Get Adobe Flash player
Nuova pagina 2

Consiglio di Stato sent. 1144 del 22 marzo 2005

Per quanto riguarda le Procure, nessuna disposizione di legge prevede, a differenza di quanto accade per i giudici, che gli affari siano ripartiti secondo criteri obiettivi e determinati. Il legislatore tace, infatti, sull’assegnazione dei procedimenti penali all’interno degli uffici di procura. Pertanto, l’interpretazione non può portare ad un’ulteriore dilatazione degli spazi di intervento del Csm all’interno di un’organizzazione che la legge ha plasmato in funzione del ruolo gerarchico esercitato dal procuratore

Nuova pagina 1


R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.1144/2005
Reg. Dec.
N. 4166 Reg. Ric.
Anno 2002
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso iscritto al NRG 41662002, proposto dal Ministero della giustizia in persona del Ministro pro tempore e dal Consiglio superiore della magistratura in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato ex lege domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
contro
Maddalena Marcello, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Barosio e Mario Contaldi, elettivamente domiciliato presso quest'ultimo Roma, via Pierluigi da Palestrina n. 63;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sezione I, n. 1629 del 4 marzo 2002.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio e contestuale appello incidentale di Marcello Maddalena;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 18 gennaio 2005 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Ferrante (Avv. Stato) e Contaldi;
ritenuto e considerato quanto segue:
FATTO
1. Il Consiglio Superiore della Magistratura (in prosieguo C.S.M.) conformemente alla propria circolare del 23 dicembre 1999 (formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il biennio 2000 - 2001, cfr. punto 67.1.), ed alla risoluzione del 20 aprile 2000 (problematiche applicative della circolare sulle tabelle del biennio 20002001; risposte ai quesiti posti dagli uffici giudiziari, cfr. punto 12), ha approvato nella seduta del 15 novembre 2000 il Programma organizzativo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino (in prosieguo p.o.p.), ad eccezione del punto in cui il Procuratore <>, in quanto privo di criteri oggettivi e predeterminati.
2. Avverso tali atti è insorto il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, dott. Marcello Maddalena, articolando le seguenti censure:
a) nei confronti della circolare (punto 67.1.) e della risoluzione (punto 12, 3° e 4° periodo): violazione degli artt. 7 ter, 70 e 74, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, nonché dell'art. 50, comma 1, c.p.p.; invalidità derivata della deliberazione 17 novembre 2000; è stato alterato il principio generale secondo cui titolare esclusivo dell'azione penale è il procuratore della Repubblica, che solo in caso di designazione di aggiunti o sostituti deve indicare i criteri di assegnazione degli affari a questi ultimi, giammai quando non si avvale della insindacabile facoltà di non delegare la trattazione dell'affare.
b) inefficacia ed invalidità sia della circolare che del diniego di approvazione del p.o.p. per contrasto con gli artt. 17, l. 24 marzo 1958, n. 195, 7 ter, r.d. n. 12 del 1941, sotto il profilo che tali atti non sarebbero stati esternati con la forma del decreto ministeriale, in violazione delle regole costitutive del procedimento di formazione delle tabelle giudiziarie;
c) in subordine, ed a condizione che non siano stati accolti i precedenti motivi, illegittimità della delibera 15 novembre 2000 per violazione della norma contenuta al punto 67.1. della circolare 23 dicembre 1999, e confermata dal punto 12 della risoluzione del 20 aprile 2000, se intesa nel senso di richiedere che il procuratore della Repubblica motivi le ragioni di deroga ai criteri di assegnazione degli affari ad altri magistrati del suo ufficio solo nei singoli casi concreti e giammai in ipotesi di autodesignazione.
3. L'impugnata sentenza del T.a.r. Lazio, sezione I, n. 1629 del 4 marzo 2002:
a) ha respinto il primo motivo nel presupposto che i poteri conferiti al C.S.M. dall'ultimo comma dell'art. 7 ter , r.d. n. 12 del 1941 comprendano anche quello di indicare al procuratore della Repubblica criteri obbiettivi e predeterminati di assegnazione degli affari a sé stesso, agli aggiunti ed ai sostituti, senza che si possa derogare per le ipotesi di autodesignazione;
b) ha respinto il secondo motivo sulla scorta del dato testuale dell'ultimo comma 7 ter, r.d. n. 12 del 1941, che non richiede l'intervento conclusivo del Ministro della giustizia;
c) ha accolto l'ultima censura annullando la deliberazione 15 novembre 2000 per contrasto con la circolare e la risoluzione;
d) ha compensato fra le parti le spese del giudizio.
4. Con ricorso notificato il 7 maggio 2002, e depositato il successivo 24 maggio, il Ministero della giustizia e il C.S.M. hanno proposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. Lazio.
5. Si costituiva Marcello Maddalena deducendo l'irricevibilità , l'inammissibilità e l'infondatezza del gravame principale in fatto e diritto; impugnava, altresì, con appello incidentale (notificato il 21 giugno 2004 e depositato il successivo 27 giugno), i capi della sentenza che avevano respinto i primi due motivi dell'originario ricorso.
6. La causa è passata in decisione all'udienza pubblica del 18 gennaio 2005.

DIRITTO
7. E' consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio (sin dal lontano capostipite sez. VI, 6 marzo 1992, n. 159), il principio secondo cui allorquando, come nel caso di specie, l'appello incidentale è da qualificarsi come improprio, perché vertente su capi autonomi dell'impugnata sentenza e sostenuto da un interesse proprio, devono essere esaminate prioritariamente le questioni sollevate con quest'ultimo gravame se in ordine logico - a mente del fondamentale canone sancito dall'art. 276, comma 2, c.p.c. - assumono carattere pregiudiziale rispetto a quelle introdotte con l'impugnazione principale (cfr. ex plurimis e da ultimo sez. IV, 29 luglio 2003, n. 4350; sez.V, 25 marzo 2002, n. 1695; Cons. giust. amm. 15 maggio 2001, n. 205).
Pertanto, poiché a seguito della proposizione degli appelli principale ed incidentale è riemerso in questo grado l'intero thema decidendum , il collegio potrà esaminare le censure articolate in prime cure secondo la tassonomia propria.
8. In ordine logico è prioritario l'esame del secondo motivo dell'originario ricorso (riproposto con il corrispondente mezzo di gravame incidentale - pagina 16 -), incentrato sulla paventata inefficacia sia della circolare del 1999 che della delibera del 15 novembre 2000, a cagione del loro mancato formale recepimento in un apposito decreto ministeriale.
8.1. Il motivo è infondato.
L'art. 17, comma 1, l. n. 195 del 1958 è esplicito nel sancire che tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati (id est quelli che incidono sul loro status) sono adottati in conformità delle deliberazioni del C.S.M. con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro della giustizia, ovvero nei solo casi stabiliti dalla legge, direttamente con decreto ministeriale.
Tale assetto non è stato inciso in parte qua dall'entrata in vigore della norma divisata dall'art. 1, lett. f), l. n. 13 del 1991, nella parte in cui dispone - individuando ipotesi tassative di intervento del Capo dello Stato nella adozione di atti amministrativi e così superando la previsione sancita dall'art. 7, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 - che la nomina ed il conferimento di incarichi direttivi ai magistrati avvenga con decreto del Presidente della Repubblica (cfr. sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3584).
La regola generale ritraibile dal combinato disposto delle due disposizioni, pertanto, è che non tutte le deliberazioni del C.S.M. attengono in via immediata e diretta allo status dei magistrati e devono essere trasfuse nel pertinente decreto (per le quali unicamente si pone il problema della loro immediata impugnabilità , cfr. sez. IV, 8 giugno 2000, n. 3253); al contrario tutta l'attività (c.d. paranormativa) che si traduce in provvedimenti generali ed astratti (risoluzioni, circolari, risposte a quesiti) non incidendo in via immediata e diretta sulla posizione soggettiva dei magistrati, non deve essere esternata in decreti ministeriali o presidenziali (cfr. sez. IV, 10 aprile 2002, n. 1927; 17 aprile 1998, n. 654; 3 dicembre 1992, n. 1000); ciò anche a cagione della speciale posizione costituzionale del Consiglio che comporta in tali casi la immediata impugnabilità di tali deliberazioni (nel rispetto dei principi sulla presenza dell'interesse ad agire, sez. IV, 10 aprile 2002, n. 1927) e la configurazione della legittimazione passiva dello stesso Consiglio (cfr. Cass., sez. un., 21 febbraio 1997, n. 1617).
Così individuata la regola generale in materia di esternazione delle deliberazioni del C.S.M., occorre soffermarsi sulle speciali disposizioni dell'ordinamento giudiziario che disciplinano il procedimento di formazione delle tabelle degli uffici giudiziari.
Vengono in rilievo gli artt. 7 bis e 7 ter del citato r.d. n. 12 del 1941.
L'art. 7 bis, per le tabelle ordinarie degli uffici giudicanti, e per quelle infradistrettuali (relative sia agli uffici giudicanti che requirenti), nonché il primo comma dell'art. 7 ter (che disciplina specificamente l'assegnazione degli affari alle singole sezioni giurisdizionali, collegi e giudici), prevedono testualmente che le deliberazioni del Consiglio che si inseriscono nel complesso procedimento di formazione, refluiscano in formali decreti ministeriali.
Rimane a sé stante la disposizione sancita dall'ultimo comma del richiamato art. 7 ter, che innovativamente attribuisce al Consiglio superiore della magistratura la potestà di determinare i criteri generali per l'organizzazione degli uffici del pubblico ministero e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro; la norma, però, tace significativamente sul punto concernente l'esternazione della delibera consiliare in un decreto ministeriale.
Anche il dato strettamente letterale si oppone alla tesi sostenuta dal Maddalena.
Del resto l'elemento sistematico (specialità delle norme sul procedimento di formazione delle tabelle rispetto alla disciplina delle forme delle deliberazioni del C.S.M.) e quello teleologico (mancanza di una norma espressa che impone di predeterminare criteri obbiettivi di assegnazione degli affari ai magistrati del p.m. a differenza di quanto previsto per i giudici in ragione della diversità delle funzioni), confortano tale esegesi che è rispettosa della volontà della legge.
9. E' viceversa fondato il primo motivo dell'appello incidentale (che reitera l'originaria corrispondente doglianza) e devono essere conseguentemente annullati in parte qua, in via principale la circolare del 1999 e la risoluzione dell'aprile 2000, in via derivata il diniego parziale di approvazione del p.o.p.
9.1. Il punto 67.1. della circolare 23 dicembre 1999 sancisce che <>.
In base al punto 67.2. <>.
La risoluzione 20 aprile 2000 (nella parte che qui interessa, punto 12, 3° e 4° periodo) afferma che <>.
Dal tenore complessivo delle disposizioni sopra riportate emerge con chiarezza l'intento perseguito dal C.S.M.: l'assegnazione dei procedimenti penali ai p.m. che compongono l'ufficio - tutti i p.m. ivi incluso il titolare - deve essere improntata a criteri predeterminati di assoluta obbiettività , sicchè l'autodesignazione da parte del procuratore capo, nel momento in cui si pone al di fuori del criterio generale e predeterminato, obbliga quest'ultimo ad un intenso sforzo di ostensione delle ragioni sottostanti la deroga (arg. punto 67.3. della circolare, nonché punto 12, periodo 21, risoluzione 20 aprile 2000 <>).
Si tratta allora di stabilire se, effettivamente, il C.S.M. nell'esercizio delle sue attribuzioni possa omogeneizzare la posizione del procuratore della Repubblica e quella degli altri p.m. addetti all'ufficio (aggiunti e sostituti), in occasione dell'assegnazione dei singoli procedimenti penali.
9.2. Conviene delineare, sinteticamente, il quadro delle disposizioni che governano la materia dell'assegnazione degli affari ai p.m.
Giova precisare, in primo luogo, che nessuna disposizione di legge prevede, a differenza di quanto accade per i giudici (cfr. art. 7 ter, primo comma, r.d. n. 12 cit.) che gli affari siano ripartiti secondo criteri obbiettivi e predeterminati.
Le norme fondamentali si rinvengono negli art. 70, ord. giud. e 53 c.p.p. in forza dei quali: a) le funzioni del p.m. sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione, dal p.g. presso le corti di appello e dai procuratori della repubblica presso i tribunali (comma1); b) i titolari degli uffici del p.m. dirigono l'ufficio, organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al p.m. dal c.p.p. e dalle leggi in generale <> (commi 3 e 5); c) i magistrati addetti alle procure che vengano a conoscenza di notizie di reato devono segnalarle per iscritto al procuratore capo che deciderà se archiviare, procedere personalmente ovvero designando un magistrato dell'ufficio (comma 5); d) il magistrato addetto all'ufficio del p.m., sempre previa designazione del capo dell'ufficio, svolge le sue funzioni con piena autonomia nel corso delle udienze penali (comma 4, e art. 53 c.p.p.).
Completa il panorama normativo l'ultimo comma del già illustrato art. 7 ter ord. giud. che attribuisce al C.S.M. la potestà di determinare i criteri generali per l'organizzazione degli uffici del p.m. e per l'eventuale ripartizione di essi in gruppi di lavoro.
9.3. Risultano confermate la regola generale secondo cui il titolare dell'esercizio dell'azione penale è il procuratore capo, nonché la struttura gerarchica dell'organizzazione degli uffici di procura e la conseguente titolarità in capo a quest'ultimo dei poteri direttivi, di sorveglianza sull'operato del singolo magistrato, di vigilanza sul complesso dell'ufficio, di acquisizione di informazioni e di organizzazione, sia pure con taluni limiti derivanti: a) dalla necessità di non vulnerare l'autonomia del magistrato in udienza; b) dal rispetto della dignità personale e professionale del magistrato addetto; c) dall'ossequio ai criteri generali organizzativi fissati dal C.S.M. (cfr. Cass. Sez. un., 10 luglio 1997, n. 6255; 17 ottobre 1995, n. 10840; 18 novembre 1992, n.12339).
9.4. Logico corollario è che la necessità di fissare criteri obbiettivi e trasparenti per la designazione dei magistrati incaricati di svolgere le indagini preliminari e la conseguente eventuale azione penale, si pone solo dopo che il procuratore capo abbia deciso di non avvalersi dei poteri a lui esclusivamente conferiti dall'ordinamento giudiziario.
In questo ambito trova allora la sua giusta collocazione la norma sancita dall'art. 7 ter, u.c. ord. giud. che, giova sottolinearlo, pur inserita nel medesimo contesto attributivo del potere di individuare criteri obbiettivi per l'assegnazione delle cause ai singoli giudici, tace accuratamente sulla assegnazione dei procedimenti penali all'interno degli uffici di procura.
La già estensiva interpretazione del precetto, non può pertanto portare ad una ulteriore dilatazione degli spazi di intervento del C.S.M. all'interno di una organizzazione che la legge ha plasmato in funzione del ruolo gerarchico esercitato dal procuratore. Questa esegesi è l'unica rispettosa della lettera della legge e del principio di legalità che deve ispirare l'azione anche degli organi di rilevanza costituzionale come il C.S.M., la cui speciale posizione istituzionale non costituisce valida ragione di esonero (cfr. negli esatti termini, Cons. Stato sez. IV, 5 novembre 2004, n. 5274 ord.; sez. IV, 30 luglio 2003, n. 4406).
Tale impostazione non è in contrasto con le ricorrenti affermazioni della giurisprudenza di questa sezione circa l'ampia discrezionalità di cui gode il Consiglio nell'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali (cfr. ex plurimis e da ultimo sez. IV, 7 giugno 2004, n. 3584, 9 dicembre 2002, n. 6673, rese in fattispecie di conferimento di incarichi direttivi).
In altri termini il C.S.M., grazie alla sua peculiare configurazione costituzionale, può legittimamente ed in taluni casi doverosamente integrare gli spazi vuoti lasciati dall'ordinamento, ma non può, in ossequio al principio di legalità e per rispettare il canone costituzionale che vuole il giudice (ed il p.m.) sottoposto soltanto alla legge (art. 101 Cost.), andare contro univoche disposizioni legislative.
10. L'annullamento del punto 67.1. della circolare del 1999, del punto 12 (in parte qua) della risoluzione del 20 aprile 2000, nonché, in via derivata, del conseguenziale diniego di approvazione del p.o.p. contenuto nella delibera 15 novembre 2000, comporta il venir meno dell'interesse del Maddalena a vedere esaminata l'ultima originaria censura sviluppata, in via subordinata, esclusivamente contro tale ultimo atto per vizio proprio di legittimità discendente dal contrasto con il (non più esistente) art. 67.1.
11. Parimenti, l'annullamento del menzionato punto 67.1. della circolare rende evidente la sopravvenuta carenza di interesse delle appellanti principali a vedere riformato il capo di sentenza che annulla esclusivamente il diniego di approvazione, rimanendo travolto tale provvedimento dall'intervenuto definitivo accertamento della sua invalidità consequenziale.
Rimane assorbito, pertanto, l'esame delle eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità del gravame principale, sollevate (per altro in modo totalmente generico) dalla difesa del Maddalena nella memoria di costituzione del 17 giugno 2002 (pagina 5), e non illustrate neppure nella memoria conclusionale del 14 ottobre 2004.
12. In conclusione, l'appello incidentale deve essere accolto per quanto di ragione, mentre quello principale deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Le spese di ambedue i gradi di giudizio, regolamentate secondo il consueto criterio della soccombenza, sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:
- accoglie l'appello incidentale e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla la circolare del C.S.M. del 23 dicembre 1999 e la risoluzione del 20 aprile 2000 nelle parti impugnate, nonchè la delibera del 15 novembre 2000 nella parte in cui non ha approvato il programma organizzativo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino.
- dichiara improcedibile l'appello principale proposto dal Ministero della giustizia e dal Consiglio Superiore della magistratura;
- condanna il Ministero della giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura, in solido fra loro, a rifondere in favore di Marcello Maddalena le spese di ambedue i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro settemila 0.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 gennaio 2005, con la partecipazione di:
Stenio RICCIO - Presidente
Pier Luigi LODI - Consigliere
Dedi RULLI - Consigliere
Aldo SCOLA - Consigliere
Vito POLI Rel. Estensore - Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Vito Poli Stenio Riccio
IL SEGRETARIO
Maria Grazia Nusca

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
22 marzo 2005
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
Il Dirigente
Antonio Serrao

Share