Cottimo e giudici
di Mario PISCITELLO (Giudice di Pace a MIlano)
A) I giudici, tutti i giudici, in base ad un fondamentale principio comunemente condiviso, debbono non solo essere ma anche apparire indipendenti, obiettivi ed imparziali.
Quindi non possono e non debbono avere interessi economici, neppure indiretti, connessi in qualche modo con la causa da decidere.
La Corte costituzionale, in una sua non recente Sentenza, dalla quale non si e' mai discostata, ha infatti affermato che «Va escluso nel giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere, e deve esigersi che la legge garantisca l'assenza di qualsiasi aspettativa di vantaggi, come di timori di alcun pregiudizio, preordinando gli strumenti atti a tutelare l'obiettività' della decisione» (Sent. n. 60/1969).
L'indipendenza e l’imparzialità' del giudice- pacificamente anche se implicitamente sempre ritenute essenziali per la funzione giurisdizionale - con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, sono state espressamente e solennemente affermate (o riaffermate). Una disposizione introdotta dalla citata legge stabilisce, infatti, che «Ogni processo si svolge (deve svolgersi)... davanti a giudice terzo e imparziale.» (art. 111, secondo comma, della Costituzione).
B) Ma possono essere (o apparire) indipendenti, obiettivi ed imparziali i giudici il cui trattamento economico (e in particolare l’ammontare dei loro compensi) dipende (o può dipendere) in larga misura dalle “scelte” processuali, peraltro, pienamente legittime, di una delle parti in causa?
E’ una domanda retorica alla quale, a parere di chi scrive, nessuno, per onestà intellettuale, potrebbe dare una risposta positiva.
Alcune leggi ordinarie, però, con enorme pregiudizio per la credibilità della giustizia, consentono ad una delle parti in causa di “determinare”, sia pure in modo indiretto, il trattamento economico (e quindi l’ammontare dei compensi) di molti giudici (in particolare giudici di pace e giudici tributari). E tra i giudici tributari –circostanza non per nulla marginale o irrilevante- tanti (circa mille) sono magistrati ordinari ancora in servizio.
C) La legge 21 novembre 1991, n. 374, all’art. 11, comma 2, stabilisce, infatti, che “Ai magistrati onorari che esercitano la funzione di giudice di pace è corrisposta un'indennità di € 36,15 per ciascuna udienza civile o penale, anche se non dibattimentale, e per l'attività di apposizione dei sigilli, nonché di € 56,81 per ogni altro processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo.” E il Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, all’art. 13, comma 2, prevede che ai giudici tributari, oltre al compenso mensile, venga corrisposto “un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito”. Con un recente decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in data 24 marzo 2006, il compenso aggiuntivo per i giudici tributari è stato determinato in € 100,00.
Quindi sia ai giudici di pace (per ciascun processo assegnato e comunque definito o cancellato dal ruolo) sia ai giudici tributari (per ogni ricorso definito) compete un certo compenso: ai giudici di pace € 56,81 (euro cinquantasei/81), ai giudici tributari € 100 (euro cento).
Non di rado davanti agli anzidetti giudici uno stesso ricorrente impugna anche dieci o cento o mille atti avente lo stesso oggetto. Per impugnarli, a sua insindacabile scelta, può presentare tanti ricorsi oppure un solo ricorso (c.d. ricorso cumulativo). La Corte di cassazione ha peraltro ritenuto, richiamando l’art. 104 cod. proc. civ., ammissibile il ricorso cumulativo anche nel processo tributario. (Sez V Sent. n. 7359/02, Sent. n. 19666/04).
Ma nel caso in cui il ricorrente presenti tanti ricorsi, pur avendo la possibilità di presentarne uno solo, non può escludersi –anzi deve ritenersi probabile- il tentativo di accattivarsi la “benevolenza” del giudice.
Dalla scelta del ricorrente, infatti, dipendono i compensi del giudice il quale può essere (o apparire) positivamente o negativamente “condizionato” a seconda del vantaggio che riceve o che non riceve, anche se non può escludersi che qualche singolo giudice, per non apparire condizionato, possa emettere sentenza di rigetto per chi presenta tanti ricorsi e di accoglimento per chi presenta un solo ricorso “cumulativo”.
In entrambi i casi, però, la sentenza è “viziata” perchè il giudice non è obiettivo.
D) Ed il fenomeno può assumere (ed ha assunto) dimensioni clamorose.
Recentemente una Società che opera nel settore della locazione finanziaria ha presentato ad una stessa Commissione tributaria provinciale 1.095 (ripeto 1.095) ricorsi, sostanzialmente identici, contro altrettanti avvisi di accertamento concernenti tasse automobilistiche relative agli anni 2000, 2001 e 2002.
Non sfugge a nessuno che per i giudici tributari della "fortunata" Commissione tributaria la scelta dell’anzidetta contribuente, la quale avrebbe potuto presentare anche un solo ricorso o pochi ricorsi, determinerà o ha determinato compensi (aggiuntivi) complessivamente di 109.500 euro (circa duecento milioni delle vecchie lire).
E) La norma di cui all’art. 11, comma 2, della L. n. 374/91 (concernente i giudici di pace) e la norma di cui all’art. 13, comma 2, del D.L.vo n. 545/92 (concernente i giudici tributari), nella parte in cui prevedono il “cottimo”, un certo compenso per ogni procedimento, sono di dubbia legittimità in relazione ad alcuni principi costituzionali (art. 101, comma 2, “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”; art. 111, comma 2, “Ogni processo si svolge ...davanti a giudice terzo e imparziale.”).
Su una delle anzidette norme in passato è stata già investita la Corte costituzionale, la quale, però, non ha mai emesso una pronuncia di merito. E’ auspicabile comunque, a mio parere, che alla Corte costituzionale venga offerta qualche altra occasione perchè la stessa possa emettere una pronuncia coerente con la sua stessa esortazione per la quale «deve esigersi che la legge garantisca l'assenza (nel giudice) di qualsiasi aspettativa di vantaggi... preordinando gli strumenti atti a tutelare l'obiettività' della decisione» (Sent. n. 60/1969).
F) A completamento di queste brevi osservazioni nelle quali non si è neanche “dubitato” del corretto comportamento dei giudici di pace (o dei giudici tributari), non si può e non si deve ignorare l’allarme lanciato qualche anno fa da alcuni membri dello stesso Consiglio superiore della Magistratura che in relazione al cottimo hanno scritto: “Gli effetti anomali del sistema di retribuzione (prevalentemente “a cottimo”) dei giudici di pace costituiscono costante e prevalente causale dei rilevi deontologici che interessano i magistrati onorari, di cui il plenum è giudice disciplinare. Nonostante il limite previsto di recente per le indennità dei giudici di pace (72.000 euro annui), continuano a pervenire segnalazioni di condotte finalizzate ad incrementare l’utile economico attraverso autentiche distorsioni della giurisdizione. Si tratta di condotte che...imporrebbero una seria revisione normativa delle modalità di compenso delle attività della magistratura di pace.”.
Il “cottimo”, a mio parere, è incompatibile con la funzione giurisdizionale. Ma se non fosse (o se non fosse ritenuto) incompatibile con la funzione giurisdizionale sarebbe difficile respingere la proposta di coloro (e non sono pochi) che vorrebbero estendere il cottimo anche ai magistrati professionali...
24 marzo 2007
Giudice di pace a Milano