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La mafia sconosciuta dei salotti buoni
di padre Nino Fasullo

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Di convegni sulla mafia se ne svolgono tanti: segno che la sensibilità e l’interesse per il problema non sono solo di altra epoca. Più difficile è sentire discorsi su aspetti nevralgici del fenomeno, che tentino di focalizzarli e attirare l’attenzione. Uno di essi è rappresentato dal tema che la rivista Segno ha scelto per il convegno che si apre oggi (e continua domani venerdì) presso i padri redentoristi di via Badia: “La mafia del salotto buono, gli intellettuali, la questione morale�. In realtà , non di un solo tema si tratta ma di tre (o quattro), tra loro distinti e connessi. Perché la mafia è come un palazzo. Ha piani bassi, medi, alti, altissimi, costituenti tutti un unico edificio. Dei piani bassi, rappresentati dai quartieri popolari, si parla spesso (e facilmente). Di quelli alti, mai (o quasi). Storici, sociologi, giuristi, giornalisti, laici e prelati, davanti a essi passano oltre. Se si soffermano è per difenderli. In confronto, i mafiosi degli strati medio-bassi della società non hanno avvocati. Può darsi che il nostro convegno, nel breve tempo del suo svolgimento, non riuscirà a rispondere in modo esaustivo a tutte le questioni che verranno poste. Pazienza. Importante è avere sollevato il problema; avere puntato su di esso i fari della città . E convincersi che finché non si parla della mafia dei salotti buoni si rischia di menare il can per l’aia.Come riconoscere un salotto buono e i suoi mafiosi? Consideriamo due o tre indizi. Il primo può essere costituito dalla refrattarietà alla parola mafia. I componenti dei salotti buoni manifestano un istintivo fastidio per la sola parola. La sentono, e subito sono presi dall’orticaria! Oppure manifestano una supponenza mascherata di sdegno, che si riscontra, ad esempio, tutte le volte che le cronache riferiscono fatti di cosa nostra, nuovi o vecchi. I salottieri scattano, gridano all’offesa, e si costituiscono difensori della Sicilia: come se l’isola fosse cosa loro ovvero l’onta ricoprisse la propria moglie (o il proprio marito). E passano a celebrare le meraviglie della Trinacria: centralità mediterranea, splendido sole, colori suggestivi, montagne con l’Etna incandescente, il più bel promontorio del mondo, valli fiorite, clima dolce e carezzevole, cucina e vini esclusivi! Pare che nessuno avverta (apparentemente) la teatralità di queste reazioni ridicole. Ma non importa: conta il messaggio. È accaduto perfino che si tenessero spettacoli riparatori. Così richiamando la triste storia del Comitato Pro Sicilia del 1902, quando i salotti buoni si organizzarono, sempre in difesa della Sicilia, per solidarizzare con Raffaele Palizzolo. Qualcuno si chiederà se i personaggi dei salotti buoni siano veri mafiosi. È vero che i modi, le forme, la consistenza, la composizione del potere mafioso raramente appaiono lineari o trasparenti. La mafia è proteiforme, abilissima nel dissimulare. Del resto, chi non sa che “mafia del salotto buono� è metafora di classi alte, dirigenti; che è espressione allusiva della mafia padrona che fa affari e determina (da sola o in concorso, non necessariamente a livello internazionale) molte cose dell’economia? Infine, la mafia del salotto buono ha (almeno) due volti: uno che ne mostra l’identità col potere, un altro che ne svela il legame, nelle forme di volta in volta possibili. Per cui esiste una vera e propria mafia del potere, oltre che un intimo rapporto di scambio tra i due. Il convegno vuole coglierne i nessi. Il secondo tema del convegno riguarda il ruolo degli intellettuali, intesi nell’accezione più ampia di pen man, di chi prende la parola (e scrive) per esporre e motivare legittimi punti di vista. È chiaro che l’esercizio della intellettualità , nei giornali, nelle cattedre, nei tribunali, negli amboni, non può pretendere uno statuto di favore che consenta di non rispondere delle proprie opinioni, magari appellandosi alla libertà di scienza e di professione. Infine il problema non riguarda le intenzioni di alcuno, ma l’effettivo servizio reso alla organizzazione criminale. Se tutti i discorsi pubblici sono politici, in quanto hanno una ricaduta sulla città , e quindi sono soggetti a responsabilità , non si capisce perché la stessa regola non debba valere per i discorsi di mafia. Se i Dialoghi di Platone possono essere ricondotti alla sua Repubblica, nel senso che da essa assumono senso e finalità politici: figurarsi i libri, gli articoli, le arringhe e le sentenze di chi tratta di mafia! Né c’è da meravigliarsi che cosa nostra abbia i suoi chierici. Anzi, si può andare sicuri: se nei suoi 150 anni l’organizzazione criminale ha prosperato, e oggi gode ottima salute, è segno pressoché infallibile che si è giovata anche dei buoni uffici degli uomini colti. I quali possono esserle utili nei modi più vari. C’è l’intellettuale ingenuo (o cauto), che chiede per quale motivo un affiliato dell’organizzazione debba essere incriminato se non ha mai premuto un grilletto o compiuto delitti di altro genere. E c’è quello pulito, il quale seraficamente esprime (ma in privato) la convinzione intelligente con cui afferma (attenzione all’intelligenza!) che la mafia non esiste, che è frutto di equivoci, che è pura invenzione di gente profondamente stupida. Del resto, non è l’inesistenza della mafia il vero verbo degli iniziati dei salotti buoni? Esistono persone colte, abili nell’attenuare, smussare, squagliare, scontare imputazioni e fattispecie. Costoro – ne siamo convinti – non pensano affatto di dare una mano all’organizzazione. Ma la danno. Alla mafia basta. Il discorso sugli intellettuali porta dritto alla questione morale, forse la più negata e maltrattata in questi ultimi anni. Perciò attende di essere rimessa al centro. Non perché da sola possa risolvere tutti i problemi o supplire alle deficienze. Ma perché senza di essa la città non respira. Bisogna recuperare presto un rigoroso senso di responsabilità pubblica, che spinga a fare un passo indietro e a essere un po’ sobri. La morale è l’attitudine a rendere conto di ciò che si fa (e pensa). Perciò un ufficio pubblico non può essere tenuto senza trasparenza e disponibilità a risponderne. La morale non esenta nessuno. È tanto esigente quanto fragile, perché affidata alla dignità degli individui e delle città . Non può essere imposta, neppure quando di essa c’è disperato bisogno. Può essere solo postulata e persuasivamente invocata. Se oggi si trova in esilio, deve essere richiamata, assegnandole il primo posto. Proprio a partire dalla questione mafiosa. Perché non c’è ombra di dubbio: non usciremo mai dalla maledizione mafiosa se non ci lasceremo sorreggere dalla morale.In questo sforzo, pubblico e collettivo, un po’ d’aiuto, se si determineranno alcune condizioni, può venire dalla Chiesa: è il tema del quarto discorso del nostro convegno. Il quale vuole essere solo un invito alla riflessione e alla iniziativa. E un atto di fiducia verso la città e la Sicilia, i cui destini sono interamente nelle nostre mani.

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