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Gli obiettivi reali della Riforma della Costituzione e dell'Ordinamento giudiziario
(Armando Spataro - magistrato)

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Quelli che viviamo sono tempi di riforme, dicono i nostri governanti: esse serviranno a rinnovare il Paese, a renderlo moderno ed a tutelare più efficacemente i diritti dei cittadini. Vale la pena di riflettere, allora, sulle proposte di riforma della Parte II della Costituzione e dell'Ordinamento giudiziario : basterà qualche sommaria considerazione per smascherare la falsità dell'assunto di partenza e svelare, invece, la visione privatistica dell'esercizio del potere di governo che ne costituisce la vera ragione. Così come è avvenuto, del resto, per altre leggi intervenute nei settori dell'istruzione e della ricerca, della informazione, della sanità e del lavoro. Riforma della Costituzione e dell'Ordinamento giudiziario, dunque: va subito detto che se passeranno il paese non si troverà di fronte ad un aggiornamento o ad una modernizzazione dell'una e dell'altro, ma ad un diverso sistema costituzionale e ad un'altra magistratura. Lo si può agevolmente dedurre dall'analisi di alcuni punti comuni che caratterizzano i due progetti. E' comune, innanzitutto, la giustificazione teorica degli interventi, fondata sulla ripetuta affermazione, diffusa nelle forme di un vero e proprio spot pubblicitario, che è necessario assicurare modernità ed efficienza sia all'assetto costituzionale che al sistema giustizia. Il primo, infatti, sarebbe caratterizzato da un groviglio inestricabile di lacciuoli imposti all'azione dell'esecutivo al punto da compromettere la governabilità del paese e la realizzazione del programma premiato dagli elettori. Il secondo, invece, essendo afflitto dal problema dell'endemica lunghezza dei tempi dei processi, penali e civili (affermazione, questa, sicuramente condivisibile), imporrebbe interventi sull'assetto della carriera dei giudici che ne sarebbero i principali, se non unici, responsabili; con ciò fingendo di ignorare l'evidente assenza di qualsiasi nesso di causalità tra carriera dei magistrati e lunghezza dei tempi dei processi, ascrivibili pressocchè esclusivamente a carenze strutturali ed organizzative, oltre che a leggi sciagurate. Ne consegue una scelta di identico segno - e siamo, dunque, al secondo punto comune - cioè quella dello strumento idoneo a raggiungere gli obiettivi declamati, individuato nell' incremento dei poteri dell'esecutivo. Nel futuro nuovo ordine costituzionale, infatti, il premier diventa padrone assoluto della politica, del Parlamento, può chiedere ed ottenere lo scioglimento della Camera dei Deputati e se lui cade, si va a votare perché cadono tutti. Nei confronti della magistratura, specularmente, si interviene gerarchizzandola, burocratizzandola, limitando - attraverso nuove previsioni di illeciti disciplinari - le libertà civili dei magistrati e la stessa funzione di interpretazione della legge loro demandata; si ampliano poi i poteri del Ministro nel settore disciplinare, nei campi della nomina dei dirigenti, della formazione professionale, della progressione in carriera, nell'amministrazione quotidiana degli uffici giudiziari. Ma l'incremento dei poteri dell'Esecutivo è naturalmente possibile - qui è il terzo punto di contatto tra i due progetti di riforma - solo se, contestualmente, si svuotano competenze e poteri delle Istituzioni di controllo e garanzia: Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale e Parlamento, da un lato, Consiglio Superiore della Magistratura dall'altro. Ha efficacemente sottolineato Oscar Luigi Scalfaro che il Capo dello Stato viene "lasciato in canottiera" e così consegnato al Premier : ridotto ad un ruolo puramente decorativo, eletto a maggioranza assoluta (e, dunque, vincolato a "sicura obbedienza" ), egli può esercitare solo alcuni marginalissimi poteri e, significativamente, la sua firma su tutti gli atti di governo è "dovuta" e non consente rifiuti, né rinvii. La Corte Costituzionale poi, non a caso sottoposta a violenti attacchi dopo la bocciatura di una delle leggi vergogna di questi ultimi anni (il cd. lodo Schifani), diventa terreno di conquista attraverso un sistema di designazione dei suoi componenti che assicura preminenza al nuovo Senato Federale, mentre il Parlamento viene sottoposto al ricatto del rischio di scioglimento se per ipotesi pensasse di votare la sfiducia al Capo dell'Esecutivo. Si tratta di soluzioni che rendono evidente la netta divaricazione oggi esistente tra l'Italia ed il resto del mondo occidentale: neppure negli Stati Uniti, dove pure i poteri del Presidente-premier sono notoriamente estesissimi e fisiologica è l'alternanza dell'uno o dell'altro schieramento politico nel governo della nazione, si è mai pensato di attenuare il peso dei controlli bilanciati e reciproci che sono l'essenza di ogni sistema democratico. Il Consiglio Superiore della Magistratura, d'altro canto, se passasse la riforma ordinamentale, verrebbe relegato ad un ben misero ruolo notarile, che ne svuoterebbe alcune delle principali competenze attribuitegli dalla Costituzione: ad es., in materia di nomina dei dirigenti, dei semi dirigenti e di progressione in carriera dei magistrati, il suo intervento si ridurrebbe alla mera ratifica di decisioni prese da commissione esterne, in calce alle quali apporrebbe solo timbro e firma. Un ulteriore punto di convergenza è dato rilevare tra le due riforme, l'affiorare, cioè, di scelte disgregative: dell'unità nazionale, da un lato, vale a dire della struttura portante della Repubblica nel sistema costituzionale, e dell'omogeneità del sistema giudiziario dall'altro: nel progetto di riforma costituzionale, infatti, si prevede l'attribuzione alle Regioni della competenza esclusiva sull'organizzazione della Sanità , l'organizzazione scolastica (compresa la parte riguardante i programmi scolastici di interesse regionale) e la polizia locale, così "mettendo a rischio l'universalità dei diritti all'istruzione, alla salute ed alla sicurezza" ; e si sa che questa illogica devolution costituisce la condizione posta dalla Lega per assicurare il suo appoggio all'attuale maggioranza di governo. Non stupisce, dunque, che un Ministro della Giustizia dello stesso partito annunci che subito dopo la separazione delle carriere, che già frantumerebbe l'omogeneità della cultura giurisdizionale della magistratura, si dovrà introdurre nel nostro sistema l'elezione su base territoriale dei pubblici ministeri e dei giudici.
Passando dai contenuti al metodo, è analogamente possibile l'individuazione di ulteriori significativi punti di convergenza tra i due progetti di riforma: l'intervento dei saggi, ad esempio. A ben vedere, infatti, non v'è grande differenza tra l'agire dei quattro saggi che, durante due giorni estivi trascorsi in Val Cadore, hanno deciso i principi fondanti della nuova costituzione e l'affannarsi di quelli che, in via Arenula ed in pari numero, hanno riformulato l'ordinamento giudiziario, sia pure periodicamente aggiungendovi commi ed elidendo articoli (o viceversa, non essendo più possibile, ormai, alcuna seria ricostruzione del vorticoso succedersi dei testi dei vari maxiemendamenti partoriti dal Ministero della Giustizia). Eppure il termine "saggi", nel suo significato lessicale e nel gergo politico, evoca il possesso e l'uso del buon senso, piuttosto che il dominio del tecnicismo: ma questi saggi (ciascuno dei quali rispettivamente espresso dai partiti di maggioranza), evidentemente dotati dell'uno e dell'altro in massima misura, hanno scritto leggi organiche e Costituzione, senza supporto della dottrina costituzionale o della scienza giuridica, bastando l'accordo e la benedizione di pochi. Ed ha sin qui trionfato, infine, in entrambi i settori, la finta disponibilità al dialogo; lo scenario è sempre lo stesso, alcune tra le forze politiche di maggioranza si propongono come garanti del dialogo e dell'attenzione alle ragioni altrui. Ma, improvvisamente, alla grandi dichiarazioni di principio ed alle disponibilità declamate (che si rivelano nella loro essenza di finzione), seguono i testi blindati, il contingentamento dei tempi di discussione in Parlamento o - come nel caso della riforma dell'ordinamento giudiziario - la mozione di fiducia.
Così "la costituzione viene banalizzata, ridotta ad oggetto di un baratto esclusivo al gruppo di governo, un mercanteggiamento con poste che non erano idee e tesi sul costituzionalismo, ma assestamenti interni alla coalizione prevalente" ha detto Andrea Manzella dopo il voto favorevole del Senato alla "greve revisione" della Carta Costituzionale; non diverso è il giudizio sulla riforma dell'ordinamento giudiziario approvata dalla Camera dei Deputati: attraverso la mozione di fiducia, si è impedito ogni sia pur minimo dibattito sul nuovo testo del disegno di legge delega che pure riveste evidente rilievo costituzionale, si è così umiliato il Parlamento e si è votato un progetto complessivo di riforma dei giudici non solo per punirli, ma anche perché, secondo la concezione napoleonico-burocratica propria di questa maggioranza, si vuole una magistratura che sia parte di un unico potere di governo e sensibile agli interessi di chi lo esercita, anziché soggetta soltanto alla legge (art. 101 comma 2 della Costituzione).
E' da questi semplici rilievi che occorre immediatamente ripartire per difendere e salvare Costituzione e giustizia attraverso una generale mobilitazione contro le tendenze disgregative dello Stato di diritto e l'involuzione dei rapporti tra potere, istituzioni e cittadini che esse hanno ormai determinato.
7 luglio 2004

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