Lettera aperta
On.le Ministro per le Pari Opportunità,
ci rivolgiamo a Lei, sicure che saprà ascoltare e cogliere l'essenza dei problemi e dei timori che andiamo a rappresentarLe.
La riforma dell'Ordinamento Giudiziario sta per compiere il suo percorso.
Lavorare, crescere professionalmente, ottenere incarichi direttivi sarà per le donne-magistrato un cammino ad ostacoli, così defatigante da risultare assolutamente discriminatorio.
Il contenuto del testo, come modificato in Commissione, appare insoddisfacente e quelli, di seguito sinteticamente esposti, sono solo alcuni dei profili di criticità.
La struttura portante del progetto complessivo evidenzia come non sia stata effettuata alcuna valutazione dell'impatto di questa riforma su entrambe le componenti maschile e femminile della magistratura e non siano stati approfonditi studi sulle asimmetrie di genere.
Sintomatica è -ad esempio- la previsione relativa al passaggio di funzione, coniugato con l'obbligo del cambiamento di regione: l'incompatibilità territoriale così delineata comporterà una sostanziale impossibilità di mutamento di funzioni per chi si trova ad assolvere anche un ruolo di cura (del quale, di regola, secondo un dato di comune esperienza, si fanno carico le donne: le magistrate non fanno eccezione).
E' inoltre facilmente prevedibile che esso condizionerà –fin dall'ingresso in magistratura- lo sviluppo della professionalità e della carriera delle donne magistrato, poiché nelle scelte, relative alla sede ed alle funzioni, esse si vedranno costrette a tener conto -in modo prioritario- dei vincoli territoriali, rinunciando -in tutto od in parte- alla prospettiva di realizzazione personale e professionale.
Assolutamente inadeguate risultano le tutele della lavoratrice-madre pubblico ministero, laddove si consideri che l'organizzazione degli uffici della Procura -in forza della parziale riforma già in vigore- è insindacabilmente demandata ai relativi capi ed ora non possono più trovare applicazione quegli atti di normazione secondaria, attraverso i quali -all'esito di un percorso evolutivo durato oltre dieci anni- il CSM era giunto a dare concreta attuazione a misure dirette a favorire la flessibilità.
Discriminatoria appare anche l'introduzione di parametri prevalentemente quantitativi per la valutazione della professionalità: la mancata previsione di diversi criteri di organizzazione del lavoro e di valutazione qualitativa è pregiudizievole per le donne-magistrato le quali, in una competizione con la produttività dei colleghi, sono inevitabilmente destinate a soccombere, quantomeno nel periodo di maggior impegno familiare.
Discriminatoria, infine, risulta anche la valorizzazione di titoli e concorsi ai fini della progressione in carriera, con conseguenti riflessi penalizzanti per l'assunzione di incarichi direttivi e semidirettivi da parte delle donne-magistrato, impegnate nei compiti di cura e di assistenza: si profila un sistema ordinamentale anacronistico che, di fatto, emargina la componente femminile dal processo decisionale.
Delude e preoccupa il fatto che la riforma non riconosca la funzione sociale ruolo di cura ed ometta di prevedere principi di organizzazione -dei tempi di lavoro e degli uffici- basati sulla centralità di questo compito, rendendo in concreto impossibile una vera conciliazione tra le esigenze del lavoro e quelle della famiglia
Delude e preoccupa il fatto che - nell'anno delle pari opportunità- la riforma promuova criteri di organizzazione del lavoro solo apparentemente neutri, che hanno invece un effetto diverso sulle scelte e sulle valutazioni dei magistrati dell'uno o dell'altro genere.
Consegnamo, quindi, alla Sua attenzione e sollecitudine queste nostre sommarie preoccupazioni, disponibili ad offrirle ogni ulteriore informazione e contributo tecnico.
Ci appelliamo a Lei, chiedendoLe di attivarsi perché le modifiche normative all'esame del Parlamento vengano meditate tenendo conto esplicitamente della necessità di valorizzazione della dimensione femminile nella magistratura, affinché si possa affermare un'idea di normalità, alla quale conformare gli interventi legislativi, che non sia soltanto quella dell'uomo ma anche quella della donna.