Get Adobe Flash player
Nuova pagina 1

Intorno al caso Battisti
Spinta rivoluzionaria e conquiste democratiche, sommarietà della giustizia e lotta armata, "irriducibili" e leggi "speciali": a partire dal caso Battisti, un dialogo senza perifrasi tra un ex responsabile di Lotta Continua e un magistrato che si occupò a "tempo pieno" del "terrorismo di sinistra"
Faccia a faccia tra Erri De Luca ed Armando Spataro
(MicroMega - n. 2/2004)

Nuova pagina 2

Erri DE LUCA:La Francia ha avuto bisogno di una rivoluzione per cambiare la monarchia in Repubblica. L'Italia ha avuto bisogno di scosse rivoluzionarie negli anni Settanta del secolo scorso per acquistare democrazia. Uscita dalla camera oscura del fascismo, il ritratto della nazione nel dopoguerra erra irrigidito da un partito unico, la D.C., che per quarant'anni ha governato senza alternanza. L'Italia si è mossa negli anni '79 del 1900 a forza di strappi e di conquiste di democrazia ottenute sul campo. Contro questa trasformazioni, reagivano con stragi e terrorismo corpi separati dello Stato rimasti impuniti. In quell'Italia si radicava in piazza la più forte sinistra rivoluzionaria dell'Occidente. Quella generazione alla quale ho preso parte è stata la più imprigionata della storia d'Italia. Molto di più di quella rinchiusa nelle prigioni del ventennio fascista: molto di più. Il record continua con pene senza termine che si prolungano ancora oggi contro la generazione degli sconfitti.Oggi un Ministro dell'Interno del governo italiano può esclamare vittoria per l'arresto di una donna in fuga da oltre 20 anni, Rita Al granati, una cioè che ha smesso da un quarto di secolo di battersi per dedicarsi all'imperfetta arte della fuga. Oggi da noi con illeso rancore si continuano a proclamare squillanti vittorie contro vinti ed arresi di trent'anni fa, spacciando questa persecuzione per caccia al terrorismo. La storia dei soldati giapponesi che in qualche isola del Pacifico ancora vengono scovati e liberati dall'obbligo di continuare la guerra strafinita: da noi si fa il contrario, lo Stato va a stanare degli arresi dell'ultima lotta del secolo scorso per dire loro: la guerra continua. E' un incanaglimento del sentimento, oltre che della ragione. Si applica solo ai rivoluzionari vinti del millenovecento, mentre per tutto il resto da noi si perdona qualunque bandito purchè imprenditore e proprietario di squadra di calcio.
La Francia è stata in tempo attenta alla nostra democrazia avvelenata da leggi e tribunali speciali, in cui si praticava la giustizia sommaria in processi contro centinaia di militanti condannati in blocco. La Francia ed il suo pensiero giuridico hanno consentito riparo ad un numero significativo di quei militanti in fuga, che avevano dichiarato il loro addio alle armi. E hanno tenuto fede alla parola ed hanno onorato la generosa ospitalità concessa. La consegna di Paolo Persichetti alla vendetta penale italiana è stato un triste episodio ma, di più, un ingiustificato aiuto fornito ad un governo impresentabile in Europa e che si è iscritto all'albo dei satelliti degli Stati Uniti. La Francia che ha fatto valere le sue ragioni nella dissennata impresa militare irachena, non può contraddirsi dando credito ed aiuto ad un governo bisognoso di vantarsi di nuovi corpi imprigionati, da esibire vittoriosamente. Trofei di una caccia finita da un quarto di secolo, collezione di corpi da impagliare nel museo della vendetta infinita: basta. Sciogliete i polsi a Cesare Battisti e lasciate alle loro vite francesi gli italiani che da voi hanno trovato una patria seconda e migliore (ndr: questo primo intervento di E. De Luca riporta il testo pubblicato su Le Monde del 22-23 febbraio).
Armando SPATARO: Pur senza condividerla, rispetto l'opinione di un intellettuale come Erri De Luca, che ha una visione di quegli anni e dei fatti accaduti fondata su un'esperienza molto diversa dalla mia. La mia è la visione di un giurista pratico, che si è consumata del tutto, salvo la parentesi al Consiglio Superiore della Magistratura, all'interno della funzione di pubblico ministero. È un limite che voglio indicare in partenza. Mi sono occupato a tempo pieno, dal settembre '78 fino all''88, di terrorismo di sinistra: Brigate rosse, Prima linea, Autonomia, e dei gruppi che operavano a Milano, una piazza decisamente particolare rispetto ad altre città , perché vi convivevano tutte le realtà terroristiche.
Ricordo peraltro che ho persino contribuito, pur molto giovane all'epoca, a creare la cultura della specializzazione nel contrasto del terrorismo. Credo, infatti, al valore di un'esperienza professionale "dedicata", che è cosa, ovviamente, molto diversa dalla giustizia speciale di cui ho letto sui giornali francesi.
Certamente, l'analisi di quanto è avvenuto in quegli anni può giovarsi, oggi, di elementi e di constatazioni sull'evoluzione della società , che inducono a guardare al terrorismo degli anni '70 e degli anni '80, con occhio più indulgente. Io stesso, prima che fosse varata la legge dell' '87 sulla dissociazione, insieme ad altri magistrati, espressi un parere fortemente negativo sull'ipotesi che lo Stato potesse elargire benefici penitenziari e sconti di pena per effetto di una mera dichiarazione formale di dissociazione, dunque senza che a ciò seguisse l'indicazione degli atti commessi, dei complici ecc. Ma a partire dai primi anni '90 mi resi conto che quella era stata, invece, una scelta lungimirante.
Detto questo, sono anche convinto che non possiamo dimenticare il significato che ha avuto il fenomeno terroristico. Non mi riferisco solo agli aspetti giuridici, o a ciò che riguarda l'ovvia tutela che si deve ai diritti delle vittime e dei loro congiunti, che è argomento importante, ma non centrale per un giurista. Ciò che non si deve dimenticare, soprattutto, è il pericolo che il terrorismo ha rappresentato per la democrazia. Diceva De Luca, che le scosse degli anni '70 hanno portato alla nascita della democrazia. Penso e spero che non alludesse, indicando queste scosse, al terrorismo. Io vedo nel terrorismo un fenomeno che ha ritardato la maturazione di quella democrazia cui De Luca allude. L'ha ritardata, perché in quegli anni, l'attenzione del paese, dei cittadini e di chi aveva il dovere di far funzionare la pubblica amministrazione si è concentrata sul fenomeno del terrorismo ed ha prodotto atteggiamenti di difesa sociale, ma anche, forse, di chiusura culturale: ha determinato, ad es., un'omogeneità forzata tra gli schieramenti politici, ha diminuito la loro dialettica e messo realmente in pericolo il funzionamento della democrazia nei suoi istituti parlamentari. Escludo anche, e con assoluta convinzione, che sia corretto parlare di persecuzione e dire che "ancora oggi continua una guerra". Le regole del diritto per il giurista, in una società che voglia definirsi democratica, si fondano su parametri diversi da quelli che sono propri del sociologo, del filosofo, del commentatore. Oggi, dunque, non abbiamo a che fare con una guerra in atto,né 20/25 anni fa avevamo a che fare, come spesso si dice anche da parte dei commentatori francesi, con una guerra civile. Era una guerra dichiarata da una sola parte e le istituzioni hanno reagito come dovevano : il governo oggi, indipendentemente dal colore, ha il dovere di perseguire coloro che, anche tanti anni fa, sono stati condannati per reati molto gravi contro la democrazia. Questo fa parte delle regole del gioco in un sistema democratico. Al di fuori di un atto politico non è ipotizzabile, sul piano giuridico, che chi si sia reso colpevole di omicidi possa farla franca soltanto per il decorso del tempo, salvo, naturalmente, che non si tratti di quello che la legge prevede come causa di estinzione del reato, vale a dire la prescrizione. Si aggiunga a ciò, che il soggetto in causa è stato scelto particolarmente male per una battaglia di principio: Battisti è l'autore di quattro omicidi, tre compiuti materialmente e uno come organizzatore e ideatore. Non trovo, dunque, che sia appropriato definire il suo arresto un favore fatto a questo governo. Indipendentemente dall'orientamento politico, un Ministro della Giustizia è tenuto ad attivarsi per la cattura di tutti i latitanti: dei terroristi di qualsiasi colore, dei mafiosi, e anche dei potenti che fossero ricercati dalla giustizia. Preferisco che un Ministro si attivi per la cattura dei latitanti, piuttosto che preoccuparsi di accogliere all'aeroporto, nel migliore dei modi, la Baraldini di turno. E con ciò mi rendo conto di inserire anch'io, nel discorso, un elemento politico.
L'applicazione della legge, insomma, non è un fattore dipendente dalle contingenze politiche, né mi interessa sapere se i francesi abbiano voluto fare un favore a Berlusconi. Piuttosto avrei tratto occasione da questo episodio, per sottolineare le omissioni di questo governo, che non ha ricercato con la stessa determinazione altri latitanti, a partire da Zorzi. Avrei anche criticato l'atteggiamento del Ministro della Giustizia che si reca in Francia per richiedere, a mio avviso giustamente, la cattura dei latitanti, ma nello stesso tempo conduce una campagna contro la costruzione dello spazio giuridico europeo ed il mandato di arresto. Così, infatti, si dimostra un atteggiamento di resistenza culturale verso un progetto che deve essere invece perseguito con rigore, perché la criminalità organizzata di qualsiasi tipo non conosce frontiere e gli stati devono sapervi contrapporre un analogo atteggiamento mentale.
Mi fermo qui e mi riservo di intervenire, semmai,su un paio di altri argomenti, e cioè sulla sommarietà o meno della giustizia all'epoca del terrorismo, e sulle basi del cosiddetto diritto d'asilo secondo la dottrina Mitterrand.
DE LUCA: Vorrei partire da quella mia affermazione che ha dato così tanto fastidio: le conquiste di democrazia in Italia sono avvenute attraverso la spinta rivoluzionaria di quegli anni.
Senza volerlo specificare, mi riferivo, ad esempio, alla riforma carceraria, che è partita dalle rivolte delle carceri degli anni '70. La riforma carceraria è partita dalle lotte di quelli che allora si chiamavano i proletari in divisa; è partita dai militanti della sinistra rivoluzionaria che andavano nelle caserme e organizzavano gli scioperi del rancio. Da lì è cominciato il miglioramento e l'ammodernamento del servizio di leva. Dalle lotte selvatiche della Fiat è partita la trasformazione dei rapporti di forza dentro la fabbrica. La fabbrica non è un luogo di democrazia. La fabbrica rispecchiava allora i rapporti di forza tra il datore di lavoro e i suoi dipendenti. Nel '69, cinque minuti prima che esplodessero gli scioperi selvaggi della Fiat, un operaio alla catena di montaggio non poteva rivolgere la parola al suo vicino un metro a monte o a valle. Per pisciare doveva andare a chiedere il permesso al capo. Vigeva la dittatura dei rapporti di forza.
Quando mi riferisco alle conquiste di democrazia penso a delle trasformazioni che hanno avuto bisogno di una spinta e che hanno a che vedere, per esempio, con la casa o con il sollievo sul posto di lavoro. Molto più significative degli aumenti salariali o dei vantaggi economici, queste trasformazioni sono conquiste di democrazia che ebbero origine nelle lotte della sinistra rivoluzionaria.
Ho anch'io il mio limite, il mio punto di vista debole. Non sto in una posizione panoramica. Non sono mai stato alla finestra, sono sempre stato al piano terra. La mia è una visione di parte e di una parte, in quegli anni, abbastanza compressa. Insisto: la mia è stata la generazione più carcerata per motivi politici della storia d'Italia. Spataro conosce bene i numeri. Ci sono stati circa 40 mila incriminati per banda armata in Italia e 5 mila condannati.
Ora, il reparto che si è attivato, ed è arrivato fino a alla scelta specifica e clandestina delle armi, non era che una infima minoranza di quell'enorme sinistra rivoluzionaria di cui parlavo prima. Una grande sinistra rivoluzionaria dentro un paese che aveva il più grande partito comunista dell'Occidente, e che era messo come costola di confine con il blocco sovietico. Nell'Italia di cui ci stiamo occupando in questa conversazione contano i numeri. Conta il fatto dell'esistenza di una sinistra dichiaratamente rivoluzionaria con molti militanti. Io ho fatto parte di un'organizzazione che si chiamava Lotta Continua, che si è sciolta nel '76 a Rimini. Più che sciogliersi, anzi, si dileguò, come in una soluzione acida. Non decise di sciogliersi, ma si somministrò un solvente. Oggi, a distanza di tempo, non considero quella sinistra rivoluzionaria in contrapposizione con le organizzazioni clandestine che si sono specializzate nella lotta armata. Cerco di spiegarmi. La sinistra rivoluzionaria "ufficiale", quella che aveva le sedi politiche, che aveva anche dei giornali, era altrettanto micidiale di quella che ha combattuto il dottor Spataro negli anni dal '78 in poi. Era la base dentro la quale si è formata tutta la sinistra clandestina. Io sono stato responsabile di piazza di Lotta Continua. Per molti anni mi sono occupato della resistenza pubblica di piazza. So che quella sinistra rivoluzionaria era una sinistra che teneva dentro tutte le componenti della lotta politica rivoluzionaria di allora. Per noi la scelta rivoluzionaria includeva anche l'uso delle armi. La sinistra rivoluzionaria di allora ospitava e sosteneva tutte le organizzazioni rivoluzionarie del mondo. Lotta Continua nel 1974 organizza una campagna pubblica, che si chiama "Armi al MIR". Si tratta di una pubblica campagna di raccolta di soldi per comprare armi per un movimento rivoluzionario cileno. C'era appena stato il golpe di Pinochet. Cominciava la resistenza, che poi è stata massacrata nel corso degli anni successivi. All'indomani del golpe, Lotta Continua con questa iniziativa ottiene un successo strepitoso: non ha mai incassato tanti soldi come da quella sottoscrizione pubblica "Armi al MIR". La sinistra rivoluzionaria in Italia aveva dimensioni enormi.
Questo contesto include anche quelli che alcuni chiamano i cascami della clandestinità . La discriminante non era armi sì, armi no. Non c'era una sinistra rivoluzionaria pacifista o inerme: c'era una sinistra rivoluzionaria dichiaratamente antagonista, che sosteneva tutte le rivoluzioni e tutte le sinistre rivoluzionarie del mondo.
Che quella sinistra rivoluzionaria fosse direttamente antagonista del partito comunista è evidente. Il partito comunista, per sua tradizione storica, aveva l'obbligo di non avere nessuno alla sua sinistra. Hanno liquidato quelli che hanno provato nel passato a porsi alla sua sinistra. La Terza Internazionale si è distinta in questa opera di semplificazione del panorama politico. Dunque, la sinistra rivoluzionaria era anche completamente isolata. Non aveva nessun rapporto con il palazzo e i poteri. Anzi era ostilmente osteggiata e, prima ancora dei grandi arresti e dei fatti gravi della lotta armata, era abbondantemente visitatrice delle carceri.
La discriminante tra quella sinistra di prima, quella pubblica, e quella di dopo, non era la scelta delle armi. Dal nostro punto di vista di rivoluzionari, la scelta delle armi era un'inevitabile e secondaria manifestazione del diritto di esistere; per la sinistra clandestina, invece, la lotta armata era il solo articolo possibile. La differenza non era sull'uso delle armi o meno, ma sul fatto che noi avevamo una organizzazione politica, che faceva politica di piazza e dunque pubblica, mentre quelle erano delle persone che si erano chiuse e che praticavano solo la lotta armata. Per loro l'unica azione politica era quella armata, per noi l'azione armata era il dannatissimo collaterale necessario: secondario nell'azione politica, ma senza il quale non si poteva essere. Ci dovevamo difendere e passare all'offensiva. A Roma, ad esempio, Lotta Continua e il Movimento della sinistra rivoluzionaria romana sono stati molto attivi nell'azione antifascista. Allora c'erano i fascisti e a Roma erano particolarmente nocivi e presenti. C'è stata per anni una caccia reciproca, una caccia su piazza: cacce notturne e diurne.
Vorrei chiudere semplicemente cercando di sottolineare l'entità dei numeri di cui stiamo parlando. Stiamo parlando di dimensioni che non possono rientrare sotto il genere della guerra civile, semplicemente perché non hanno causato la quantità di lutti di una guerra civile. Ma se guardiamo al numero di quelle migliaia di militanti rivoluzionari e agli anni della durata del fenomeno, dobbiamo riconoscere che era uno stato di calamità politica. Una di quelle calamità per le quali i Comuni e le Regioni chiedono qualche intervento speciale.
SPATARO: Già da questi nostri due primi interventi si avverte la diversità di approccio. Cerco di avventurarmi, con grande difficoltà sul terreno scelto da Erri De Luca. Ma farò delle precisazioni anche sui numeri da lui citati.
Concordo con De Luca nel ricordare come l'evoluzione di una società , nel senso democratico, è frutto di movimenti e di rivendicazioni. Ma starei bene attento a collocare tutto nell'ambito della "sinistra rivoluzionaria". Altrimenti nella sinistra rivoluzionaria dovrei collocare, per esempio, anche il Pretore Guariniello, dalla cui azione giudiziaria è scaturita tutta la normativa in tema di tutela delle condizioni dei lavoratori in fabbrica. E dovrei mettervi anche i famosi Pretori d'assalto, Almerighi e Sansa in Liguria, Condorelli in Sicilia: per effetto della loro azione processuale si determinarono le condizioni per la normativa a tutela dell'ambiente. Fortunatamente, in un paese democratico, vi è un'area molto più vasta di quella rivoluzionaria da cui possono venir fuori stimoli per il progresso. E questo è un primo punto.
Secondo punto. Io non ho gli strumenti per quantificare il radicamento della sinistra rivoluzionaria nella società italiana e, dunque, confesso subito un altro limite della mia analisi. Non sono in grado di apprezzare soprattutto la dimensione storica, antecedentemente al '76, della sinistra rivoluzionaria. Certo, nel momento in cui mi sono avvicinato a questo fenomeno, ho ritenuto doveroso, come primo passo, studiarlo. Ho cercato di farlo soprattutto attraverso le carte, i documenti, le rivendicazioni dei gruppi terroristici. E però, alla luce di questa esperienza diretta, sento di poter contestare la tesi di De Luca, che pure muove, ripeto, da una conoscenza da militante. Intanto i numeri processuali. Di una cosa sono certo: i numeri sugli inquisiti, 40 mila per banda armata, 5 mila condannati per banda armata, sono, caro De Luca, assolutamente fuori dalla realtà .
DE LUCA: Sono numeri contati e pubblicati da una ricerca che fece Curcio. L'unica ricerca in cui sono contati i casi giudiziari.
SPATARO: Sono certo che Curcio avrà impiegato tutto il suo spirito critico e le sue capacità . Ma mi permetterai di dissentire sul fatto che possa essere una fonte attendibile.
Ti posso fornire altri numeri, e suggerire delle proiezioni:io ho trattato praticamente tutti i procedimenti per terrorismo a Milano. Ti posso assicurare che, pur essendo Milano una delle principali sedi del terrorismo, le condanne per banda armata non hanno superato le quattro-cinquecento unità . Soprattutto contesto il dato dei 40 mila inquisiti. Si deve tenere presente, poi, che molti di coloro che erano imputati a Milano, si sono ritrovati imputati a Torino, Firenze, Roma e ovviamente per fatti specifici, non per gli stessi reati. Non vedo francamente come si sia arrivati al numero di quarantamila inquisiti. Ancora oggi, del resto, con gli strumenti informatici di cui dovremmo disporre, non siamo in grado di avere dal Ministero di Giustizia dati attendibili sulla pendenza dei processi e sui condannati…
Pur considerando scontato, dunque, che il fenomeno del terrorismo fosse abbastanza diffuso, ritengo profondamente errato voler affermare a tutti i costi una continuità tra la sinistra rivoluzionaria in senso lato e quella parte di essa che ha scelto il terrorismo. Ovvero, di sparare alle persone.
Sono addirittura convinto, anzi, che il terrorismo delle armi sia stato un fenomeno elitario, persino in larga parte borghese. Se si andasse a esaminare il profilo sociologico dei terroristi, sarebbe possibile accertare che la mitica figura del proletario era di fatto poco presente nella realtà delle bande armate. Credo che i discorsi di De Luca siano un po' viziati dalla distanza - 25 anni - tra l'oggi e quell'epoca: è come se osservassimo quel passato con un teleobiettivo, con un'ottica, cioè, che schiaccia i fenomeni ed avvicina le immagini.
Non vorrei, insomma, che si incorresse in una generalizzazione, che sarebbe respinta proprio da molti ex militanti di Lotta Continua: credo proprio che molti di loro, che fortunatamente non hanno mai scelto il terrorismo, si troverebbero d'accordo nel sottolineare una sostanziale e netta discontinuità tra chi era disposto a giustificare la lotta armata come una delle forme possibili di azione, e chi l'aveva scelta in forma esclusiva.
Qui, però, mi fermo: ripeto che non ho avuto alcuna esperienza di attività in qualsiasi movimento,ma il discorso di DE LUCA mi meraviglia, mi pare persino velleitario, come se si volesse oggi ingigantire un fenomeno, descrivendolo diffuso e annidato in ogni settore della società . Quasi a dire, in riferimento al caso Battisti: "al suo posto avrei potuto esserci io". Ma non credo che sia per caso che tu, e tanti altri, non abbiate scelto quella via.
DE LUCA: Quando finisce Lotta Continua c'è una grande deriva che va molto alla malora, molti si sfondano di droga, qualcuno se ne va in India… Ma qualcuno rimane lì, perché non poteva fare nient'altro che continuare a stare dove era. Altri confluiscono nelle lotte armate, molti finiscono dentro le Brigate rosse, altri in Prima linea… Era una delle possibilità .
Allora io ero responsabile di una struttura di Lotta Continua, quale era il servizio d'ordine, di natura paramilitare. Ho avuto molte domande sul "che fare". Io non ho fatto. Ma "non ho fatto" perché soffrivo di sentimento di claustrofobia politica a ficcarmi dentro un'organizzazione chiusa.
Voglio però riprendere il ragionamento sullo stato di calamità . Stabiliamo che in Italia non si è avuto uno stato di calamità , non la chiamiamo guerra civile. Però si era fuori dalla temperatura politica accettabile per una democrazia. Tant'è che lo Stato si sente minacciato, e ricorre a degli strumenti speciali.
Il primo strumento speciale che io voglio ricordare è quello della legge Reale. Nel '75, la legge Reale è promossa all'unanimità da tutto il Parlamento. Siamo ancora abbastanza prima dell'emergenza terrorismo. È ancora prevalente la sinistra rivoluzionaria. Ma la legge Reale viene spacciata per legge contro il terrorismo. Permette alla polizia di sparare per ordine pubblico senza il bisogno di legittima difesa, peggiorando così il codice Rocco fascista. Non solo, prevede che il giudice naturale dell'eventuale fatto di sangue conseguito ad una sparatoria non sia il giudice di turno, ma il Procuratore generale. Per il poliziotto una garanzia di totale immunità . La legge Reale permette alla polizia, senza il mandato del magistrato, di fare perquisizioni dovunque: sedi, macchine, case, abitazioni ecc. Prolunga a quarantotto ore il fermo di polizia. Questo significa che non solo non è avvisato l'avvocato, ma che non è avvisato neanche il magistrato. Più tardi, con la legge successiva, si dichiarano armi da guerra le bottiglie molotov.
Questa è la prima infornata di legislazione speciale. La seconda infornata si ha con l'aumento spropositato delle pene, l'istituzione di tribunali che sono specializzati nei processi politici, come dei tribunali speciali. Poi ci sono le carceri speciali, i regimi di detenzione speciale. Da ultimo, la pratica della tortura. Non i maltrattamenti, che erano altra cosa, come all'Asinara dove i secondini pestavano regolarmente tutti i detenuti, e pisciavano e sputavano nel rancio. Non maltrattamenti, ma torture: pratica speciale della tortura, che diviene sistematica nell''82 per il caso Dozier. Non sto enumerando tutte queste cose, per dire quanto è cattivo lo Stato e quanto erano buoni gli altri. Voglio far osservare che di fronte a quella emergenza, lo Stato si dotava di sistemi speciali di contrasto. Questi dati ci fanno capire che razza di fenomeno è stato e perché non lo si può ridurre, oggi, nella memoria, a un fenomeno di criminalità politica impazzita, a schegge impazzite.
D'altra parte, non sarebbe stato così lungo e faticoso il lavoro del dottor Spataro, se si fosse trattato di un fenomeno di più piccole dimensioni. L'entità del lavoro svolto dimostra l'entità , la quantità e la rilevanza di quel fenomeno politico. Molti di Lotta Continua di oggi non vogliono sentirsi dire che erano dei rivoluzionari. Si sono aggiustati il loro passato come avessero frequentato un circolo Arci, come si fosse trattato di un periodo che hanno attraversato per poi interessarsi d'altro. Lotta Continua, come le altre organizzazioni della sinistra rivoluzionaria, era rivoluzionaria.
SPATARO: Siamo arrivati su un terreno che chiaramente mi è più congeniale, quello della tecnica normativa per il contrasto del terrorismo.
Dico subito - non me ne vorrà l'amico De Luca - che sono state dette da lui alcune cose che, francamente, non stanno né in cielo né in terra. Danno proprio l'idea di come certe affermazioni, all'inizio formulate con una qualche "leggerezza", vengano poi scritte e ripetute più volte fino a diventare degli slogan e poi entrare in circolo, come fossero verità . Ma non lo sono. Che la legge Reale, ad es., abbia autorizzato la polizia a sparare in piazza, al di fuori delle ipotesi di legittima difesa; che abbia alterato il principio del giudice naturale, reso immuni i poliziotti e facoltizzato i medesimi ad effettuare fermi senza avvertire i magistrati e gli avvocati, non ha alcun riscontro, neppure equivoco, nel lessico utilizzato dalla legge: semplicemente non è vero. Forse non è questo il luogo per fare un discorso tecnico giuridico, ma vi è pure bisogno di essere precisi: è vero, ad es., che la legge Reale abbia autorizzato la polizia ad un più ampio uso di perquisizioni personali sul posto senza l'autorizzazione del magistrato. Ma è cosa ben diversa dalle altre. Questa legge, che è del maggio '75, come tu stesso hai ricordato, risale peraltro ad un periodo in cui il terrorismo non si era neppure manifestato nelle sue forme più cruente: si trattava di una normativa che cercava di fronteggiare soprattutto gli effetti delle manifestazioni violente di piazza dei primi anni '70. Era, dunque, una legge sull'ordine pubblico, non sul terrorismo, proprio per questo poco utilizzata per il contrasto di questo fenomeno.
Ma anche l'affermazione dell'esistenza di tribunali speciali è assolutamente priva di qualsiasi aggancio con la realtà . La specializzazione degli organi inquirenti, infatti, non è concetto equivalente a quello della "specialità " degli organi giudicanti.Vorrei spiegare meglio: fino al sequestro Moro, pubblici ministeri e giudici istruttori operavano in condizioni assolutamente artigianali, senza che vi fosse una qualsiasi possibilità di comunicazione di dati tra uffici o, addirittura, all'interno dello stesso ufficio, tra i magistrati che ne facevano parte. Ricordo che quando venni chiamato a occuparmi di terrorismo dopo l'esperienza del '77, solo dibattimentale, del processo al nucleo storico delle BR, richiedendo ai colleghi i processi che erano da loro separatamente trattati, constatai subito la necessità di efficaci scambi di informazioni. Faccio un esempio: in un attentato dinamitardo, un testimone aveva annotato il numero di targa di un'autovettura; in un altro caso, dopo una rapina, uno degli autori aveva perso, durante la fuga, un documento. Entrambi i casi erano stati rivendicati da Prima linea, ma i due magistrati che se ne occupavano ignoravano che la targa e il documento erano appartenenti alla stessa persona, cosa che evidentemente avrebbe subito smentito l'ipotesi della casualità innocente della presenza della macchina e della perdita del documento.
Dopo Moro, a partire più o meno dalla seconda metà del '78, i magistrati che si occupavano di terrorismo nella fase investigativa cominciarono ad incontrarsi spontaneamente, spesso a loro spese, con periodicità di 15-20 giorni, a Roma, a Torino o a Milano… Questo gruppo di investigatori non superava il numero di venti-venticinque persone. Ci si scambiava notizie in tempo reale e, quando si manifestarono i primi pentiti, fine '79 inizio '80, anche i loro verbali presero a circolare tra gli uffici in tempi reali. L'evoluzione delle strategie dei gruppi armati veniva studiata in contemporanea da tutti i magistrati che indagavano sul fenomeno. In "La notte della Repubblica", stupenda trasmissione sul terrorismo di Sergio Zavoli, uno dei brigatisti del nucleo storico affermò, in un'intervista, che in carcere ebbero consapevolezza della fine del loro ciclo storico quando vennero a sapere che i magistrati si incontravano e si scambiavano verbali, notizie e indirizzi giurisprudenziali
La specializzazione, dunque, ha riguardato solo gli investigatori, pubblici ministeri e giudici istruttori. Se si parla di tribunali speciali, ci si riferisce ad altro, e cioè all'organo giudicante investito, come un tribunale militare, di una competenza "speciale" a giudicare. Questo non è mai avvenuto. E tornando alla investigazione, si potrebbe oggi contestare che per indagare contro la mafia ci vuole specializzazione, così come per indagare sui reati dei colletti bianchi, sulla corruzione, sui falsi in bilancio? Dunque, noi inventammo questo modo di investigare e lo diffondemmo su scala europea. Ed anche la polizia giudiziaria, al nostro fianco, tornò a livelli accettabili di specializzazione, come non avveniva dall'epoca dello scioglimento del nucleo speciale che aveva lavorato con i giudici di Torino nella prima inchiesta sulle BR. Lo stesso famoso nucleo speciale di Dalla Chiesa venne costituito attorno alla fine della estate del '78. Insomma, con i carabinieri e la polizia, realizzammo un'intelligence investigativa di grande efficacia, mentre non sono mai esistiti tribunali speciali : le Corti d'Assise di Torino, di Milano, di Roma e di altre sedi giudicavano secondo gli ordinari criteri di competenza territoriale.
Carceri speciali, invece, sono certamente esistite. Però non si può dimenticare che le carceri, prima dell'arrivo di Dalla Chiesa, che ne era stato nominato responsabile, erano un vero e proprio colabrodo. Si pensi alla nota evasione di Curcio, ma si potrebbero citare molti altri esempi. Dunque, le carceri speciali erano una struttura assolutamente necessaria, come oggi è irrinunciabile il regime del 41 bis per i capi mafiosi. Ma non mi sottraggo al punto più dolente: De Luca ha parlato, con grande decisione, di violenza e torture. Se episodi di violenza dentro le carceri o fuori delle carceri ci sono stati, a danno di detenuti politici o non politici, la magistratura rivendica, a suo merito, di essere intervenuta contro i colpevoli individuati. La magistratura ha inquisito, e duramente, anche coloro che hanno usato violenze a Savasta, dopo la liberazione del gen.Dozier. Ho interrogato Savasta, dopo quello che aveva subito e rammento il suo stato di prostrazione psicofisica, ma contesto che si possa parlare di violenze e torture assurte al livello di sistema e metodologia ordinaria. Del resto, gli stessi detenuti, che pure hanno denunciato i fatti dell'Asinara e di altre carceri, non hanno mai addebitato all'istituzione, nel suo complesso, una pratica sistematica di violenze.
Vorrei ricordare, infine, quali furono, secondo me, i veri strumenti legislativi emergenziali. Gli strumenti che sono davvero serviti contro il terrorismo - in modo, questo sì, eccezionale - sono stati sostanzialmente due: in primo luogo, l'aggravante dell' avere commesso il fatto per finalità di terrorismo. Questa norma venne introdotta nel dicembre '79, dopo il tragico episodio di Via Ventimiglia a Torino, dove in una scuola di formazione aziendale un nucleo di Prima linea sceglie a caso dieci persone, le fa avvicinare al muro e le gambizza tutte e dieci. L'aumento della pena, naturalmente, produsse conseguenze sulla durata della custodia cautelare. L'altro strumento emergenziale è stata la normativa in favore dei pentiti, anche questa del '79. Si introdussero, dunque, l'aggravante da un lato e, dall'altro, lo sconto di pena per i pentiti. La legge del '79 sui benefici ai pentiti esiste ancora adesso, non è decaduta e non è dunque una legge eccezionale, ma uno strumento ordinario introdotto nel sistema. Si tratta di una legge che si rivelò talmente utile da essere stata poi estesa al contrasto di molti altri fenomeni criminali, come la mafia, il traffico di droga, la tratta degli umani etc.. E ciò avviene in ogni parte del mondo.
Benché all'inizio anch'io avessi criticato questa normativa, prevedendo che non avrebbe avuto grande successo, la realtà mi dimostrò il contrario. I magistrati formularono allora delle osservazioni tecniche che servirono ad una successiva legge dell''82, la quale introdusse maggiori benefici per i collaboratori. Consci dell'eccezionalità di questo ulteriore strumento, che aveva senso solo in un certo contesto storico, si pronunciarono però contro la sua proroga. Dunque, furono questi gli strumenti eccezionali utilizzati contro il terrorismo, mentre è sbagliato evocare altre immagini, come quelle dei tribunali speciali e delle torture.
DE LUCA: Mettendoci dentro questo clima, piano piano stiamo dicendo qualcosa che si assomiglia. C'è stata una situazione di febbre politica speciale, che è stata contrastata con degli strumenti speciali.
Si è trattato di una stagione politica, che si è conclusa con la sconfitta definitiva, con una disfatta della scelta della lotta armata. Considero quel periodo lungo vent'anni. Ho fatto la prima manifestazione per il Vietnam nel '67, a Napoli, dove ho preso anche le prime bastonate. Mi trovavo lì, ero andato a vedere, ed ero solo un ragazzetto. Quella stagione si conclude nell' '87, quando i capi delle Brigate rosse dichiarano finita quella storia. Balzarani, Moretti e Curcio si mettono insieme dentro una stanza e dichiarano ufficialmente finita la lotta armata. La storia della sinistra rivoluzionaria, e del suo proseguimento nella lotta armata, finisce ufficialmente così. Credo che questa sia la storia del nostro paese. Lo stato vince nell' '87. Dopo di ciò, lo Stato avrebbe dovuto prendere la via della conciliazione con un'amnistia che andava piazzata allora. È successo, però, che i pentiti sono fuori, i dissociati pure: dentro, nelle carceri, sono rimasti quelli che non si sono dissociati, quelli che semplicemente non hanno voluto contrattare dei benefici sulla parola. Oggi, dunque, in prigione rimangono solamente quelli che hanno commesso, nei confronti del loro passato, un reato di opinione. La loro opinione di non dissociati li tiene ancora in carcere. Quelli che non si sono dissociati semplicemente non hanno voluto contrattare la loro parola con un beneficio di pena. Quelli che non si sono dissociati e stanno in carcere, scontando pene ormai da decenni o ventenni, sono delle persone che stanno pagando completamente il conto che è stato addebitato loro. Ma non sono degli irriducibili: semplicemente non hanno voluto fare il contratto dello sconto di pena.
L'argomento, spesso utilizzato, del rispetto dei parenti delle vittime è, da parte dello Stato, un argomento chiaramente insostenibile. Che cosa deve dire un parente di Tobagi, quando incontra Barbone per strada? Ci sono dei parenti delle vittime di serie A e di serie B o di serie C? Lo Stato è passato sopra al loro dolore, perché lo Stato è una parte terza tra la vittima e l'assassino. Ha vinto la sua battaglia. In molti casi, ha scelto di tenere in libertà gli assassini, pur di avere il vantaggio di vincere la guerra. A guerra vinta, la mia opinione è che, in nome della conciliazione, dovrebbe finire anche la prosecuzione delle pene e delle ricerche. Oggi non parleremmo più di questa stagione, l'avremmo lasciata alle spalle, come se l'è lasciata alle spalle la Repubblica quando ha amnistiato i fascisti.
SPATARO: Ecco una cosa sulla quale siamo d'accordo senza riserve: il dolore dei parenti delle vittime del terrorismo e delle vittime stesse (perché anche i gambizzati sono delle vittime) va rispettato, non usato. Ma certi discorsi rimandano a quegli anni quasi non fosse successo nulla, quasi non vi fossero state tante vite spezzate.
Dire che oggi sarebbero in carcere soltanto quelli che non hanno abiurato le proprie idee è un argomento suggestivo. In realtà , non è così. Infatti, a parte ovviamente il caso Sofri, che non è del tutto inquadrabile nel discorso che stiamo facendo, in carcere vi sono oggi esclusivamente i cd. irriducibili. Nel 1987, lo Stato varò una legge per "chiudere i conti", offrendo una possibilità anche ai Moretti e ai Segio, cioè rispettivamente ai vertici di Brigate rosse e Prima linea, responsabili del maggior numero di omicidi commessi in Italia. E tanti detenuti per fatti di sangue si avvalsero di quella legge, pagando, con l'espiazione di parte della pena, i loro debiti con la società . Non sarà per alcuni un argomento nobile intellettualmente, ma credo che anche quei debiti vadano pagati. Oggi sono persone per tanti versi reinserite: c'è chi ha scelto la via del silenzio (evitando encomiabilmente di rilasciare interviste), chi no, ma in ogni caso sono molte le persone che hanno ritrovato la possibilità di vivere, quella che - magari - avevano negato alle loro vittime.
Dunque nell' '87 lo Stato fece un passo importante, molto criticato e molto doloroso in favore dei dissociati cui non era richiesto di fare i nomi dei complici. Da quel momento ad oggi, peraltro, sono passati diciassette anni ed anche quelli che non avevano accettato all'epoca di valersi di quella legge per non abiurare le proprie idee sono già tutti fuori a loro volta: non per effetto della legge, ma perché hanno semplicemente scontato la pena. Statisticamente dentro il carcere, nell'attualità , ci sono soltanto gli irriducibili. Mi riferisco a coloro che, ancora oggi, vengono sistematicamente attinti dalle indagini e condannati per le rivendicazioni che fanno dal carcere. Non possiamo quindi semplicemente considerarli "individui che non hanno voluto scendere a patti". E non è vero, dunque, che vi sia una grande massa di detenuti, arrestati in quegli anni, che non hanno abiurato le loro idee. Certamente non ce n'è più uno che abbia subito condanne solo per banda armata.
DE LUCA: Maurizio Ferrari è ancora in carcere.
SPATARO: Non ne conosco la posizione: se detenuto,è probabile che stia scontando condanne per reati commessi da detenuto, rivendicazioni, minacce a giudici…
Del resto, sono convinto che coloro che sono soggetti a regime di semi libertà , per essersi avvalsi della legge o perché hanno scontato quasi tutta la pena, sono ormai in condizione di essere pressoché reinseriti, compresi i Moretti, i Segio. La percentuale, che giudico irrisoria, di coloro che non è ammessa a benefici di questo tipo - e che quindi non ha attualmente possibilità di reinserimento - è quella dei detenuti che si definivano, forse suggestivamente, ma efficacemente, irriducibili. Un atto di conciliazione è stato compiuto nell'87, come ho detto, e qualcuno l'ha raccolto: il decorso del tempo e l'espiazione delle pene hanno fatto il resto.
Veniamo ai latitanti come Battisti. Perché il caso ha suscitato un così grande dibattito? Perché è un caso emblematico dell'opposto. Non ci troviamo di fronte a un detenuto che è rimasto tanto tempo in carcere, che ha commesso reati marginali, e che non ha voluto fare abiura delle proprie idee, magari folli, in nome delle quali aveva commesso reati. Ci troviamo, ahimè, di fronte ad una persona che è stata in carcere poco più di un anno, che ha commesso materialmente tre omicidi, e un quarto lo ha ideato e organizzato, e che non rientra neppure nei canoni della dottrina Mitterrand. Due cose voglio dirle su questo punto. C'è stato un intervento molto deciso di Marcelle Padovani che ha ricordato una sua intervista nella quale fu Mitterrand stesso a indicare le condizioni che individuano i casi ai quali era riferibile la sua dottrina: a) persone che non hanno ammazzato; b) persone non condannate in via definitiva e c) persone che hanno accettato di vivere in Francia senza commettere reati. Battisti non rientra sicuramente nelle prime due condizioni: è personaggio che si è sottratto al carcere con una clamorosa evasione e che per quattro omicidi ha scontato un anno appena di carcere. Non mi pare che, pur accedendo all'ottica che auspica De Luca, il fatto che costui sia osannato in Francia come un eroe, sia compatibile con l'idea che della responsabilità giuridica e morale devono coltivare le democrazie. E comunque non è giustificabile che si dica che è stato condannato in base a sentenze sommarie, e da tribunali speciali. Non è accettabile tutto ciò per un personaggio che, con le sue dichiarazioni, non accenna neppure lontanamente ad un minimo di timida autocritica. Leggere le sue parole, francamente, è disperante ed è chiaro che non si tratta di una personaggio assimibilabile ai "vinti" di cui parla De Luca.
DE LUCA: Il fatto di essere condannato in contumacia per dichiarazioni di pentiti, in tribunali in cui vengono condannati in blocco un mucchio di altri compagni, è una specialità giuridica che ha fatto rizzare i capelli in testa ai francesi. I francesi contestarono la legittimità di quei processi italiani. E questo è il motivo per cui poi hanno accolto quelli che hanno riparato in Francia, dichiarandosi arresi, dichiarandosi gente che aveva chiuso con la lotta armata. E si sono comportati di conseguenza. Quelli che non si comportavano bene sono stati presi per la collottola e sbattuti dove li dovevano sbattere. Lo hanno fatto sempre, quando qualcuno ha fatto il furbo. Quindi si tratta di persone che hanno smesso, una volta riparati in Francia, di essere un pericolo. Erano semplicemente delle persone che si erano sottratte alla condanna. Ora, è un diritto sottrarsi alla condanna ancora nel vostro ordinamento o no?
SPATARO: Ed è diritto pretendere l'espiazione della pena per quattro omicidi o no?
DE LUCA: Non attribuiamo una malizia supplementare o un'aggravante al fatto che si sono sottratti al carcere. Battisti e pochi altri sono riusciti a sottrarsi a queste pene. Non li penalizziamo per questo. Aveva il diritto di scapparsene, come lo Stato ha il diritto di inseguirli. Ma adesso stiamo parlando di una guerra finita. Non conta se Battisti ha scontato vent'anni o se non ne ha scontato nessuno. Questa guerra è finita. Vogliamo prenderne atto finalmente, e congedarci da questo passato? Battisti è un caso brillante di successo letterario in Francia. Ma la gran parte di queste persone vivono nell'ombra, nelle periferie, e si sono rifatti una famiglia. Vogliamo riacciuffare questi che si sono sottratti alle pene per poter cantare di nuovo vittoria? Abbiamo raggiunto una nuova tappa nella lotta al terrorismo. Ma quale lotta al terrorismo! Questa è una lotta al 1900. Stiamo continuando a tirare fuori degli uccelli impagliati dal 1900 per esporli come trofeo.
SPATARO: Due cose rapidissime. Fortunatamente possono essere schematiche. Non è vero che il presupposto dell'asilo da parte dei francesi sia stato, anche all'inizio degli anni '80, un giudizio di sommarietà sulla procedura italiana. Solo in questi giorni, ad opera della sinistra francese, è venuto fuori questo discorso.
DE LUCA: No, è un discorso vecchio.
SPATARO: Sto parlando dell'atteggiamento istituzionale. La Francia ha negato l'estradizione dei terroristi italiani, non per le tesi di Guattari, e non certo per un giudizio negativo sulla procedura italiana. Lo ha rifiutato in base alla dottrina d'asilo di Mitterrand, per la quale si poteva accettare l'idea che ad un non condannato, un ricercato ancora sottoposto all'investigazione, che non avesse ucciso, fosse concesso di rifugiarsi in Francia. Ma ci sono state numerose eccezioni a questa teoria e sono ignorate da chi oggi manifesta pro Battisti. Cito dei nomi: Donat Cattin, Vito Biancorosso. Non si comprende perché, mentre alcuni non furono estradati, altri ci sono stati consegnati come Persichetti che forse non è imputato di omicidio.
DE LUCA: E' imputato del caso Giorgeri.
SPATARO: Non me lo ricordo. Può essere. Comunque sia, questa teoria francese soffre di eccezioni evidenti. E quindi non si può neppure assumerla a dogma. In ogni caso - si dice - c'è già stata una decisione nel '91 che ha rigettato l'estradizione. Ho approfondito, allora, le ragioni di questa decisione. Premetto che l'estradizione può essere richiesta per due motivi: o al fine di perseguire l'indagato all'interno dell'indagine mentre questa è in corso, oppure al fine dell'espiazione della pena irrogata con una sentenza definitiva. Quando Battisti venne arrestato la prima volta in Francia, era ricercato sulla base di provvedimenti restrittivi del giudice istruttore Forno di Milano, emessi nella prima metà degli anni '80: venne arrestato, dopo il suo arrivo in Francia dal Sud America. L'autorità francese, però, registrò che, in quel momento, era ormai intervenuta una sentenza definitiva della Cassazione: nel provvedimento del '91, dunque, si legge che venne negata l'estradizione a fini del perseguimento del Battisti, ma che ciò non escludeva la possibilità per l'autorità italiana di richiedere l'estradizione del Battisti per espiazione della pena, in relazione alla sentenza definitiva stessa. Il che è esattamente quanto è avvenuto, ma con ritardo. Quindi è inesatto parlare del formarsi di un giudicato. Battisti lamenta anche di essere stato condannato in contumacia, ma qui va detto non solo che egli fu contumace volontariamente (essendo evaso) e che fu assistito in aula dal suo difensore di fiducia, ma anche che la Corte dei Diritti Umani di Strasburgo ha già giudicato perfettamente garantito il processo italiano. La tendenza europea, infatti, è quella di ritenere non legittimo a fini estradizionali solo il processo che si svolga a carico del contumace che non sia a conoscenza del processo stesso.
In ultima analisi, la tesi di De Luca è a ben vedere la seguente: questi arresti non fanno parte della lotta al terrorismo. È probabilmente vero per Battisti, non è vero sempre. Abbiamo avuto anche altri casi, come quello di BORTONE, latitante in Francia, poi arrestato in Svizzera e infine estradato in Italia, ragionevolmente ritenuto ancora in contatto con ambienti eversivi di oggi. Insomma, l'atto di clemenza invocato da De Luca, lo dico qui con assoluta chiarezza, non lo condividerei per chi non avesse scontato almeno una parte della pena. Ma il discorso sulle scelte politiche non mi riguarda.
DE LUCA: Ma non è clemenza. È una clemenza verso gli italiani, è un atto di conciliazione per noi, non per loro.
SPATARO: Ma perché tu ti senti in guerra con qualcuno? Con loro? Io non mi sento minimamente in guerra con loro. Non mi sento minimamente portatore, nel dare questi giudizi, pur da magistrato, di una qualsiasi logica, non dico bellica, che sarebbe ridicolo, ma neppure di una logica di nemico-amico. E' solo che non ci sto all'utilizzo di quella persona, con quei carichi processuali, come simbolo di una campagna "contro la giustizia sommaria", contro l'uso dei collaboratori da parte di un paese che, in quegli anni, avrebbe violato la democrazia. Poi, per carità , l'autorità politica faccia quello che crede. Peraltro, il mio intervento in questo dibattito si basa sul presupposto del totale rispetto per quello che decideranno l'autorità giudiziaria e l'autorità politica francese. Non è la prima volta che abbiamo dovuto incassare decisioni non condivise. Fa parte della normale dialettica tra ordinamenti. Certo, mentre si cerca di costruire il mandato d'arresto europeo, lo spazio giuridico europeo, ci si aspetterebbe un atteggiamento conseguente. Ma questo non appartiene al novero delle cose che intendo commentare.
DE LUCA: Si tratta di una storia di tantissimi anni fa. Certamente ricordi perché è nata la dottrina Mitterrand: gli intellettuali francesi si sono interessati di una situazione, che allora si chiamava repressione. C'era una situazione di emergenza della repressione italiana. Questi intellettuali francesi se ne fecero carico, se ne interessarono. Vennero in Italia, fecero delle campagne di stampa nei confronti di Toni Negri, per esempio. Quando Toni Negri, approfittando di quel bagaglio diplomatico che consente l'elezione al Parlamento, se ne andò in Francia, venne inseguito da mandati di cattura colossali, che erano quelli che riguardavano Moro, le Brigate rosse. Hanno avuto ragione allora di dubitare della sanità di mente e della limpidezza, della regolarità dei nostri procedimenti.
Ecco come si formò la scelta politica francese. Quella di Mitterrand non è mai stata una dottrina. La vogliono chiamare dottrina. Mitterrand è stato il capo di una nazione, che per tradizione è la patria dei diritti dell'uomo, terra di asilo per tutti. E questi gli sembravano allora, io considero a buon diritto, dei pregiudicati, dei giudicati male, dei mal giudicati, dai tribunali italiani. Perciò, dei rifugiati degni di essere accolti. Questa è l'origine dell'interesse francese e del loro punto di vista. Ora tu non puoi pretendere che a un imputato, che ha il mandato di estradizione che si discute il 7 aprile, di fare i ragionamenti dei dissociati: sta sotto lo schiaffo di essere ributtato in Italia. Reagisce e si difende come può. Potremo parlare di questo serenamente, quando tutta questa storia sarà finita. E si potrà dire "tutti a casa". Oggi uno come me o uno come te non sta alla pari con Battisti. Battisti sta scappando, sta cercando di salvarsi la pelle, e di non essere rinfilato nel sacco, in Italia. Cerca di aizzare tutta la solidarietà e la simpatia che può sul proprio caso. Ed è legittima difesa, non gli imputo nessun argomento contro.
SPATARO: Hai citato Toni Negri. Adesso, a prescindere da quel mandato di cattura che tu hai ricordato per Moro, e che fu criticato anche da alcuni di noi, me compreso, il centro delle accuse a carico di Negri, per cui fu condannato, non era certo quello di aver partecipato al sequestro Moro. Accusa che infatti cadde subito. Toni Negri, che non ho in simpatia né come condannato, né come scrittore, è comunque persona che ha deciso di costituirsi in Italia. A qualcuno potrà non essere piaciuto, perché può essere apparso un atto di sottomissione alle istituzioni che prima contestava. Però si è costituito e ha scontato parte della pena, sia pure in condizioni particolari. Del resto, proprio il decorso degli anni ha consentito, a chi era responsabile della sua gestione carceraria, di considerarlo oggi un uomo diverso.
Ci sono altri casi. C'è pure chi non si è sottratto per nulla al carcere, sia pure per poter affermare la sua innocenza, e ovviamente penso al caso Sofri. Ecco perchè ritengo che continui ad essere inaccettabile sul piano morale, non su quello giuridico - perché è di una questione morale che adesso stiamo discutendo - che un personaggio come Battisti, che ha diritto a difendersi come diavolo crede, ritenga di proporsi all'opinione pubblica come vittima di un martirio e di un inciucio politico. Non è questo il modo di presentarsi. Se c'è una parte dell'opinione pubblica francese, e forse anche di quella italiana, che lo accredita come un martire, c'è pure chi sente il dovere di informare che così non è. Battisti non è stato affatto mal giudicato. Battisti è stato giudicato bene, secondo le regole di una giustizia che funzionava democraticamente. Ed è una persona che ha ucciso quattro altri poveri cristi. Questo non può essere dimenticato semplicemente per un sommario giudizio del tipo: "il passato è passato".
DE LUCA: Battisti non è il responsabile di quattro omicidi che stiamo ricercando da tanto tempo, e che finalmente abbiamo scoperto. È uno che fa parte di un'enorme massa di casi nel caso clinico Italia di quegli anni, che è finito da un pezzo e che noi continuiamo a ritirare fuori inutilmente. Inutilmente per la nostra salute pubblica oltre che per la vita di queste persone, che sono ormai dei resti delle persone che erano. Ma Battisti non è un caso unico, io non vorrei nemmeno parlare di lui. So che ci sono altri due mandati di estradizione in corso da parte dell'Italia, Roberta Cappelli e Enrico Villimburgo. Qualche settimana fa l'ha reso noto Le Figaro prima della stampa italiana. Che ce ne facciamo? Ma che ve ne fate, in Italia, di queste persone? che cosa significa andare a scavare dentro questo resto penale di quegli anni per aggiungere questi mucchietti al totale? Che ce ne importa? È finita questa storia, basta.

Share