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Per una riforma del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura
e della Sezione disciplinare

di SALVATORE MAZZAMUTO

ordinario di diritto civile Università Roma Tre

Anticipiamo la pubblicazione di un saggio del prof. Salvatore Mazzamuto su proposte di modifica al sistema elettorale del Csm e alla sezione disicplinare, di imminente pubblicazione sulla nostra Rivista Giustizia Insieme (num. 1-2 del 2011).
L'articolo vede la pubblicazione, sul medesimo tema, anche dell'intervento del cons. Giovanni Tamburino, attuale presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma e anch'egli, come il prof. Mazzamuto, già Componente del C.S.M.

 

 

 

1-      Una proposta eterodossa a Costituzione invariata ed a futura memoria.

 

L’intero arco delle garanzie in materia giurisdizionale risponde ad un solo e primario obiettivo costituzionale, e cioè quello di assicurare l’indipendenza di ogni singolo magistrato[1].

E’ in questa chiave che vanno letti l’art. 104 co. 1 cost., per il quale “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, come le varie espressioni della libertà  associativa dei magistrati, sino alla previsione del supremo organo di governo autonomo, il CSM.

Il sistema delle cd. correnti, in tale contesto, svolge sicuramente un ruolo positivo di coagulo della rappresentanza e di promozione del pluralismo culturale, ma può anche degenerare in forme che finiscono, almeno in parte, per tradire l’intangibile obiettivo cui deve essere preordinato il sistema del governo autonomo, e cioè, come si è detto, l’indipendenza del singolo magistrato: il risultato è che alla garanzia “esterna” nei confronti degli altri poteri della Stato non corrisponde sempre un’adeguata garanzia “interna” nei confronti delle dinamiche corporative della stessa magistratura.

Il dato di maggiore preoccupazione è costituito dal consolidarsi di prassi istituzionali che vedono le correnti farsi promotrici esclusive della formazione della rappresentanza e, ad un tempo, amministratrici di fatto, in forme lottizzatorie, delle carriere di tutti i magistrati ed anche di quelli destinati alla rappresentanza in un intreccio che genera inevitabilmente programmazioni improprie, conflitti d’interesse e carriere parallele.

Questo duplice ruolo determina uno snaturamento della genuinità della rappresentanza, non più informata all’interesse generale, ma all’interesse correntizio, ed un conseguente depotenziamento dell’effettiva autonomia e legittimazione dell’organo di governo autonomo.

E’ dunque necessario introdurre dei temperamenti che, pur non volendo sopprimere il ruolo delle correnti, anzi volendo riportare queste ultime al loro alveo naturale, rompano il circolo vizioso del monopolio correntizio di rappresentanza e carriere.

In questa direzione, un primo passo è stato già compiuto dalla legge 28 marzo 2002 n. 44, che ha introdotto un sistema maggioritario, basato sulle candidature individuali, in luogo del vecchio sistema proporzionale, basato sul voto di lista.

Alla luce dell’esperienza applicativa, tali accorgimenti appaiono tuttavia bisognosi di ulteriore perfezionamento.

Il punto principale di debolezza è rappresentato dal carattere nazionale dei tre collegi elettorali (cassazione, giudici di merito e pubblici ministeri), con elettorato attivo attribuito a tutti i magistrati ordinari.

E difatti l’ampiezza del collegio e del correlato corpo elettorale hanno rilanciato il ruolo delle correnti come uniche organizzazioni in grado di raccogliere un consenso utile per il successo elettorale, finendo così per neutralizzare gli obiettivi di innovazione che si volevano raggiungere tramite il sistema maggioritario puro, la distinzione della rappresentanza per categorie ed il carattere individuale delle candidature.

A tale riguardo tre sono le tecniche di intervento che si propongono.

In primo luogo, la creazione di collegi elettorali il più possibile circoscritti in ambiti territoriali omogenei ed a tale riguardo appare opportuno aumentare la composizione numerica del CSM giacché un maggior numero di rappresentanti consente la creazione di collegi più piccoli: l’occasione è offerta  dalla necessità di aumentare la rappresentanza togata elettiva, ai fini della contestuale riforma della Sezione disciplinare, tornando alla precedente composizione numerica nel rispetto della proporzione costituzionale tra laici e togati, fatta salva la distinzione per categorie attualmente prevista (tre magistrati di legittimità, dodici magistrati giudicanti di merito e cinque magistrati requirenti presso gli uffici di merito).

Il modello sulla base della composizione numerica aumentata a 20 unità è il seguente: i dodici componenti di spettanza dei giudici di merito danno luogo a dodici collegi uninominali adeguatamente distribuiti sul territorio nazionale; i cinque rappresentanti del P.M. danno luogo a cinque collegi uninominali necessariamente più ampi; i tre magistrati di legittimità danno luogo ad un unico collegio trinominale  per la Corte di Cassazione.

Un tale sistema consente non più solo astrattamente, ma anche concretamente, a singole personalità indipendenti di giocarsi delle chance elettorali, al di fuori dei condizionamenti correntizi, grazie appunto alla dimensione più ristretta del collegio ed alla maggiore vicinanza al corpo elettorale.

Ciò attribuisce, inoltre, un forte rilievo al carattere territoriale della “rappresentanza” già sperimentato in passato, arricchendo il Consiglio di una componente, tra le altre, che faccia anche sentire l’eventuale specificità delle problematiche della giustizia nelle varie aree del Paese. Se vogliamo: un apprezzabile corollario dello stesso Federalismo.

In secondo luogo, si vogliono restringere ulteriormente i corpi elettorali in correlazione con le categorie dell’elettorato passivo.

Sulla scorta di  indirizzi rassicuranti della giurisprudenza costituzionale si propone pertanto che i rappresentanti della Cassazione vengano eletti dai soli magistrati di Cassazione (compresi i magistrati della Procura Generale, attesa la loro funzione nomofilattica, che li distingue dagli altri P.M.); i rappresentanti dei giudici di merito vengano eletti soltanto dai giudici di merito; i rappresentanti dei P.M. vengano eletti soltanto dai pubblici ministeri.

I vantaggi sono quelli di depotenziare ulteriormente l’imperio programmatorio delle correnti, sia perché si restringe sempre più il corpo elettorale di ciascun collegio, sia perché si introducono elementi di coagulo  basati più sul collante territoriale e sulle categorie di appartenenza professionale, secondo del resto il criterio voluto dalla stessa Costituzione (art. 104 co. 4 cit.: “appartenenti alle varie categorie”), che sull’appartenenza correntizia.

Inoltre, considerato che, nel caso dei rappresentanti della Cassazione, non è tecnicamente possibile una soluzione alternativa all’unico collegio nazionale, quello del restringimento dell’elettorato attivo ai soli magistrati di Cassazione costituisce l’unico accorgimento adottabile.

Infine, l’autonoma configurazione della rappresentanza di giudici e P.M. anche dal punto di vista dell’elettorato attivo elimina del tutto la commistione elettorale tra le due categorie e ne attenua quella consiliare che si converte in una dialettica tra distinte esperienze nell’organo di autogoverno, costituendo in tal modo un passaggio ulteriore in vista quanto meno di una più marcata separazione delle funzioni.

Volendo riassumere schematicamente quanto indicato si hanno:

- un unico collegio trinominale per la Cassazione, il cui elettorato attivo è costituito dai soli magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione e la relativa Procura Generale;

- dodici collegi territoriali uninominali per i giudici di merito, il cui elettorato attivo è costituito dai magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito nell’ambito di ciascuna circoscrizione elettorale;

- cinque collegi territoriali uninominali per i P.M., il cui elettorato attivo è attribuito ai magistrati che esercitano la funzione di P.M. presso gli uffici di merito nell’ambito di ciascuna circoscrizione elettorale; alla circoscrizione, che comprende la Corte d’appello di Roma, vanno ascritti i magistrati della DNA;

I magistrati addetti al massimario e quelli collocati fuori ruolo vanno assegnati ai collegi nei quali esercitavano da ultimo le funzioni giurisdizionali.

E’ necessario chiedersi tuttavia se in effetti tutti questi accorgimenti siano sufficienti per gli obiettivi che ci si è proposti.

Al riguardo va riconosciuto, così come è stato in parte per la riforma del 2002, che le “correnti” hanno mostrato una elevata capacità di adattamento, e specialmente di riassorbimento delle candidature individuali.

E’ per questa ragione che, in terzo luogo, si prospetta l’esigenza di un ulteriore e significativo fattore di scompaginamento dell’ordine correntizio, alla stregua di un indirizzo già espresso in passato dal Parlamento in materia di procedure per il reclutamento dei docenti universitari, il sorteggio degli eleggibili.

Il motto della proposta riforma è pertanto il seguente: “ogni magistrato in servizio per il semplice fatto di vedersi attribuito dalla Costituzione il compito di giudicare della vita dei cittadini è di per sé idoneo ad amministrare le carriere dei propri colleghi”.

Al fine di rendere, nello specifico, la funzione del sorteggio ancor più efficace in danno della precostituzione correntizia delle candidature, si è pensato di collocare lo stesso sorteggio non a valle, nell’ambito cioè dei soggetti eletti, bensì a monte, individuando preventivamente la cerchia degli eleggibili[2].

La riforma del sistema elettorale per la rappresentanza togata del CSM costituisce l’occasione propizia – tramite l’aumento del numero dei membri laici e di quelli togati – per risolvere in modo soddisfacente anche a Costituzione invariata l’annoso problema della Sezione disciplinare.

Le classiche disfunzioni della Sezione disciplinare sono le seguenti:

a) L’eccesso di discrezionalità sul punto di diritto della Sezione disciplinare;

b) L’influenza delle correnti sul collegio che ne pregiudica a volte l’imparzialità. Le decisioni del collegio sono spesso precedute da accordi o deliberazioni di gruppo che hanno luogo fuori dalla camera di consiglio;

c) La situazione di frequente incompatibilità, inoppugnabile quanto pervicacemente ignorata, in cui versano i componenti del collegio chiamati sovente a pronunciarsi sugli stessi fatti in sede amministrativa quali membri delle commissioni e del plenum del CSM.

La prima questione è stata già risolta grazie alla tipizzazione degli illeciti disciplinari di cui all’ultima riforma dell’ordinamento giudiziario.

La seconda questione viene oggi affrontata, e si auspica in buona misura risolta, nel quadro più generale dei temperamenti alle degenerazioni correntizie di cui alla proposta riforma elettorale.

La terza questione  esige un intervento urgente ad hoc, e cioè una riforma della sezione disciplinare che, anche nell’interesse degli stessi magistrati, rafforzi le garanzie di un giusto processo disciplinare, fermo restando che un diverso e più incisivo assetto potrà essere adottato in sede di riforma costituzionale nel rispetto comunque dei principi di garanzia che si vogliono sin d’ora introdurre.

Appare quindi possibile – in conformità del resto con gli indirizzi della Corte costituzionale - dare attuazione ai principi del giusto processo ed eliminare in radice le situazioni di incompatibilità assicurando la terzietà ed imparzialità del giudice disciplinare – senza violare il dettato costituzionale circa le prerogative del CSM –  qualora:

a) si aumenti con legge ordinaria il numero di consiglieri in modo da destinarne alcuni alla funzione giudicante in sede disciplinare;

b)  si vieti a tali consiglieri la partecipazione alle deliberazioni amministrative circa i medesimi fatti (trasferimenti  e promozioni) e li si escluda dalle commissioni competenti al riguardo.

Le linee della proposta riforma della Sezione disciplinare nell’ambito della legge ordinaria sull’elezione dei membri togati del CSM e nel rispetto della proporzione (2/3 di membri togati ed 1/3 di membri laici) di cui all’art. 104 Cost. sono le seguenti:

a) Il Consiglio Superiore della Magistratura elegge nel suo seno i membri della Sezione disciplinare in numero di quattro consiglieri laici e di otto consiglieri togati di cui due con funzioni di legittimità, quattro con funzioni giudicanti di merito e due con funzioni requirenti presso uffici di merito. A tale elezione non partecipa il Procuratore generale della Corte di Cassazione in quanto titolare dell’azione disciplinare.

b) I due Collegi giudicanti della Sezione disciplinare, con obbligo reciproco di supplenza, si compongono ciascuno di due consiglieri laici e di quattro consiglieri togati di cui uno con funzioni di legittimità, due con funzioni giudicanti di merito e uno con funzioni requirenti presso uffici di merito e sono presieduti dal consigliere laico più votato dal Parlamento. Il funzionamento sulla base di due collegi giudicanti consentirà inoltre un guadagno di produttività e di efficienza  rispetto alle odierne lungaggini del procedimento disciplinare.

c) Il vicePresidente del Consiglio Superiore della Magistratura dirige la Sezione disciplinare limitatamente alla organizzazione dei lavori, alla distribuzione degli affari tra i due collegi, alle eventuali supplenze, secondo criteri predeterminati stabiliti con apposite tabelle che vengono sottoposte ogni due anni all’approvazione del Plenum.

d) Il numero dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura è elevato di due consiglieri laici e di quattro consiglieri togati elettivi di cui uno con funzioni di legittimità, due con funzioni giudicanti di merito e uno con funzioni requirenti presso uffici di merito.

 

2- Aspetti di costituzionalità dell’elettorato passivo: il sistema misto di sorteggio ed elezione.

 

Il Governo della Magistratura nel disegno costituzionale non è un vero e proprio sistema di autogoverno elettivo giacché la componente elettiva è bilanciata dai membri di diritto e dai membri laici nominati dal Parlamento e si tratta semmai di un sistema di governo autonomo..

La Costituzione all’art. 49 offre una esplicita copertura al ruolo dei partiti nel determinare la politica nazionale e ciò ne giustifica la pesante interferenza anche nella competizione elettorale. Nessuna copertura – viceversa - è prevista per l’associazionismo dei magistrati se non il generico diritto di associazione di cui all’art. 18 Cost..

L’elettorato passivo non costituisce un diritto incondizionato in nessun sistema elettorale fin qui sperimentato con legge ordinaria per il rinnovo del Parlamento. Basti riflettere sulla circostanza che la proponibilità della candidatura è subordinata all’appartenenza ad un gruppo presente in Parlamento od alla raccolta di un numero sufficiente di firme od ancora che l’eleggibilità nella parte proporzionale della Camera dopo abolizione del voto di preferenza dipende di fatto dalla posizione nella lista. Si tratta di limitazioni dell’elettorato passivo che si giustificano con ragioni di stabilità del sistema del politico e di contrasto alla frantumazione della rappresentanza parlamentare rimesse alla discrezionalità del legislatore.

Ben può quindi il legislatore condizionare l’elettorato passivo nella formazione del CSM tramite per l’appunto un sorteggio previo per le ragioni altrettanto degne di garantire la genuinità della rappresentanza e l’indipendenza “interna” del singolo magistrato rispetto allo strapotere correntizio. Si consideri fra l’altro che a mente dell’art. 107 Cost. i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni ed una tale copertura costituzionale concerne tutte le modalità di esplicazione del ruolo e quindi anche i compiti di rappresentanza nell’organo di governo: ne discende che qualsivoglia correttivo come il sorteggio deputato a garantire tale eguaglianza ed a proteggere il magistrato dagli effetti di un sistema para-partitico è da ritenersi costituzionalmente ammissibile.

Il punto di riferimento primario ai fini della valutazione di costituzionalità è costituito dall’art. 104 co. 4 cost., il quale a proposito della composizione del CSM dispone che: “Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.”.

Si tratta di verificare, infatti, se un sistema misto sorteggio-elezione sia compatibile con il concetto di elezione di cui alla citata norma. Si potrebbe, prima facie, chiudere subito il discorso, osservando che una cosa è l’alternativa secca tra sorteggio ed elezione, altra cosa è invece che il sorteggio si innesti come momento di un procedimento che mantiene la sua natura di elezione.

Persino nelle elezioni politiche (e/o amministrative) – cosa peraltro assai diversa dal caso di specie - non mancano momenti in cui si ricorre allo strumento del sorteggio. Si tratterebbe tuttavia di un approccio nominalistico e superficiale, mentre occorre indagare a fondo sul significato sistematico del ricorso al termine “elezione”.

Ciò comporta anzitutto considerare il piano della “funzione” costituzionale del CSM.

Ora non vi è dubbio che il CSM sia un organo di garanzia, e proprio per questa ragione esso sfugge alla logica di un organo “rappresentativo”. Sul punto, oltre alla diffusa opinione della dottrina, si è già chiaramente espresso il giudice delle leggi, a proposito del potere autorizzatorio attribuito al Ministro di Grazia e Giustizia e non al CSM per i reati di vilipendio dell’ordine giudiziario: “Né può affermarsi, come si assume, che il Consiglio superiore rappresenti, in senso tecnico, l'ordine giudiziario, di guisa che, attraverso di esso, se ne realizzi immediatamente il cosiddetto autogoverno (espressione, anche questa, da accogliersi piuttosto in senso figurato che in una rigorosa accezione giuridica): con la conseguenza che, esercitando il potere autorizzativo in questione, esso verrebbe ad agire in luogo, per conto ed in nome dell'ordine giudiziario medesimo. La composizione mista dell'organo, solo in parte - anche se prevalente - formato mediante elezione da parte dei magistrati, e per altra parte, invece, da membri eletti dal Parlamento (tra i quali dev'essere scelto il Vicepresidente), oltre che da membri di diritto, tra cui il Capo dello Stato, che lo presiede, si oppone chiaramente ad una simile raffigurazione.” (così C. cost. n. 142/1973).

A queste notazioni potrebbero aggiungersi ulteriori dati esegetici non meno significativi.

I commi 6 e 7 dello stesso art. 104 cost. dispongono: “I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. ”.

Si tratta di consuete tecniche giuridiche con le quali si vuole preservare l’esercizio imparziale di una funzione di garanzia: la non rieleggibilità mira ad evitare che il componente in carica sia indotto ad esercitare la funzione in modo da compiacere i propri elettori nella prospettiva di un nuovo mandato; le incompatibilità, sempre a tutela della funzione, mirano a costruire una impermeabilità rispetto ad interessi economico-professionali o legati ad attività (pur istituzionali) di indirizzo politico.

Per certi versi ancora più incisiva è una precedente pronuncia della Corte, in ordine all’istituzione, in seno al CSM, della sezione disciplinare: “Passando all'esame della prima questione, si deve ribadire (cfr. sent. n. 44 del 1968) che il Consiglio superiore é stato voluto dalla Costituzione in diretta attuazione del principio secondo il quale " la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104) e che, in funzione di siffatta garanzia, ad esso é stato riservato (art. 105) ogni provvedimento concernente lo stato dei magistrati: sicché l'effetto proprio del conferimento di tali attribuzioni al Consiglio é quello di escludere, in materia, la competenza di altri pubblici poteri e di impedire che l'esercizio di esse (salvo il caso dell'azione disciplinare) possa essere condizionato ad iniziative esterne (cfr. sent. n. 168 del 1963). Ma, rispettata tale riserva, la legge - alla quale é demandata, nell'ambito delle indicazioni fondamentali contenute nell'articolo 104, la determinazione della concreta struttura del Consiglio, ed alla quale lo stesso art. 105 rinvia per la disciplina che deve presiedere all'esercizio delle funzioni ivi elencate - può legittimamente porre norme attinenti all'organizzazione di quel consesso: e tali sono, indubbiamente, quelle che concernono l'istituzione di un'apposita sezione disciplinare. Dalle norme costituzionali di raffronto, in definitiva, non é data in alcun modo la possibilità di dedurre che la Costituzione abbia voluto che tutte le competenze elencate nell'art. 105 siano esercitate dal Consiglio nel suo plenum; ché invece, il largo spazio riservato al legislatore ordinario induce a negare l'esistenza di una siffatta direttiva. Né questa può ricavarsi da un principio che, secondo la tesi sostenuta dalle parti, sarebbe comune a tutti gli organi ai quali la Costituzione direttamente attribuisce determinate competenze, principio del quale l'art. 72, terzo comma, darebbe indiretta conferma. Ed invero é da ritenere che per quanto riguarda l'ordinamento di tali organi sia necessario tener conto, di volta in volta, della peculiarità delle singole funzioni e del grado di maggiore o minore dettaglio col quale la Costituzione o leggi costituzionali ne abbiano disciplinato la struttura ed il funzionamento. E nella specie - come si é detto e come già fu messo in luce, ad altri effetti, nella sent. n. 168 del 1963 - non c'é dubbio che gli artt. 104 e 105 Cost. abbiano affidato al legislatore ordinario un ampio potere di organizzazione.

Va peraltro aggiunto che, se nessun precetto costituzionale vieta l'articolazione del Consiglio superiore in sezioni, nel determinare la struttura di queste si deve rispettare l'autonomia del Consiglio, al quale va demandata la scelta dei componenti, ed occorre necessariamente tener conto delle linee fondamentali secondo le quali, in conformità dell'art. 104 Cost., risulta strutturato il consesso. Con quest'ultima affermazione si vuol dire che il legislatore non può istituire sezioni deliberanti nelle quali non siano presenti componenti eletti dal Parlamento o componenti appartenenti ad una delle categorie di magistrati che concorrono alla formazione del Consiglio: e ciò non perché in questo si faccia luogo a rappresentanza di interessi di gruppo - il che sarebbe del tutto inconciliabile con il carattere assolutamente generale degli interessi affidati alla cura di quell'organo -, ma in considerazione del fatto che le linee strutturali segnate nell'art. 104 Cost., ispirate all'esigenza che all'esercizio dei delicati compiti inerenti al governo della magistratura contribuiscano le diverse esperienze di cui le singole categorie sono portatrici, devono trovare ragionevole corrispondenza nelle singole sezioni, quando a queste siano commessi poteri deliberanti” (C. cost. n. 12/1971).

Da queste statuizioni emergono almeno due chiarissimi principi: 1) che sussiste un ampio rimando alla conformazione “legislativa” del CSM; 2) che il concorso (persino all’interno delle varie categorie) dei magistrati ha la funzione di apportare un qualificato contributo esperienziale ai delicati compiti di garanzia dell’organo e giammai quella di rappresentanza di interessi di gruppo!

La suddetta pronuncia è anche significativa perché risponde ad un quesito relativo ad una norma che contempla, sempre con modalità mista, il metodo del sorteggio: “a) se siano costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli artt. 104 e 105 Cost., gli artt. 1 e 2 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, nella parte in cui essi "demandano la cognizione dei procedimenti disciplinari, anziché all'intero Consiglio, ad una sezione di esso composta di quindici membri eletti all'interno dell'organo, la quale delibera, poi, con solo nove componenti estratti a sorte"”.

La Corte salva l’art. 1, ammettendo la possibilità della costituzione della sezione disciplinare, ma dichiara l’incostituzionalità dell’art. 2: “A diversa conclusione si deve invece pervenire per l'art. 2, secondo il quale, nell'ambito della sezione, il collegio deliberante per il singolo procedimento é composto, oltre che dal vice presidente, da due membri eletti dal Parlamento, da tre magistrati di Cassazione (di cui uno con ufficio direttivo) e da tre magistrati di appello o di tribunale: tutti prescelti col metodo del sorteggio fra i componenti della Sezione. In base a quanto innanzi é stato precisato, la norma risulta viziata di illegittimità costituzionale perché consente che il singolo collegio possa risultare composto con la totale esclusione dei magistrati di appello o dei magistrati di tribunale. Vero é che l'ultima parte del primo comma prevede che "almeno due" dei suddetti magistrati debbano appartenere alla stessa categoria dell'incolpato e che il secondo comma stabilisce che, procedendosi nei confronti di un uditore o di un aggiunto, due dei componenti debbano essere magistrati di tribunale: ma é ovvio che anche in questi casi il meccanismo é tale da poter comportare l'esclusione dal collegio di tutti i magistrati di appello o di tutti i magistrati di tribunale. E risulta con ciò violato l'art. 104 Cost., perché nell'esercizio di una delle più delicate competenze del Consiglio, non é assicurata la presenza di tutte le categorie che, in base alla stessa legge, concorrono alla formazione del consesso unitario”.

Ebbene, è del tutto evidente, in perfetta coerenza con i principi enunciati, che la norma viene censurata non in quanto preveda di per sé un meccanismo di sorteggio, bensì in quanto tale meccanismo, per come ivi congegnato, avrebbe potuto portare alla esclusione dei soggetti appartenenti ad una delle categorie di magistrati.

Alla luce di questo sopra evidenziato appare indiscutibile la discrezionalità del legislatore nell’introdurre nel procedimento elettivo temperamenti volti a rafforzare l’esercizio imparziale della funzione. In particolare poi, nel momento in cui si registra, nell’attuazione dell’ordinamento elettorale vigente, il pericolo concreto (per alcuni la certezza) di una deviazione delle cd. correnti associazionistiche dei magistrati in una “rappresentanza di interessi di gruppo”, del tutto in contrasto, come ha chiarito la Corte, con il ruolo istituzionale del CSM.

Ebbene, il ricorso al sorteggio costituisce appunto una delle tecniche volte a rafforzare il principio di imparzialità. Di ciò si ha ulteriore riscontro sempre nella giurisprudenza costituzionale: “Il ricorso al sorteggio e all'assegnazione in parti uguali dei candidati tra le commissioni plurime, infatti, é modalità idonea a soddisfare entrambi i precetti di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione” (C. cost. n. 620/1987).

Ma si prenda il caso dei concorsi universitari. Un caso significativo perché qui il legislatore è lungamente ricorso proprio al sistema misto sorteggio-elezioni (poi abbandonato ed oggi riesumato). Anche per ciò che concerne le Università la cui autonomia pure gode di una copertura costituzionale all’art. 33, il legislatore ordinario ha ritenuto, quindi, di frapporre un ostacolo alle cd. cordate “baronali”con l’introduzione del sorteggio degli eleggibili quale correttivo dell’elezione diretta delle commissioni di concorso (un sistema del genere era stato adottato per i concorsi universitari nazionali a professore associato mentre il sistema attuale prevede un meccanismo invertito “prima elezioni e poi sorteggio”).

La giurisprudenza amministrativa ha sempre ricondotto il sorteggio in questione all’art. 97 cost.: “Le norme sul sorteggio dei componenti le commissioni giudicatrici di determinati concorsi mirano a garantire l' imparzialità dell'organo selettore” (T.A.R. Lazio, sez. I, 11 dicembre 1987 ,  n. 1960); “In sede di concorso per l'accesso nel ruolo dei docenti universitari di prima fascia, la scelta dei componenti la commissione giudicatrice di comprovata competenza e prestigio è garantita, nell'attuale ordinamento, dall'adozione della competizione elettorale la quale, per la presumibile rispondenza delle scelte migliori alle decisioni della maggioranza, assicura la nomina dei professori più qualificati tra i docenti, elettori passivi, di discipline comprese nei raggruppamenti per i quali è indetta la procedura concorsuale, mentre il successivo momento del sorteggio nel numero degli eletti serve ad assicurare, attraverso la garanzia della segretezza, tipica delle estrazioni a sorte, la obiettività e l'imparzialità delle scelte dei componenti effettivi, in armonia con il principio costituzionale espresso dall'art. 97, Cost.” (T.A.R. Lazio, sez. I, 30 novembre 1990 , n. 1168) “In caso di rinnovazione di una procedura concorsuale a posti d professore universitario di prima fascia a seguito di annullamento ministeriale, occorre rispettare il principio del c.d. sistema misto (elettivo e per sorteggio ) per la imparziale nomina della commissione previsto dall'art. 3 comma 6 l. 7 febbraio 1979 n. 31. È pertanto viziata la procedura che in tale evenienza ha previsto la sostituzione dell'iniziale commissione con una successiva composta da docenti eletti ma non sorteggiati.” (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 01 dicembre 1999 , n. 3795).

Semmai, si è addirittura arrivati, pur infondatamente, a prospettare un problema opposto, e cioè se la penultima riforma del sistema dei concorsi universitari, espungendo il sorteggio, non si ponesse in contrasto con gli art. 3, 33, 51 co. 1 e 97 cost.: “È manifestamente infondata la questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, 33, 51 comma 1 e 97 cost. del nuovo sistema di reclutamento dei docenti universitari, introdotto dall'art. 2 l. 3 luglio 1998 n. 210, nella parte in cui nel procedimento di composizione della commissione giudicatrice è assente la fase del sorteggio dei commissari, essendo prevista la designazione di un membro da parte della Facoltà e quella dei restanti quattro commissari da parte dell'intera comunità scientifica nazionale di settore, dal momento che in ciò non è ravvisabile alcuna irrazionalità né contrasto con i parametri di efficienza e trasparenza, anzi, in disparte ipotesi di eventuale patologia dei fenomeni, la migliore espressione di un giudizio avente esclusiva natura tecnico discrezionale non può che provenire da esperti del settore, individuati attraverso il metodo elettivo che non può qualificarsi parziale, salvo dimostrazione del contrario.” (Consiglio Stato, sez. VI, 25 settembre 2006 , n. 5608).

Tornando al CSM non si può neppure eccepire avverso la proposta riforma l’ostacolo della esclusione di una delle categorie di magistrati, così come è avvenuto in C. cost. n. 12/1971 cit. Ed infatti qui il sorteggio avviene separatamente all’interno di ciascuna categoria, senza dunque la possibilità che vengano estratti soltanto magistrati di una o alcune categorie ad esclusione di altre. Il concorso delle “diverse esperienze di cui le singole categorie sono portatrici” rimane integralmente salvo.

Tutto quanto si è andato dicendo consente anche di ritenere privi di pregio residuali dubbi di costituzionalità alla luce degli artt. 3 e 51 cost.

Non si può certo ritenere intaccato il principio di eguaglianza in senso stretto. Dai classici greci del pensiero filosofico e politico il ricorso alla Dea bendata ha da sempre costituito nella nostra civiltà l’espressione massima dell’eguaglianza. Né si pone un problema di irragionevole limitazione del diritto di elettorato passivo dei magistrati.

Intanto, è discutibile che si tratti in effetti di una “limitazione” di tale diritto, dato che “tutti” i magistrati si giocano di volta in volta la chance di venir sorteggiati. In ogni caso, non può certo considerarsi irragionevole una (presunta) limitazione di tale diritto che temperi il sistema in vista del perseguimento di un valore costituzionale, quale è certamente quello dell’esercizio il più possibile imparziale della funzione di garanzia assegnata al CSM (artt. 97 e 104 Cost.).

Come si è già visto, in un ambito ben meno rilevante, quello dei concorsi universitari, non si è mai posto un problema di costituzionalità del sistema misto sorteggio-elezioni.

Persino, nel quadro della rigorosa giurisprudenza costituzionale sulle elezioni politiche (e/o amministrative), le superiori considerazioni rimarrebbero valide. Anche in quel caso, dove il carattere “rappresentativo” delle elezioni ha il massimo rilievo e si investono diritti “inviolabili” espressione del principio democratico, si ammettono ragionevoli limitazioni a tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti (C. cost. n. 235/1988, 510/1988, 571/1989, 141/1996).

Ciò si precisa solo ad abundantiam, poiché dovrebbe essere chiaro che i parametri costituzionali hanno qui una sostanza ben diversa. Una cosa è l’accesso alle cariche elettive, sulle quali si è principalmente impegnata la giurisprudenza e che sono espressione della partecipazione democratica all’esercizio del potere politico, tutta altra cosa è l’accesso a cariche elettive che, lungi dal voler servire la rappresentanza degli elettori, riguardano l’esercizio imparziale di funzioni di garanzia e che, a maggior ragione, giustificano temperamenti volti appunto a tutelare i caratteri (costituzionali) della funzione.

In altre parole, l’art. 51 costituisce una specificazione del principio di eguaglianza in un ambito assai amplio (accesso “agli uffici pubblici e alle cariche elettive”), ma non può che atteggiarsi in modo articolato a seconda della tipologia di incarichi pubblici che vengono in gioco. Si pensi a quanti requisiti selettivi possono entrare in gioco per l’accesso tramite concorso agli uffici pubblici (l’età, la cittadinanza italiana etc), senza per questo ledere il principio di eguaglianza.

Una tale diversificazione ovviamente riguarda anche le cariche elettive, poiché l’elezione può avere valenze assai diverse. Certamente, la rigorosa giurisprudenza costituzionale formatasi attorno alle elezioni politiche e amministrative si potrebbe, peraltro con tutti i limiti dell’analogia, utilizzarsi nel caso di specie, qualora anche l’elezione dei magistrati al CSM svolgesse una funzione “rappresentativa” (anche se di rappresentanza non politica, ma corporativa), ma come si è visto, secondo le inequivocabili statuizioni della Corte costituzionale, la suddetta elezione non ha affatto una funzione rappresentativa (anzi una logica rappresentativa sarebbe contraria alla natura di garanzia dell’organo), bensì assolve soltanto alla funzione di garantire l’apporto dell’esperienza professionale dei magistrati all’esercizio dei delicati compiti del CSM.

Non ha pregio neppure la possibile obiezione a contrario che il legislatore costituzionale quando ha voluto introdurre un sistema misto di elezione e sorteggio lo ha fatto espressamente come nel caso dell’art. 135 Cost. a proposito dei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica. Qui intanto il sorteggio è a valle dell’elezione e concerne la composizione della Corte in ogni singolo processo: una composizione che il legislatore costituzionale ha voluto arricchire sul modello della giuria popolare tramite l’intervento di sedici membri tratti da un elenco di cittadini con determinati requisiti compilato dal Parlamento per nove anni con apposita elezione. E’ giocoforza che il legislatore costituzionale sia ricorso al sorteggio il quale non si rappresenta per nulla come una deroga espressa ad un supposto principio di rango costituzionale di segno opposto ma tutt’al contrario come una conseguenza necessitata della scelta di un determinato modello di organo giudicante. Il sorteggio qui ha dunque una funzione eminentemente tabellare e com’è noto  ogni sistema tabellare – imprescindibile al fine di assicurare il rispetto del giudice naturale precostituito per legge di cui all’art. 25 Cost. – ha come elemento caratterizzante proprio il caso: si tratti o meno di sorteggio.

5) Un ultima considerazione a proposito del suggerimento che pure circola di invertire il meccanismo anche per il CSM prevedendo “prima elezioni e poi sorteggio”. Qui a parte il dubbio circa la minore efficacia nel contrasto al correntismo, aumenta viceversa il rischio di incostituzionalità: l’art. 104 Cost. parla di elezione mentre il suddetto meccanismo darebbe luogo in realtà ad una nomina per sorsteggio e l’elezione degraderebbe a mero veicolo di individuazione dei sorteggiabili.

 

3-      Aspetti di costituzionalità dell’elettorato attivo: la rappresentanza per categorie.

 

L’art. 104 co. 4 cost. dispone che i componenti togati del CSM vengano eletti “da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie”.

La Corte costituzionale, non da ora, ha tuttavia statuito che “se é vero che la Costituzione prevede la distinzione per categorie, con riferimento soltanto all'elettorato passivo, da ciò non può derivare, come si assume, la illegittimità delle norme di attuazione, per il fatto che, agli stessi criteri di ripartizione, ci si é attenuto per la formazione dei collegi elettorali. Giacché la rispondenza fra questi e le condizioni di eleggibilità (come si é del resto già rilevato nella ricordata sentenza n. 111 del 1963) non può ritenersi ingiustificata, anche in questo caso, dato lo speciale carattere dell'organo elettivo, preposto dalla Costituzione al governo della Magistratura e per garantirne l'indipendenza.” (C. cost. n. 168 del 1963).

La questione si era posta riguardo all’originario disposto dell’art. 23 co. 3 L. n. 195 del 1958: “Alla elezione dei magistrati componenti del Consiglio superiore partecipano tutti i magistrati, votando ciascuno per i componenti appartenenti alla propria categoria.”.

 

4-Aspetti di costituzionalità di una autonoma Sezione disciplinare in seno al CSM.

 

La Corte costituzionale ha non da ora affermato in materia due principi.

Il primo principio è che la disciplina costituzionale consente al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità in ordine alla “disciplina delle funzioni e dell'organizzazione interna del Consiglio”. Sulla scorta di tale principio la Corte costituzionale ha ritenuto, in particolare, che legittimamente la legge 195 del 1958 abbia previsto che il CSM “il potere disciplinare, debba esercitarlo, anziché in sede plenaria, in una composizione più ristretta costitutiva della Sezione disciplinare” (cfr. Corte cost. 2 febbraio 1971, n. 12 e Corte cost.12 marzo 1998, n. 52).

Il secondo principio è che il procedimento giurisdizionale di fronte alla Sezione disciplinare presenta carattere di “peculiarità e atipicità”, e ciò perché “sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento stesso, comunque configurato dal legislatore ordinario, si svolga in modo tale da non ostacolare l'indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore”, nella prospettiva teleologica della “garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura” (Corte cost. 22 luglio 2003, n. 262).

Tutto ciò peraltro non ha impedito alla Corte costituzionale, in ragione della natura “giurisdizionale” del procedimento disciplinare, di farsi carico dei principi costituzionali in materia di giurisdizione, specialmente alla luce dei principi di imparzialità del giudice e del “giusto processo”, come sanzionati dall’art. 24 e dal novellato art. 111 cost.

La Corte costituzionale, di recente, ha poi così statuito:

È costituzionalmente illegittimo l'art. 4 l. 24 marzo 1958 n. 195, nel testo modificato dall'art. 2 l. 28 marzo 2002 n. 44, nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della sezione disciplinare. Premesso che sussiste un interesse costituzionalmente protetto a che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, il cui svolgimento in forme giurisdizionali è affidato alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che costituisce emanazione del medesimo Consiglio, si svolga in modo tale da non ostacolare l'indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore e che detto interesse deve essere posto a raffronto con il principio di imparzialità terzietà della giurisdizione, espresso dagli art. 24 e 111 cost., le norme denunciate violano gli art. 3, 24 e 111 cost., sotto il profilo dell'imparzialità della giurisdizione, poiché non prevedono una soluzione organizzativa che impedisca, nelle ipotesi di annullamento con rinvio di una decisione della sezione disciplinare da parte delle sezioni unite della Cassazione, che lo stesso collegio giudicante si pronunci due volte sulla medesima "res iudicanda"; soluzione che deve essere individuata nella elezione, da parte del Consiglio superiore della magistratura, in aggiunta ai membri supplenti della sezione disciplinare già previsti, di ulteriori componenti, in modo da consentire la costituzione, per numero e categoria di appartenenza, di un collegio giudicante diverso da quello che abbia pronunciato una decisione successivamente annullata con rinvio dalle sezioni unite della Cassazione.” (Corte cost., 22 luglio 2003, n. 262 cit.).

La Corte di Cassazione, qualche mese prima della citata sentenza del giudice costituzionale, ebbe modo a sua volta di affermare:

È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 24 e 111 cost., sotto il profilo della necessaria terzietà ed imparzialità dell'organo giudicante, la q.l.c. delle norme disciplinanti la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nella parte in cui prevedono una parziale coincidenza della sua composizione con quella del plenum del Csm, competente a decidere sulla richiesta di trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale dello stesso magistrato incolpato, ai sensi dell'art. 2 r.d.lg. 31 maggio 1946 n. 511; e ciò, stante la differente natura dei due procedimenti (amministrativa quella del trasferimento per incompatibilità ambientale; giurisdizionale quella del procedimento disciplinare) e la diversità dell'oggetto e delle finalità di essi, anche quando i fatti che li abbiano generati siano gli stessi. Essendo pertanto escluso in radice il problema dell'incompatibilità, neppure v'è spazio per una interpretazione adeguatrice delle disposizioni di legge vigenti, il ricorso ad essa essendo consentito solo quando la norma offra più possibilità interpretative, l'una conforme e l'altra difforme rispetto ai principi della Costituzione.” (Cassazione civile , sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1994).

Ebbene, nonostante la sopravvenuta (e già ricordata) sentenza della Corte costituzionale, le SS. UU. della Cassazione hanno consolidato il suddetto orientamento (da ult. ad es. Cass. civ. , sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27172), senza in alcun modo farsi carico del rilievo dei principi stabiliti dal nuovo art. 111 cost., per come anche esplicitati dalla Corte costituzionale.

Non può così non rilevarsi come il “diritto vivente” appaia decisamente in contrasto con il necessario bilanciamento dei valori costituzionali in gioco.

E difatti:

a) da un lato, non vi è dubbio che la sovrapposizione di ruoli in capo ad un medesimo componente del CSM tra funzione giurisdizionale della Sezione disciplinare e le altre funzioni amministrative delle Commissioni e del Plenum costituisce un serio vulnus all’imparzialità del giudice disciplinare, poiché vengono in gioco, pur a fini diversi, l’accertamento e la valutazione di “medesimi” fatti;

b) d’altro lato, la eventuale (se non costituzionalmente doverosa) configurazione legislativa di un regime incompatibilità non sembra in alcun modo pregiudicare quell’interesse costituzionalmente rilevante che la Corte costituzionale pone a fondamento degli aspetti di speciali)tà del procedimento disciplinare rispetto ai principi della comune funzione giurisdizionale, ed in particolare, ovviamente, ai principi dell’imparzialità del giudice e del giusto processo.

Il vero è che si manifesta del tutto “formalistico”, il distinguo che le SS. UU. prospettano tra la natura “giurisdizionale” della funzione disciplinare e la natura “amministrativa” delle altre funzioni, dato che ciò che assume rilievo è piuttosto il contenuto “sostanziale” delle rispettive attività e del loro effettivo sovrapporsi rispetto alla garanzia dell’imparzialità del giudice disciplinare. Tanto più se si considera che la disciplina della ricusazione nel vigente ordinamento processuale si riferisce proprio ai casi in cui un magistrato abbia espresso propri convincimenti al di fuori dell’esercizio della funzione giudiziaria (art. 36 n. 1 lett. c) c.p.p.).

 

 

 

 

 

 


[1] Si leggano quale utile premessa Stefano Rodotà La vita e le regole. Tra diritto e non diritto Feltrinelli 2006, Yves Sintomer Il potere al popolo. Giurie cittadine sorteggio e democrazia partecipativa Dedalo 2009, Stefano Livadiotti

Magistrati. L’ultracasta Bompiani 2009.

[2] La proposta di un sorteggio previo degli eleggibili è stata oggetto di una sollevazione giornalistica (La Repubblica 11 luglio 2009) alla quale si intende rispondere nel presente saggio  ma che dire del Corriere della Sera 2 luglio 2011 i cui editorialisti con piglio altrettanto superficiale ci propongono addirittura il sorteggio puro e semplice questo sì davvero incostituzionale. Come dire che tra la correntocrazia di cui si fa paladina Repubblica e la riduzione del magistrato a capite deminutus di cui si fa paladino il Corriere tertium non datur. Ci auguriamo che sul tema possa svilupparsi finalmente un dibattito pacato e tecnicamente avvertito.

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