tra l’offerta di servizi legali verso quella che sia più adatta ed efficiente, in termini di qualità e di prezzo, per la risoluzione il problema.
Si deve soggiungere che un recente studio[33] del COMIUG[34] condotto a campione sui procedimenti civili del Tribunale di Bologna, oltre a mettere in luce che nell’ufficio bolognese, nel corso del 2005, sono stati ben 80.000 i cittadini ed enti coinvolti in 62.000 procedimenti civili di ogni natura (contenziosa e non), evidenzia come nei tribunali manchi “una relazione diretta e visibile tra cittadini e tribunale”. Lo studio giustifica questa assenza di relazione sulla base del fatto che “l’utenza è composta quasi esclusivamente dal corpo professionale degli avvocati e solo in seconda istanza e in via residuale dai cittadini, fruitori finali dei servizi offerti dal sistema della giustizia civile. La società, la comunità locale non è presente e non interagisce con la struttura dei tribunali se non marginalmente. Ne consegue che la “responsabilità sociale” se è avvertita lo è solo nei confronti del corpo degli Avvocati ovvero di una categoria peraltro omogenea culturalmente e professionalmente con la cultura e le prassi di azione degli attori dei tribunali civili e già pesantemente coinvolta nei sistemi di gestione delle attività ed erogazione dei servizi della giustizia”.
Nella prospettiva indicata, la collaborazione di giudici ed avvocati deve svolgersi, a parere di chi scrive, verso due direttrici.
Innanzitutto nella elaborazione comune di carte di servizi[35] a favore dei cittadini, nelle quali si descrivano in modo semplice e con linguaggio comprensibile e con pubblicazioni facilmente accessibili: le tipologie di procedimenti civili nei quali i cittadini possono essere coinvolti; i singoli procedimenti civili, contenziosi e non contenziosi, nei quali i cittadini debbano avvalersi del patrocinio di un difensore ovvero possano avvalersi dell’assistenza di un legale, essendo abilitati dalla legge ad attivarli ed esercitarli per conto proprio[36] ; le modalità –con elaborazione della relativa modulistica- attraverso le quali i cittadini possono accedere direttamente ai procedimenti non contenziosi.
Si tratta di una “mappatura” dei procedimenti civili che richiede necessariamente uno sforzo di collaborazione di tutti gli operatori: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
Accanto a ciò gli Ordini dovrebbero diventare essi stessi produttori di informazione per il cittadino-consumatore e garanti della qualità del servizio in favore del cittadino-consumatore.
Tale ruolo di garanzia è preteso, si ripete, dalla normativa europea[37] quando indica la tutela dell’interesse del consumatore, quale motivo imperativo di interesse pubblico.
L’assunzione di tale ruolo di garanzia avrebbe l’effetto per un verso di sopire le voci di coloro che vorrebbero addirittura l’abolizione degli Ordini, in nome dell’eliminazione delle situazioni di conflitto d’interessi dannose per i consumatori, per altro verso avrebbe l’effetto di depotenziare quella che, dopo il Decreto Bersani relativo alle tariffe, è avvertita dagli avvocati come un pericolo di concorrenza sleale od indecorosa, ovvero la vendita di informazioni legali a basso costo come se si trattasse di prodotti da supermercato.
A ciò si aggiunga il ruolo della pubblicità o comunicazioni commerciali, il cui divieto totale è stato abrogato dalla “Direttivi Servizi” (art. 24) e che verrebbe, in tale contesto, ad essere inteso come informazione sul servizio, la cui correttezza e rispondenza a canoni deontologici verrebbe così rimessa agli ordini professionali.
E’, infatti, principio fermo della Corte di Giustizia[38] e recepito dalla stessa “Direttiva Servizi”[39], quello per il quale compete alle organizzazioni professionali la fissazione di regole deontologiche a tutela correttezza del servizio, senza che ciò possa interferire con le libertà del Trattato.

Ø Un secondo profilo del ruolo degli Ordini, nella ricerca della qualità del servizio e che presenta rilevanti aspetti di comunanza tra Avvocatura e Magistratura riguarda la formazione e le specializzazioni. Non dedico particolare attenzione al profilo dell’accesso, perché, come ha affermato un avvocato in un recente convegno a Verona, 180.000 iscritti dimostrano che la categoria si è liberalizzata da sola. E’ peraltro evidente che, a fronte di tale massa di offerta di servizi legali, la battagli della qualità si gioca sul piano della formazione e delle specializzazioni. Altri interventi hanno messo oggi in luce come l’Avvocatura abbia già compreso il problema ed imboccato la strada della formazione permanente. Va, però, rimarcata l’importanza di una formazione comune a magistrati ed avvocati, che, partendo da una formazione comune universitaria e post-universitaria, dia alimento, da un lato, ad una cultura comune e sia, per un altro lato, rivolta al confronto sui problemi veri della giurisdizione. Sotto il profilo della specializzazione spetterà agli Ordini individuare i sistemi più idonei, ma possibilmente duttili, per la rilasciare le attestazioni di qualità e di specializzazione ai propri iscritti, senza ledere le libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi del Trattato. Si deve in ogni caso, rimarcare con forza che la sfida della specializzazione in funzione della qualità ed efficienza dell’organizzazione del servizio è necessaria e comune a magistrati ed avvocati e si interseca con l’annoso problema della riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie dei tribunali e delle corti d’appello.
Anche con riguardo a formazione e specializzazione, non pare possibile prescindere dalle sollecitazioni provenienti dall’Europa, ed in particolare dalla Direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali[40], che invita le associazioni professionali od organismi professionali all’elaborazione di “piattaforme comuni” europee per la formazione professionale, nell’ottica, che i magistrati italiani già stano sperimentando nelle attività di scambio in seno alla Rete di Formazione Giudiziaria Europea, della costruzione di una comune cultura giuridica europea.

Ø Un terzo aspetto che mi pare rilevante, con riferimento a riforma degli ordini ed organizzazione del processo civile, all’ombra dell’indicato chiaroscuro di liberalizzazione (o meglio self-regulation) e regolamentazione, è quello dello spazio che, almeno a livello di affermazione di principio, la riforma degli Ordini dovrebbe riservare alle libere aggregazioni associative, quali centri di elaborazione di regole sull’organizzazione giudiziaria, sul processo e, come si è detto al punto precedente, di formazione comune: siano esse associazioni tra avvocati e magistrati ed altri operatori di giustizia ovvero di singoli avvocati.
E’ un dato di fatto, sotto gli occhi di tutti –ed anche questo convegno ne è la riprova-, che le maggiori novità per l’ organizzazione del sistema giustizia e dello stesso processo civile provengono non da strutture regolamentate od istituzionali ma da libere associazioni, spesso spontanee e basate sul volontariato, come gli osservatori per la giustizia civile od altre entità associative. Si tratta di persone aggregate dal comune interesse per il buon funzionamento della Giustizia, che hanno prodotto risultati molto significativi per la soluzione dei problemi della giustizia civile e la soddisfazione dei legittimi interessi dei cittadini; tra questi risultati si deve ricordare che è stata accesa una luce sul problema dell’organizzazione degli uffici, che è diventato un tema ormai indefettibile nei dibattiti e negli studi sui mali della giustizia; non si possono, poi, non ricordare i protocolli per l’udienza civile, che sono forme di autoregolamentazione condivisa delle regole processuali in nome dell’efficienza e della cura degli interessi di tutti gli utenti della giustizia.

Ø Infine due ultime brevi considerazioni. La prima riguarda le società tra avvocati. La questione oggi sul tappeto riguarda prevalentemente il problema dell’ingresso dei capitali nelle società tra avvocati e quindi la competitività degli studi legali nel mercato dei servizi legali. Mi sembra che il tema abbia scarse interferenze con l’organizzazione. Quello che preme osservare è che, dal punto di vista organizzativo, le strutture societarie nelle quali si compia una ripartizione organizzata del lavoro, possono certamente favorire una partecipazione informata e quindi efficace dell’avvocato alle attività d’udienza civile, con un complessivo guadagno del processo in termini di efficienza.
Ø L’ultima nota è dedicata ai progetti di riforma della legge forense elaborati dalle diverse componenti dell’Avvocatura e circolati nelle ultime settimane. E’ frequente leggervi la previsione di un coinvolgimento di magistrati come componenti effettivi di commissioni d’esame od altri organismi dell’Avvocatura (per esempio commissioni per il rilascio di attestati di formazione o specializzazione). Sul punto va ricordato il monito inviato non molti giorni or sono dal Consiglio Superiore della Magistratura al Ministro della Giustizia, con il quale l’organo di autogoverno invitava il Ministro della Giustizia a considerare, in seno alla riforma della professione forense, che il ruolo della Magistratura deve svolgersi, anche e soprattutto per ragioni di efficienza del servizio, all’interno della giurisdizione e dovrebbe essere limitato, per attività estranee ad essa, ad un mero ruolo di garanzia.



Luca Perilli
Giudice del Tribunale di Rovereto




[1] Per attività professionale regolamentata, ai sensi delle direttive 89/48/Cee (Direttiva del Consiglio del 21 Dicembre 1988) e 92/51/Cee (Direttiva del Consiglio del 21 Giugno 1992), deve intendersi un’attività professionale, l’accesso alla quale o l’esercizio della quale in uno Stato membro sono subordinati, direttamente od indirettamente, mediante disposizioni legislative, regolamentari od amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali.

[2] Quarto considerando della Direttiva 12 Dicembre 2006 n. 2006/123/Ce.

[3] Vedi il discorso pronunciato da Mario MONTI, al tempo Commissario dell’Unione Europea alla Concorrenza, agli organi di autogoverno dell’Avvocatura (BundesAnwaltKammer) della Repubblica Federale Tedesca, a Berlino, nel Marzo 2003.


[4] Vedi il primo considerando della Direttiva 2006/123/Ce cit..

[5] Sentenza della Corte di Giustizia del 19 Febbraio 2002 in causa C-35/99.

[6] Sentenza della Corte di Giustizia del 19 Febbraio 2002 in causa C-309/99.

[7] Conclusioni dell’Avv.to Generale Philip Leger presentate il 10.07.2001 in causa C-35/99, procedimento penale C.Arduino - domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal pretore di Pinerolo, in, Il Corriere Giuridico 2001 n. 9 pag. 1142 e ss.: 46): ““Secondo la costante giurisprudenza questa Corte considera che nel contesto del diritto comunitario della concorrenza la nozione di impresa comprende “qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento”. Questa Corte ha altresì considerato che la nozione di “attività economica” si applica a qualsiasi attività che consiste nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato. In linea generale, un’attività presenta carattere economico quando può essere esercitata almeno di principio da un operatore privato a fini di lucro. 47) Nella specie, dagli atti risulta che gli avvocati che svolgono la loro attività in Italia offrono, in qualità di operatori indipendenti, servizi di consulenza giuridica nonché di rappresentanza dei loro clienti dinanzi alle autorità giudiziarie: pertanto gli avvocati italiani offrono servizi su di un determinato mercato, cioè quello dei servizi giuridici. Dagli atti risulta inoltre che glia avvocati italiani svolgono la loro attività a fini di lucro. 48) ....ciò considerato, la fornitura di servizi giuridici da parte degli avvocati italiani va considerata attività economica ai sensi dalla giurisprudenza della Corte. 49) Contrariamente a quanto sostenuto dal Governo italiano, questa conclusione non è inficiata dal fatto che l’avvocato sia tenuto al rispetto di regole deontologiche, né dal fatto che svolga attività connesse con l’amministrazione della giustizia (...). (50) Di conseguenza, l’avvocato che esercita la sua attività in Italia va considerato impresa ai sensi del diritto comunitario della concorrenza””.

[8] Sentenza della Corte di Giustizia del 21 Giugno 1074 in causa C-2/74.

[9] Sentenza della Corte di Giustizia del 3 Dicembre 1974 in causa C-33/74.

[10] Sentenza della Corte di Giustizia del 28 Aprile 1977 in causa C-71/76.

[11] Sentenza della Corte di Giustizia del 19 Gennaio 1988 in causa C-292/86.

[12] Sentenza della Corte di Giustizia del 7 Maggio 1991 in causa C-340/89.

[13] Sentenza della Corte di Giustizia del 31 Marzo 1993 in causa C-19/92.

[14] Sentenza del la Corte di Giustizia del 30 Novembre 1995 in causa C-55/94.

[15] Cipolla c.Portolese; Macrino e altro c. Meloni, sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, grande sezione, del 5 Dicembre 2006, nella cause riunite C-94/04 e C-202/04.

[16] Wilson c. Ordre des avocats du barreau de Luxembourg, sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea, grande sezione, del 19 Settembre 2006 in causa C-506/04.

[17] I passi concreti intrapresi dalla Commissione Europea sul terreno delle liberalizzazioni si fondano sullo studio realizzato, su incarico della Commissione della stessa Commissione, dall’Institute for Advanced Studies in Vienna (IHS), PATERSON, I., FINK, M., OGUS A., “Economic impact of regulation in the field of liberal professions in different member States – Regulation of Professional services”, nel quale si mette in luce come l’Italia appartenga al gruppo dei paesi Europei nei quali le professioni intellettuali risultano maggiormente regolamentate. Lo studio mette anche in evidenza come nei paesi con basso livello di regolamentazione, i redditi medi del singolo professionista sono relativamente più bassi, ma un proporzionalmente maggiore numero di professionisti praticanti la professione genera un turnover relativamente più alto e contribuisce all’aumento della ricchezza generale.

[18] Per avvocato stabilito (art. 2): si intende il cittadino di uno Stato membro che esercita stabilmente in Italia la professione di avvocato avvalendosi del titolo professionale conseguito nel paese d’origine e come tale risulta iscritto in un’apposita sezione dell’albo degli avvocati.

[19] Avvocato integrato: è il cittadino di uno stato membro che, pur avendo conseguito il titolo professionale nello Stato membro di origine, è autorizzato ad esercitare la professione in Italia avvalendosi del titolo di Avvocato Tale autorizzazione è rilasciata all’avvocato stabilito che per almeno tre anni abbia svolto in Italia, in modo effettivo e regolare, con il titolo professionale d’origine, l’attività professionale relativamente al diritto italiano, ivi compreso il diritto comunitario.

[20] Cipolla e Macrino cit., il cui dispositivo, al numero 2, dice testualmente quanto segue: “Una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense, come quella di cui trattasi nella causa principale, per prestazioni che sono al tempo stesso di natura giudiziale e riservate agli avvocati costituisce una restrizione della libera prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE”.

[21] Si riportano alcuni passaggi del motivazione: “47. Ai fini dell’effettiva tutela giurisdizionale dei diritti previsti dalla direttiva 98/5, l’organo chiamato a decidere i ricorsi contro le decisioni di diniego dell’iscrizione di cui all’art. 3 di tale direttiva deve corrispondere alla nozione di giudice come definita dal diritto comunitario. (…) 56- Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle conclusioni, le decisioni di diniego dell’iscrizione di un avvocato europeo adottate dal conseil de l’ordre – i cui membri, a norma dell’art. 16 della legge 10 agosto 1991, sono avvocati iscritti nell’elenco I dell’albo degli avvocati – in primo grado sono soggette al controllo di un organo composto esclusivamente di avvocati iscritti nello stesso elenco e, in appello, di un organo prevalentemente composto di tali avvocati. (…) 58. Le disposizioni che disciplinano la composizione di organi come quelle in esame nella causa principale non risultano quindi idonee a fornire un’adeguata garanzia di imparzialità. 59 Contrariamente a quanto afferma l’ordre des avocats du barreau de Luxembourg, i timori suscitati da tali norme in materia di composizione non possono essere fugati dalla possibilità di esperire un ricorso in cassazione, prevista dall’art. 29, n. 1, della legge 10 agosto 1991, avverso le sentenze del Conseil disciplinaire et administratif d’appel”.

[22] Si riporta di seguito un altro passaggio della motivazione: “Pertanto, in tali condizioni, un avvocato europeo cui il conseil de l’ordre abbia negato l’iscrizione nell’elenco IV dell’albo degli avvocati ha legittimi motivi di temere che, a seconda dei casi, la totalità o la maggior parte dei membri di tali organi abbiano un comune interesse contrario al suo, ossia quello di confermare una decisione che esclude dal mercato un concorrente che ha acquisito la sua qualifica professionale in un altro Stato membro, nonché di paventare il venir meno dell’equidistanza dagli interessi in causa (v., in questo senso, Corte Eur. D.U., sentenza Langborger c. Svezia del 22 giugno 1989, serie A, n. 155, § 35)”.

[23] Vedi conclusioni dell’Avv.to Generale Philip Leger presentate il 10.07.2001 in causa C35/99, procedimento penale C.Arduino - domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal pretore di Pinerolo, in Il Corriere Giuridico 2001 n. 9 pag. 1142 e ss.: Per quanto riguarda l’obiettivo evocato dalla parte civile, si deve sottolineare che la qualità dei servizi forniti dalle professioni liberali rivesta un’importanza cruciale a vari titoli. Innanzitutto, le professioni liberali assicurano servizi che toccano aspetti essenziali della società come la salute pubblica (le professioni mediche), la giustizia (la professione di avvocato) o la sicurezza pubblica e l’urbanistica (la professione di architetto). Questi diversi servizi possono pertanto avere ripercussioni dirette ed immediate su aspetti fondamentali della vita dei cittadini come la loro integrità fisica. In secondo luogo, da un punto di vista economico, i servizi forniti dalle professioni liberali non producono soltanto effetti nei confronti dei loro destinatari come sottolineato dall’Avvocato Generale Jacobs, essi producono pure “effetti esterni”, che consistono in perdite o benefici per l’insieme della società. La domanda di prestazioni professionali “è spesso di tipo derivato, il che significa che il loro risultato (il parere di un avvocato, il progetto di un architetto) costituisce un bene intermedio di una più lunga catene produttiva. La qualità di tali servizi costituisce pertanto (....) uno dei fattori decisivi in molti settori dell’economia di un Paese”. Infine, i mercati dei servizi professionali sono caratterizzati da un “informazione asimmetrica” nella misura in cui il consumatore è raramente in grado di valutare la qualità dei servizi offerti, è indispensabile prevedere talune regole destinate a mantenere la qualità di tali servizi”. Dalle considerazioni di cui sopra consegue che il mantenimento di un livello elevato di qualità per i servizi forniti dalla professione di avvocato costituirebbe innegabilmente un obiettivo legittimo di interesse generale.

[24] Sentenza del 11 Ottobre 2001 in causa C-267/99.

[25] Direttiva 2005/36/CE cit.

[26] COM (2001) 428 def. p. 22.

[27] Considerando n. 40 della Direttiva 2006/123/ce cit.

[28] Sentenza Cipolla-Macrino cit, par. 64. “ A tal riguardo si deve osservare che la tutela, da un lato, dei consumatori, in particolare dei destinatari dei servizi giudiziali forniti da professionisti operanti nel settore della giustizia e, dall’altro, della buona amministrazione della giustizia sono obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 1996, causa C‑3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I‑6511, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21 settembre 1999, causa C‑124/97, Läärä e a., Racc. pag. I‑6067, punto 33), alla duplice condizione che il provvedimento nazionale di cui si discute nella causa principale sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo medesimo”.

[29] Il considerando numero 40 della “Direttiva Servizi” 2006/123/CE, indica espressamente tra “i motivi imperativi di interesse generale” che possono giustificare restrizioni alla liberalizzazione dei servizi, prevista dal Trattato, quella della “Tutela del consumatore”.

[30] Quarto considerando della “Direttiva Servizi” 2006/123/CE.

[31] Vedi il discorso pronunciato da Mario MONTI, al tempo Commissario dell’Unione Europea alla Concorrenza, agli organi di autogoverno dell’Avvocatura (BundesAnwaltKammer) della Repubblica Federale Tedesca, a Berlino, nel Marzo 2003.

[32] Per le origini e lo sviluppo economico della teoria dell’asimmetria informativa quale ostacolo a pieno sviluppo del mercato vedi G.A. AKERLOF ““The market for lemon: qualità uncertainty and the market mechanism”, in The Qaurterly Journal of EconomicsI, vol. 84. A. AKERLOF è stato insignito del premio Nobel per l’economia nel 2001, insieme a M. SPENCE e J.STGLITZ.

[33] Luigi LOMBARDO, Giovanni XILO, Cittadini e tribunale. Il rapporto diretto fra cittadini e tribunali: una prima analisi quantitativa e descrittiva presso il tribunale civile di Bologna.

[34] COMIUG Centro per l’Organizzazione, il Management e l’informatizzazione degli uffici giudiziari.

[35] Un esempio significativo, con riferimento al settore penale ed in particolare della procura della Procura della repubblica, è rappresentato dalla carta dei servizi elaborata dalla Procura di Bolzano nel 2005.

[36] Nel rapporto sopra citato del COMIUG, Cittadini e tribunale. Il rapporto diretto fra cittadini e tribunali: una prima analisi quantitativa e descrittiva presso il tribunale civile di Bologna, si evidenziano delle statistiche per le quali i procedimenti civili del Tribunale di Bologna svolti con la necessaria assistenza del difensore sono stati nel 2005 circa 20.000 a fronte di un dato complessivo di 62.000 procedimenti. Nello steso rapporto si evidenzia anche che il dato non mette in luce quei procedimenti nei quali gli avvocati si siano limitati ad assistere e non a rappresentare il cliente..

[37] I considerando nn. 46, 50 e 51 della “Direttiva Servizi” cit. pongono il diritto all’informazione come uno dei principali obbiettivi dello strumento normativo.

[38] Sentenza Wouters cit.

[39] Il considerando 114 stabilisce che: “Gli stati membri dovrebbero incoraggiare l’elaborazione di codici di condotta a livello comunitario, specialmente da parte di ordini, organismi o associazioni professionali. Tali codici di condotta dovrebbero includere, a seconda della natura specifica di ogni professione, norme per le comunicazioni commerciali relative alle professioni regolamentate e norme deontologiche delle professioni regolamentate intese a garantire l’indipendenza, l’imparzialità ed il segreto professionale”.

[40] Art. 15 della Direttiva 2005/36 Ce cit..

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