Trattamenti sanitari nei confronti di soggetti deboli
Il fenomeno dei trattamenti sanitari nei confronti di soggetti deboli è di grande attualità, involgendo delicate problematiche che riguardano un fascio di valori fondamentali dotati di rango costituzionale quali l'autodeterminazione, la tutela della dignità umana, della vita e della salute che spesso vengono tra loro in contrasto al pari delle costante contrapposizione fra ideologia individualista ed istanze solidaristiche.
Il giudice chiamato a dare soluzione alle controversie in cui è in gioco la salute di un soggetto debole si trova così chiamato, non per sua scelta, ad operazioni di scomposizione e ricomposizione dei valori, dei princìpi e delle leggi vigenti - non soltanto nazionali ma sempre di più arricchite da strumenti normativi sovranazionali- che rischiano di apparire frutto di personalismi e di scelte soggettive piuttosto che di distaccata opera di attuazione di una precisa disposizione normativa.
Il provvedimento reso dal tribunale di Palermo affronta il tema all'interno di un procedimento volto alla nomina di un amministratore di sostegno.
TRIBUNALE DI PALERMO
UFFICIO DEL GIUDICE TUTELARE
Il Dott.R.Conti
Ha emesso il seguente
DECRETO
NEL PROC.N.1333/2010
Letti gli atti e sciogliendo la riserva adottata all’udienza del 30.11.2009 e viste le conclusioni del P.M. rese il giorno 30.4.2010
OSSERVA
Con ricorso depositato il …Xxxx Xxxx n….. e Xxxx Xxxxxx n…., rispettivamente padre e fratello di Xxxx Xxxxxx n….chiedevano la nomina di un amministratore di sostegno a protezione della loro congiunta rilevando che la stessa, affetta da schizofrenia paranoie cronicizzata con severa configurazione in camarbilità di anoressia mentale, causativo di un quadro psicopatologico caratterizzato da turbe comportamentali a carattere regressivo, dispercezioni uditive di tipo allucinatorio, dispercezioni atipiche, disturbi dal contenuto del pensiero a carattere interpretativo persecutorio scarsamente strutturati e non derivabili e turbe del comportamento alimentari non era in grado di rendere il consenso al trattamento sanitario correlato alla patologia sospetta di lesioni metastatiche linfonodali concomitanti, individuata per effetto di esami svolti in data 8.4.2010 durante un ricovero in TSO in occasione del quale erano stati eseguiti varie indagini cliniche.Segnalavano, ancora, l’estrema urgenza di provvedere nel senso auspicato anche in relazione al fatto che la madre della beneficiando era deceduta a causa di una patologia tumorale analoga a quella riscontrata a carico della Xxxx ad appena tre mesi dalla diagnosi.
Questo G.T. disponeva l’audizione dei ricorrenti e della beneficianda.
I primi confermavano il contenuto del ricorso chiarendo che era urgente eseguire l’intervento-audizione Xxxx:il tumore cammina e non aspetta noi-evidenziando peraltro che la propria congiunta aveva abitudini alimentari assai particolari, mangiando quotidianamente sempre e solo due uova fritte ed una scatoletta di fagioli e pure soggiungendo che avendo rifiutato nell’ultimo periodo di assumere la terapia in relazione alla malattia mentale dalla quale era affetta, la beneficianda era stata sottoposta a TSO, in occasione del quale era emersa la grave patologia tumorale.
La beneficianda, dal canto suo, riferiva di non avere mai lavorato e di stare bene in salute, poi soggiungendo di avere recentemente appreso in ospedale di avere un osso al seno, precisando di non voler eseguire l’intervento in quanto non lo riteneva in alcun modo necessario. E poi aggiungendo:”da questo osso ingrossato non può succedere niente”.
Il procedimento, all’udienza del 28.4.2010 veniva posto in riserva con il parare del P.M. favorevole alla nomina di un amministratore di sostegno reso in data 30.4.2010.
Ciò posto, occorre anzitutto rilevare che l’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato ideato dal legislatore del 2004 al fine di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, prevedendo per esse un sostegno temporaneo o permanente. I destinatari di siffatta tutela sono stati pertanto individuati all’art. 404 del codice civile in quei soggetti che, per una «infermità o una menomazione fisica o psichica», siano impossibilitati a tutelare i propri interessi.
Deve ancora osservarsi, proprio con riferimento alle questioni rilevanti ai fini del presente procedimento, che secondo la giurisprudenza di merito-Trib.Modena,15 settembre 2004- secondo la normativa vigente il “sostegno” normativo della “cura” della persona (e degli “interessi” di essa) non si limita alla sfera economico-patrimoniale, ma tiene conto dei bisogni e delle aspirazioni dell’essere umano ricomprendendo ogni attività della vita civile giuridicamente significativa.
In particolare, il Tribunale di Roma ha ritenuto che ricorrono i presupposti affinché la decisione in merito al consenso al trattamento sanitario venga rimessa all'amministratore di sostegno quando l'interessata non abbia la capacità naturale necessaria ad esprimere un consenso od un rifiuto consapevoli in relazione al trattamento chirurgico prospettato dai sanitari, nè vi è la probabilità che l'interessata riacquisti in tempi brevi la capacità d'intendere e di volere idonea a consentirle una decisione consapevole, mentre d'altro canto l'intervento sanitario è manifestamente necessario ed urgente(Trib. Roma, 22.12.2004, GM, 2005, 11 2344).
Orbene, reputa questo giudice evidente l’esistenza dei presupposti legittimanti l’adozione della misura di protezione richiesta dagli stretti congiunti di Xxxxxx Xxxx in favore della stessa .
Ed invero, il grave deficit mentale che purtroppo subisce la beneficianda –schizofrenia paranoie cronicizzata- risulta per tabulas dalle certificazioni rilasciate dal Centro salute mentale n.3 presso l’ASP 6 di Palermo in data 14.4.2010, dalla casa di cura Villa Margherita s.r.l.-rep.Neuropsichiatria- in data 30.1.2003 ed in data 28.1.2002 e dal verbale di visita collegiale reso dalla commissione medica per l’accertamento dell’invalidità che in data 24.3.2003 ha riconosciuto a carico della Xxxx schizofrenia paranoie a decorso cronico.
I sanitari che hanno da ultimo avuto in cura la beneficianda per i problemi psichici hanno attestato che la paziente presenta per la natura stessa della patologia, gravissimi segni di chiusura relazionale con caratteristica tendenza al mutismo.
La stessa beneficianda, in occasione di un ricovero in TSO, è stata sottoposta a test clinici dai quali è emersa la presenza di una neoformazione al seno solida ad ecostruttura disomogenea con calcificazioni alla quale si aggiungono, in sede ascellare, multipli linfonodi, alcuni di aspetto colliquato-v.certificazione Ospedale Ingrassia rep.Radiologia dell’8.4.2010-.
Sulla base degli elementi non solo documentali raccolti nel corso del presente procedimento e proprio del contegno palesato dalla beneficianda nel corso dell’audizione devesi inferire che la patologia psichica dalla quale è affetta la beneficianda, incidendo fortemente sulla sua capacità di intendere e di volere, non consente di ritenere validamente prestato l’eventuale consenso o dissenso a sottoporsi al trattamento medico-chirurgico che i sanitari della clinica … ritengono invece necessario –v.certificazione dott.xxx del 16.4.2010, agli atti-.
Ed infatti le diagnosi e relazioni dei sanitari in cura la Xxxx, le dichiarazioni rese dagli stretti congiunti e dalla Xxxx e la stessa sottoposizione della predetta a recente TSO non sembrano lasciare dubbi sul fatto che la suddetta non sarebbe in grado di curare autonomamente i propri interessi e, conseguentemente, deve escludersi che possa valutare, con la consapevolezza e la maturità che occorre, i rischi connessi all’intervento chirurgico che i sanitari della Clinica xxxx - Dipartimento Oncologico- intenderebbero eseguire per poi eventualmente praticare una terapia chemioterapia all’esito dell’esame istologico.Proprio la sottovalutazione delle conseguenze della malattia espressa dalla beneficianda lasciano intendere l’inidoneità della stessa a comprendere la portata ed i rischi della malattia, non consentendole nemmeno di percepire l’utilità del trattamento clinico prospettato dai sanitari.
In conclusione, gli elementi raccolti appaiono come indici rivelatori della necessità di riconoscere alla Xxxx una misura di protezione, che si individua poter essere quella dell’amministrazione di sostegno.
Dovendo la figura dell’amministratore essere scelta tra le persone più vicine alla beneficiaria, valutando l’idoneità di ciascuno dei soggetti indicati all’art. 408 c.c. allo svolgimento dell’incarico, va senz’altro individuata la persona del padre della beneficiaria con la quale la predetta convive.
Passando ai poteri che vanno conferiti all’amministratore, il tema principale- anche se non unico- posto all’attenzione del giudicante è quello, delicato, dell’attività terapeutica da eseguire su persona che si trova in condizioni di incapacità di intendere e volere.
Ormai sedimentato a livello interno è il principio del consenso informato. -cfr.Cass.n.21748/07: “…Il principio del consenso informato – il quale esprime una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del paziente e sulla sua libertà di autodeterminazione terapeutica che sui doveri del medico – ha un sicuro fondamento nelle norme della Costituzione: nell’art. 2, che tutela e promuove i diritti fondamentali della persona umana, della sua identità e dignità; nell’art. 13, che proclama l’inviolabilità della libertà personale, nella quale “è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” (Corte cost., sentenza n. 471 del 1990); e nell’art. 32, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo, oltre che come interesse della collettività, e prevede la possibilità di trattamenti sanitari obbligatori, ma li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana e ulteriormente specificata con l’esigenza che si prevedano ad opera del legislatore tutte le cautele preventive possibili, atte ad evitare il rischio di complicanze”-.
Anche l’art.5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145, prevede che «un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato».
Quanto al principio dell’autodeterminazione, si riscontrano una pluralità di fonti normative – interne e sovranazionali- e deontologiche rivolte a disciplinare il principio del consenso al trattamento.
Per quel che riguarda le prime, è noto che nel nostro ordinamento campeggia il principio dell’autodeterminazione che trova la sua genesi nel combinato disposto degli artt.2,13,32 della Costituzione
Lo stesso principio trova peraltro conferma, a livello di normativa ordinaria, negli artt.33 l.n.833/1978, a tenore del quale le cure sono di norma volontarie e nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se ciò non è previsto da una legge e nell’art.6 della l.n.40/2004, oltre che nell’art. 3 della legge 21 ottobre 2005 n. 219.
E’ poi noto che l’art.32 2^ comma Cost. a stabilire che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
La sintesi migliore circa i contenuti del principio dell’autodeterminazione è contenuta in Corte cost.n.438/2008, ove si è chiarito che “…se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione.”
Quest’ultimo principio è stato recentemente ribadito dal Tar Lombardia-sez.Milano- 26 gennaio 2009 n.214, secondo il quale “…Il diritto costituzionale di rifiutare le cure, come descritto dalla Suprema Corte, è un diritto di libertà assoluto, il cui dovere di rispetto si impone erga omnes, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, non importa se operante all’interno di una struttura sanitaria pubblica o privata.
La manifestazione di tale consapevole rifiuto rende quindi doverosa la sospensione di mezzi terapeutici il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda con il metodo dei valori e la visione di vita dignitosa che è propria del soggetto.Qualora l’ammalato decida di rifiutare le cure (ove incapace, tramite rappresentante legale debitamente autorizzato dal Giudice Tutelare), tale ultima manifestazione di rifiuto farebbe immediatamente venire meno il titolo giuridico di legittimazione del trattamento sanitario (ovvero il consenso informato), costituente imprescindibile presupposto di liceità del trattamento sanitario medesimo, venendo a sorgere l’obbligo giuridico (prima ancora che professionale o deontologico) del medico di interrompere la somministrazione di messi terapeutici indesiderati.”
E parimenti l’art.3 della Carta di Nizza -che a partire dall’1 dicembre 2009 ha assunto carattere giuridico vincolante in forza dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona- a prevedere che «ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica» e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, «il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge».
Anche l’art.8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani viene indicato come parametro normativo rivolto a tutelare il principio dell’autodeterminazione, se solo esso viene collegato alla giurisprudenza che quotidianamente ne vivifica e qualifica il contenuto, bastando all’uopo ricordare i precedenti della Corte europea dei diritti umani nei quali tale principio è stato espresso.
Fu, infatti, dapprima Corte dir.uomo 29 aprile 2002, Pretty c.Regno Unito, a precisare che “…In the sphere of medical treatment, the refusal to accept a particular treatment might, inevitably, lead to a fatal outcome, yet the imposition of medical treatment, without the consent of a mentally competent adult patient, would interfere with a person's physical integrity in a manner capable of engaging the rights protected under Article 8 § 1 of the Convention”, pure aggiungendo che “…As stated by Lord Hope, the way she chooses to pass the closing moments of her life is part of the act of living, and she has a right to ask that this too must be respected”.
Analogamente, l’esistenza di un diritto fondamentale della persona all’autodeterminazione rispetto ai trattamenti sanitari incidenti sulla persona è stato ribadito da Corte dir.uomo, 20 marzo 2007, Tysia c.Polonia(r.5410/03) ove si è chiarito che <<… “private life” is a broad term, encompassing, inter alia, aspects of an individual's physical and social identity including the right to personal autonomy, personal development and to establish and develop relationships with other human beings and the outside world…. Furthermore, while the Convention does not guarantee as such a right to any specific level of medical care, the Court has previously held that private life includes a person's physical and psychological integrity and that the State is also under a positive obligation to secure to its citizens their right to effective respect for this integrity.>>
E’ poi sufficiente rammentare che il codice deontologico medico stabilisce che il consenso al trattamento medico da eseguirsi su persone incapaci deve essere espresso dal rappresentante legale, pur incombendo sul medico l’obbligo di dare informazioni all’infermo maggiore di età –per quel che qui rileva- e di tenere conto della sua volontà, compatibilmente con la capacità di comprensione e fermo restando il rispetto dei diritti del legale rappresentante-artt.33 e 34 c.deontologico-. Occorre poi precisare che nel codice di deontologia medica emerge come la volontà di rifiuto alle cure della persona incapace non sia vincolante per i sanitari, se è vero che nell’art.35 si chiarisce che «in presenza di documentato rifiuto di persona capace», il medico deve «in ogni caso» «desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona».
Per quel che invece riguarda lo specifico tema della capacità di esprimere il consenso di persone incapaci, a livello normativo interno merita di essere menzionato l’art. 4 del d.lgs. 24 giugno 2003, n. 211 (Attuazione della direttiva 2001/20/CE relativa all’applicazione della buona pratica clinica nell’esecuzione delle sperimentazioni cliniche di medicinali per uso clinico), ove si chiarisce che la sperimentazione clinica degli adulti incapaci che non hanno dato o non hanno rifiutato il loro consenso informato prima che insorgesse l’incapacità è possibile a condizione, tra l’altro, che «sia stato ottenuto il consenso informato del legale rappresentante».Tale consenso «deve rappresentare la presunta volontà del soggetto».-v. anche art. 13 legge 22 maggio 1978, n. 194in tema di interruzione volontaria della gravidanza-.
Inoltre, rileva in particolare l’art.6 della Convenzione di Oviedo- trattato internazionale reso esecutivo con la legge 28 marzo 2001, n. 145, privo di efficacia giuridica vincolante in ragione del mancato deposito dello strumento di ratifica ma dotato, nondimeno, di “una funzione ausiliaria sul piano interpretativo” dovendo “…essere utilizzato nell’interpretazione di norme interne al fine di dare a queste una lettura il più possibile ad esso conforme”(cfr.Cass.16 ottobre 2007 n.21748)-che, all’art. 6 che, sotto la rubrica “protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso” prevede specifiche disposizioni di seguito riportate:
«1. Sotto riserva degli articoli 17 e 20, un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio della stessa.
….3. Allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione».
Assume parimenti valore il rapporto esplicativo alla Convenzione, rilevante ai fini dell’individuazione degli scopi della Convenzione medesima -in http://conventions.coe.int/treaty/EN/Reports/Html/164.htm- ove tra l’altro si chiarisce la necessità di inserire la persona incapace all’interno della procedura volte al rilascio del consenso che dovrà comunque essere gestita dal legale rappresentante- v., sub art.6, p.41/46: “…41. Some individuals may not be able to give full and valid consent to an intervention due to either their age (minors) or their mental incapacity. It is therefore necessary to specify the conditions under which an intervention may be carried out on these people in order to ensure their protection.42. The incapacity to consent referred to in this article must be understood in the context of a given intervention. However, account has been taken of the diversity of legal systems in Europe: in some countries the patient's capacity to consent must be verified for each intervention taken individually, while in others the system is based on the institution of legal incapacitation, whereby a person may be declared incapable of consenting to one or several types of act. Since the purpose of the Convention is not to introduce a single system for the whole of Europe but to protect persons who are not able to give their consent, the reference in the text to domestic law seems necessary: it is for domestic law in each country to determine, in its own way, whether or not persons are capable of consenting to an intervention and taking account of the need to deprive persons of their capacity for autonomy only where it is necessary in their best interests.43. However, in order to protect the fundamental rights of the human being, and in particular to avoid the application of discriminatory criteria, paragraph 3 lists the reasons why an adult may be considered incapable of consenting under domestic law, namely a mental disability, a disease or similar reasons. The term "similar reasons" refers to such situations as accidents or states of coma, for example, where the patient is unable to formulate his or her wishes or to communicate them (see also paragraph 57 below on emergency situations). If adults have been declared incapable but at a certain time do not suffer from a reduced mental capacity (for example because their illness improves favourably), they must, according to Article 5, themselves consent.44. Whenever a person is acknowledged to be incapable of giving consent, the Convention establishes the principle of protection whereby, according to paragraph 1, the intervention must be for the direct benefit of the person. Deviation from this rule is possible in only two cases, covered by Articles 17 and 20 of the Convention, on medical research and the removal of regenerative tissue respectively.…46. Furthermore, the participation of adults not able to consent in decisions must not be totally ruled out. This idea is reflected in the obligation to involve the adult in the authorisation procedure whenever possible. Thus, it will be necessary to explain to them the significance and circumstances of the intervention and then obtain their opinion”.
E’ poi la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, varata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata in Italia con la legge 3 marzo 2009 n. 18 a riconoscere espressamente (lett. n del preambolo) “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte”, pure precisando(art.12) che “Gli Stati devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario”.
Anche secondo tale strumento normativo sovranazionale, pienamente vincolante per l’Italia, viene offerta particolare protezione alla volontà dell’incapace, ad ulteriore conferma del quadro normativo espresso dalla ricordata Convenzione di Oviedo, ove la possibilità di eseguire interventi terapeutici sul paziente incapace viene sì riconosciuta attraverso l’intervento del legale rappresentante, ma pur sempre prevedendo che l’incapace venga inserito nella procedura di autorizzazione.
In prospettiva de iure condendo la volontà del soggetto incapace o interdetto viene poi presa in considerazione dal d.d.l. n.10 presentato nel corso della XVI legislatura ove espressamente si prevede, all’art.7 4^ comma che “ Il consenso al trattamento sanitario del soggetto maggiore di eta`, interdetto o inabilitato, legalmente rappresentato o assistito, ai sensi di quanto disposto dal codice civile, e` espresso dallo stesso interessato unitamente al tutore o curatore.”
Volendo dunque riassumere i principi fondamentali desumibili dal composito quadro normativo e deontologico appena ricordato, v’è da dire che in materia di trattamenti sanitari di soggetti incapaci di rendere un valido consenso emergono in modo netto due esigenze fondamentali, l’una prevalentemente orientata a garantire alla persona incapace la possibilità di ottenere i benefici del trattamento medico in modo da impedire che lo stato di incapacità si risolva in un limite alla prestazione della cura.L’altra è quella che individua nella volontà manifestata dal soggetto incapace un elemento comunque necessario ai fini della prestazione del consenso al trattamento sanitario da parte del legale rappresentante, trovando essa considerazione ai fini della decisione finale, in una prospettiva rivolta a riconoscere anche a tale soggetto il principio dell’autodeterminazione e, dunque, a non subire cure che non si intendono ricevere.
In definitiva, il composito quadro dei principi –nazionali e sovranazionali- sopra ricordati necessita, ora, di essere armonizzato dal giudice ogni volta che questi è chiamato a decidere una controversia nella quale entrano in gioco principi normativi di origine nazionale e sovrastatuale.
Siffatta armonizzazione va dunque operata secondo i canoni recentemente chiariti dalla Corte costituzionale che, dapprima con le sentenze n.348 e 349 del 2007 e, successivamente, con le pronunzie nn.311 del 26 novembre 2009, 317 del 4 dicembre 2009, 28 del 2010 e 93 del 2010, ha ulteriormente precisato la portata dell’art.117 Cost. e, con essa, le modalità operative che il giudice deve utilizzare per far governo dei principi che provengono da fonti sovrastatuali.
In tali occasioni il giudice delle leggi ha per un verso precisato che non esiste una sovraordinazione delle norme internazionali su quelle interne, esse valendo soltanto come parametro interposto ai fini del sindacato di costituzionalità ex art.117 Cost., all’interno del quale è la Corte costituzionale a dover ponderare l’eventuale contrarietà della norma interna al parametro sovranazionale sul quale, però, sarò necessario compiere un’operazione di verifica della sua compatibilità con i valori costituzionali interni.
Il giudice nazionale non può dunque procedere all’applicazione della norma della CEDU – ma il discorso vale per ogni norma inserita all’interno di trattati internazionali vincolanti per l’Italia- in luogo di quella interna contrastante né può fare applicazione di una norma interna che egli stesso abbia ritenuto in contrasto con la CEDU, e pertanto con la Costituzione, dovendo in tali casi investire la Corte costituzionale.
E tuttavia, la stessa Corte costituzionale ha precisato che è lo stesso giudice nazionale a dover procedere ad un’interpretazione della norma interna conforme a quella convenzionale-cfr.sent.n.349/07, p.6.2: “… Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme”- “fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica”-Corte cost.sent.311/09- .
Ne consegue che solo quando ritiene che non sia possibile comporre il contrasto in via interpretativa, il giudice comune, dovrà rivolgersi alla Corte costituzionale.
L’attività interpretativa del giudice comune, come anche quella del giudice costituzionale, peraltro, deve essere orientata a garantire che nella concorrente applicazione del parametro costituzionale e di quello sovranazionale si persegua l’obiettivo della massima espansione delle garanzie e non a comprimerne la portata-sent.317/09 cit.-.
Ciò sarà peraltro possibile sempreché si pervenga, da parte del legislatore, ma anche del giudice delle leggi e del giudice comune, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, ad una corretta operazione di bilanciamento dei diritti fondamentali.
Cercando ora di adottare il metodo appena descritto, sembra doversi concludere che l’amministratore di sostegno, in quanto figura normativa destinata ad occuparsi della cura della persona incapace di intendere e volere, è soggetto idoneo a salvaguardare l’esigenza dell’amministrato di partecipare validamente alla fase propedeutica al consenso al trattamento sanitario-cfr., sul punto, Cass.n.21748/07: “…Poteri di cura del disabile spettano altresì alla persona che sia stata nominata amministratore di sostegno (artt. 404 e ss. cod. civ., introdotti dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6), dovendo il decreto di nomina contenere l’indicazione degli atti che questa è legittimata a compiere a tutela degli interessi di natura anche personale del beneficiario (art. 405, quarto comma, cod. civ.) A conferma di tale lettura delle norme del codice può richiamarsi la sentenza 18 dicembre 1989, n. 5652, di questa Sezione, con la quale si è statuito che, in tema di interdizione, l’incapacità di provvedere ai propri interessi, di cui all’art. 414 cod. civ., va riguardata anche sotto il profilo della protezione degli interessi non patrimoniali, potendosi avere ipotesi di assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto con quella della persona nominata tutore pure in assenza di patrimoni da proteggere. Ciò avviene – è la stessa sentenza a precisarlo – nel caso del soggetto “la cui sopravvivenza è messa in pericolo da un suo rifiuto (determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale” per trattamenti sanitari: qui il ricorso all’(allora unico istituto dell’)interdizione è giustificato in vista dell’esigenza di sostituire il soggetto deputato a esprimere la volontà in ordine al trattamento proposto. E, sempre nella medesima direzione, possono ricordarsi le prime applicazioni dei giudici di merito con riguardo al limitrofo istituto dell’amministratore di sostegno, talora utilizzato, in campo medico-sanitario, per assecondare l’esercizio dell’autonomia e consentire la manifestazione di una volontà autentica là dove lo stato di decadimento cognitivo impedisca di esprimere un consenso realmente consapevole”.
Prima dell’introduzione di tale misura di protezione, del resto, lo stesso giudice di legittimità non aveva mancato di considerare possibile l’intervento del tutore in ipotesi di assoluta necessità di sostituzione della volontà del soggetto anche in assenza di patrimoni da proteggere proprio nel caso in cui la sopravvivenza è messa in pericolo da un rifiuto (determinato da infermità psichica) ad interventi esterni di assistenza quali il ricovero in luogo sicuro e salubre od anche il ricovero in ospedale per urgenti e necessari interventi sanitari-cfr.Cass. 18 dicembre 1989, n. 5652-.
Elidere, per converso, ogni rilevanza alla volontà del beneficiario significherebbe, come è stato evidenziato nella giurisprudenza di merito avrebbe l’effetto di espropriare l’autodeterminazione terapeutica che, invece, nel caso di specie, è soltanto compressa-cfr.Trib.Varese, 6 ottobre 2009. Il che, in definitiva, intende realizzare un corretto bilanciamento fra gli interessi in gioco, una volta che il beneficiario non è in condizioni di esprimere una valutazione critica della situazione patologica e di percepire le conseguenze che deriverebbero dal non prestare il consenso- come proprio è emerso nel caso qui all’esame del giudicante-.
Quanto ai poteri che allo stesso possono essere attribuiti, devesi ritenere che l’interpretazione delle norme nazionali che vietano interventi sanitari contro la volontà del paziente vadano armonizzati, attraverso un’operazione di interpretazione conforme della normativa interna ai canoni sovranazionali di cui si è detto (art.6 Convenzione Oviedo, art.8 CEDU) in modo da consentire, a certe condizioni, il rilascio da parte dell’amministratore del consenso al trattamento sanitario anche in caso di rifiuto dell’interessato.
Occorrerà, in particolare, che il beneficiario sia comunque informato e prenda parte alle attività destinate ad informare l’amministratore della tipologia dell’intervento e di quant’altro si dirà più specificatamente in seguito.
Orbene, facendo governo dei superiori principi e dovendo nel caso concreto ponderare e bilanciare l’interesse della Xxxx, quale persona in un acclarato stato di stabile incapacità di intendere e di volere, ad essere curata - in nome del fondamentale principio di tutela della salute che pure campeggia nella Costituzione(art.32 1^comma Cost.)- con il principio di autodeterminazione che parimenti rientra nel patrimonio dei diritti spettanti alla resistente, va detto che nel caso concreto la Xxxx, per come già esposto nella parte iniziale del presente provvedimento, resa edotta della necessità dell’intervento, ha fin qui manifestato una volontà contraria all’esecuzione dello stesso sulla base di presupposti incomprensibili tutti connessi all’incapacità di comprendere la gravità della patologia- stimata invece dalla predetta, malgrado l’evidenza degli esami clinici e dei pareri dei sanitari, come non idonea a cagionarle danno malgrado l’avvertimento espresso all’udienza da parte di questo Giudice-.
Ed allora, reputa il giudicante che sia senz’altro necessario riconoscere all’amministratore di sostegno il potere di rappresentare la Xxxx nelle attività relative alla manifestazione della volontà dello stesso rispetto all’intervento operatorio prospettato dai sanitari della Clinica xxxx.
Ed a proposito del consenso, mette conto osservare che la procedura sottesa al consenso informato presuppone necessariamente che i partecipanti-nel caso di specie amministratore di sostegno (Xxxx Xxxx)e beneficiaria(Xxxx Xxxxxx):a) ricevono dettagliate informazioni riguardanti il trattamento operatorio (finalità, rischi,benefici, possibili alternative);b) abbiano la possibilità di rivolgere domande e ricevere informazioni dai sanitari;c) abbiano un lasso di tempo per discutere (se possibile e se necessario) la proposta con familiari, medici,persone di fiducia;d)utilizzino le informazioni per maturare una decisione-cfr. sul punto art.5 Conv.Oviedo: “Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso;art.6 part.4 Conv.cit.: “…Il rappresentante, l’autorità, la persona o l’organo menzionati ai paragrafi 2 e 3 ricevono, alle stesse condizioni, l’informazione menzionata all’articolo 5.”-.
Peraltro, il consenso richiede la capacità della persona di esprimere il consenso, l’idoneità della persona che chiede e riceve il consenso e l’assenza di coercizioni.
In definitiva, detto consenso è fondato sull’adeguatezza dell’informazione, che generalmente presuppone la previsione di un tempo adeguato concesso alla persona per valutare se partecipare, la messa a disposizione di informazioni scritte e di spiegazioni orali che abbiano le caratteristiche della completezza, fornendo all’interessato la descrizione dei benefici che si possono ragionevolmente attendere dall’intervento, delle possibili alternative e nel caso di rischi superiori al minimo, la descrizione della probabilità e dell’entità del rischio.
Tali requisiti del consenso sono stati di recente scolpiti da Cass.n.23676/08, ove si è chiarito che “la volontà di un consenso preventivo ad un trattamento sanitario non appare in alcun modo legittimamente predicabile in assenza di doverosa, completa, analitica informazione sul trattamento stesso”.
Fatte le superiori necessarie premesse, deve dunque precisarsi che nel caso concreto l’istituzione ospedaliera prescelta dall’amministratore di sostegno dovrà svolgere in favore dell’amministratore e della beneficiaria adeguate attività informative scritte e orali per spiegare le caratteristiche, le modalità, la degenza e la convalescenza dell’intervento ed i rischi che dallo stesso possono derivare alla salute della Xxxx, unitamente alle conseguenze prevedibili sulla salute della predetta in caso di mancata esecuzione dell’intervento.
Lo stesso amministratore dovrà successivamente informare dettagliatamente delle stesse anche la Xxxx, al fine di consentirgli di esprimere la propria volontà, chiedendo alla stessa quale sia l’intendimento finale rispetto all’intervento operatorio, elemento del quale l’amministratore non potrà prescindere e che lo stesso dovrà quindi tenere in considerazione –cfr.rel. ddl n.10 presentato al Senato nel corso della XVI Legislatura- al momento della manifestazione della volontà in rappresentanza della beneficiaria innanzi ai sanitari che l’hanno in cura unitamente a tutti gli altri forniti dai sanitari.
Peraltro, prima di rendere la dichiarazione in nome e nell’interesse della Xxxx l’amministratore di sostegno dovrà relazionare al Giudice Tutelare sul contenuto delle attività informative attività svolte dai sanitari e sulla volontà che lo stesso amministratore intende esprimere in nome e nell’interesse esclusivo della figlia, pure precisandosi che la manifestazione di autorizzazione al trattamento eventualmente data dall’amministratore potrà essere in qualsiasi momento ritirata dall’amministratore ove ciò si renda necessario nell’interesse esclusivo dell’amministrata-cfr. art.6 par.5 Conv.Oviedo: “L’autorizzazione menzionata ai paragrafi 2 e 3 può, in qualsiasi momento, essere ritirata nell’interesse della persona interessata.” Previa comunicazione a questo Giudice.
In conclusione, all’amministratore di sostegno vanno conferiti i seguenti poteri, comprensivi anche della cura della persona non direttamente collegati alla vicenda sanitaria che vede coinvolta la Xxxx:
1) esprimere nell’interesse della beneficiaria la volontà del predetto in relazione al trattamento clinico operatorio al seno, previa informazione a questo Giudice delle attività di informazione circa le caratteristiche, le modalità, la degenza e la convalescenza ed i rischi dell’intervento operatorio compiute dai sanitari e previa informazione della stessa beneficiaria, fermo restando il dovere di prendere in considerazione, ai fini del consenso, la volontà della Xxxx di non eseguire l’intervento anzidetto, unitamente a tutti gli altri elementi forniti dai sanitari ed acquisiti dall’amministratore;
2) esprimere nell’interesse della beneficiaria la volontà del predetto, ove dovesse occorrere, in relazione alle ulteriori attività di natura sanitarie che si dovessero rendere necessarie per salvaguardarne la salute, previa informazione della tipologia di cure a questo Giudice, avendo comunque cura di raccogliere la volontà della predetta rispetto al trattamento sanitario;
3) riscuotere la pensione ed impiegarne il contenuto per le esigenze della beneficiaria stessa, gestendo eventuali altri fondi nella disponibilità della beneficiaria medesima direttamente o anche attraverso l’ausilio delle persone ritenute in grado di provvedere a tali esigenze nell’esclusivo interesse della beneficiaria con obbligo di rendiconto;
4) compiere tutti gli altri atti di ordinaria amministrazione che dovessero rendersi necessari per la cura del beneficiario;
La prova in ordine alla cronicità dello stato patologico nel quale versa la beneficiaria giustifica la durata illimitata della nomina dell’amministratore di sostegno
P.Q.M.
nomina Xxxx Xxxx n….., amministratore di sostegno di Xxxx Xxxxxx n.Palermo …, e la autorizza a compiere tutti gli atti indicati nella parte motiva del presente provvedimento.
Dispone che il nominato amministratore di sostegno depositi nella cancelleria dell’ufficio del Giudice Tutelare, ogni anno, una dettagliata relazione sulle condizioni di vita e di salute del beneficiario, comunicando ogni intervenuto significativo cambiamento, con l’avvertenza che la prima di tali relazioni dovrà essere depositata entro giorni sessanta da oggi, e successivamente entro il 31 gennaio di ogni anno;
DISPONE
la convocazione dell’amministratore di sostegno, per il giuramento di rito, per l’udienza del 3 maggio 2010 ore 9,00.
Manda alla Cancelleria di comunicare il presente provvedimento al ricorrente ed alla Direzione Sanitaria della Clinica …Divisione Oncologica.
Si comunichi.
Palermo, 30 aprile 2010
Il Giudice Tutelare
Dott. Roberto Conti