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Il caso Pupino.

Anche le decisioni quadro impongono al giudice nazionale l’interpretazione conforme del diritto interno

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In un periodo storico nel quale, forse casualmente, si sono concentrate innanzi alla Corte di giustizia numerose questioni in ordine ai rapporti fra fonti interne e diritto nazionale, la decisione resa dalla Grande Sezione fornisce all’interprete risposte chiare su un tema nuovo quale è appunto quello dei rapporti fra diritto processuale penale interno e decisioni quadro adottate ex art.35 TUE.

Il caso che ha sollecitato la pronunzia della Corte di giustizia riguarda un procedimento penale a carico di un insegnante elementare a carico della quale si procede per i reati di abusi di mezzi di correzione e lesioni gravissime in danno di alcuni allievi, costretti secondo l’accusa a subire violenza di vario genere dalla maestra.Nel corso delle indagini preliminari il P.M. faceva richiesta di svolgere un incidente probatorio con le forme protette previste dall’art.398 n.5 c.p.p.- «Nel caso di indagini che riguardano ipotesi di reato previste agli articoli 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori degli anni sedici, con l’ordinanza (…), stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendano necessario od opportuno. A tal fine, l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione dello stesso minore. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia ovvero della consulenza tecnica. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti».

Il G.I.P., ritenendo che sulla base del diritto interno vigente non fosse possibile disporre l’incidente probatorio – richiesto in ragione della tenera età dei testimoni parti offese- né che questo poteva essere svolto con le forme protette previste solo per alcuna tassative tipologie di reati contro la sfera sessuale, rimetteva alla Corte di giustizia la questione circa l’interpretazione della decisione quadro del Consiglio 15 marzo 2001, 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, che entro il 22 marzo 2002 doveva essere attuata mediante disposizioni legislative degli Stati membri.

In particolare, le norme rilevanti appaiono essere l’art. 2( Ciascuno Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. Ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale. Ciascuno Stato membro assicura che le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione), l’art.3 (Ciascuno Stato membro garantisce la possibilità per la vittima di essere sentita durante il procedimento e di fornire elementi di prova.Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le autorità competenti interroghino la vittima soltanto per quanto è necessario al procedimento penale) e l’art. 8 n. 4(Ove sia necessario proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, ciascuno Stato membro garantisce alla vittima la facoltà , in base ad una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento).

Ritenendo che, «a prescindere o meno dalla sussistenza di un “effetto diretto� della normativa comunitaria», il giudice nazionale debba «interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera e dello scopo della normativa comunitaria» e nutrendo dubbi quanto alla compatibilità degli artt. 392, n. 1 bis, e 398, n. 5 bis, CPP con gli artt. 2, 3 e 8 della decisione quadro, in quanto tali disposizioni del detto codice limitano ai soli reati sessuali o a sfondo sessuale la facoltà per il giudice per le indagini preliminari di ricorrere, rispettivamente, all’assunzione anticipata della prova e alle modalità particolari di assunzione e di accertamento della prova, il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze ha quindi deciso di sospendere il giudizio e di chiedere alla Corte di pronunciarsi sulla portata degli artt. 2, 3 e 8 della decisione quadro.

La Corte ha anzitutto riconosciuto la propria competenza a decidere sulla questione pregiudiziale richiamando l’art.35 Tr.UE, a tenore del quale “La Corte di giustizia delle Comunità europee, alle condizioni previste dal presente articolo, è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla validità o l’interpretazione delle decisioni-quadro e delle decisioni, sull’interpretazione di convenzioni stabilite ai sensi del presente titolo e sulla validità e sull’interpretazione delle misure di applicazione delle stesse. Con una dichiarazione effettuata all’atto della firma del Trattato di Amsterdam o, successivamente, in qualsiasi momento, ogni Stato membro può accettare che la Corte di giustizia sia competente a pronunciarsi in via pregiudiziale, come previsto dal paragrafo 1. Lo Stato membro che effettui una dichiarazione a norma del paragrafo 2 precisa che:a) ogni giurisdizione di tale Stato avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno può chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale su una questione sollevata in un giudizio pendente davanti a tale giurisdizione e concernente la validità o l’interpretazione di un atto di cui al paragrafo 1, se detta giurisdizione reputi necessaria una decisione su tale punto per emanare la sua sentenza, o b) ogni giurisdizione di tale Stato può chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale su una questione sollevata in un giudizio pendente davanti a tale giurisdizione e concernente la validità o l’interpretazione di un atto di cui al paragrafo 1, se detta giurisdizione reputi necessaria una decisione su tale punto per emanare la sua sentenza�. Risultando infatti che la Repubblica italiana aveva reso una dichiarazione in ordine all’art. 35, n. 2, UE, con la quale essa ha accettato la competenza della Corte di giustizia a statuire secondo le modalità previste all’art. 35, n. 3, lett. b), UE, il giudice comunitario è potuto entrare nel merito della questione pregiudiziale sottopostale.

E’ stato quindi immediatamente affrontato il nodo della portata delle decisioni quadro negli ordinamenti interni, posto che nel corso del procedimento il governo francese aveva sostenuto che il giudice del rinvio intendeva applicare talune disposizioni della decisione quadro in luogo della normativa nazionale, mentre, secondo gli stessi termini dell’art. 34, n. 2, lett. b), UE, le decisioni quadro non potevano comportare un tale effetto diretto.E ciò anche perché il principio dell’interpretazione conforme non poteva sfociare in un’interpretazione contra legem né in un aggravio della posizione di un singolo nell’ambito di un procedimento penale, sul fondamento della sola decisione quadro Sulla stessa linea si era posizionato il governo italiano, sottolineando che, la decisione quadro e la direttiva comunitaria costituiscono fonti di diritto sostanzialmente diverse l’una dall’altra e che la decisione quadro non poteva far sorgere in capo al giudice nazionale un obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale analogo a quello divisato dalla Corte con riguardo alle direttive comunitarie.

Orbene, secondo il giudice di Lussemburgo l’obbligo che incombe alle autorità nazionali di interpretare il loro diritto nazionale per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie si applica con gli stessi effetti e limiti qualora l’atto interessato sia una decisione quadro presa sul fondamento del titolo VI del Trattato sull’Unione europea.Infatti, esaminando il quadro normativo di riferimento, la Corte nota che l’art. 34, n. 2, lett. b), UE attribuisce un carattere vincolante alle decisioni quadro nel senso che queste ultime «sono vincolanti» per gli Stati membri «quanto al risultato da raggiungere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi».Tale disposizione è strettamente ispirata a quella dell’art. 249, terzo comma, CE.Secondo l’impostazione privilegiata dalla Corte di giustizia anche nel settore della cooperazione giudiziaria in materia penale disciplinato nell’ambito del titolo VI di tale Trattato indipendentemente dal grado di integrazione considerato dal Trattato di Amsterdam nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa ai sensi dell’art. 1, secondo comma, UE, il legislatore comunitario ha fatto ricorso a strumenti giuridici che comportano effetti analoghi a quelli previsti dal Trattato CE, al fine di contribuire efficacemente al perseguimento degli obiettivi dell’Unione.Né poteva condividersi la tesi dei governi italiano e del Regno Unito secondo la quale , a differenza del Trattato CE, il Trattato sull’Unione europea non comporta alcun obbligo analogo a quello previsto all’art. 10 CE, sul quale la giurisprudenza della Corte si è tuttavia in parte fondata per giustificare l’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale alla luce del diritto comunitario. Infatti, proprio l’art. 1, secondo e terzo comma, del Trattato sull’Unione europea confermava la strategia di creare un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa ed orientata a sviluppare politiche e forme di cooperazione tra gli Stati membri e tra i loro popoli. Sarebbe dunque difficile per l’Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l’esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che è del resto interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri e le istituzioni.

Da qui la conclusione, apparentemente scontata, per cui che il principio di interpretazione conforme si impone anche riguardo alle decisioni quadro di guisa che il giudice nazionale, applicando il diritto nazionale sarà tenuto a farlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro al fine di conseguire il risultato perseguito da questa e di conformarsi così all’art. 34, n. 2, lett. b), UE.

L’affermazione di tali principi, assolutamente in linea con quanto espresso di recente dalla Grande Sezione della Corte di giustizia nella sentenza Pfeiffer-Corte giust.5 ottobre 2004, causa C-_, in questa Rivista, 2005,___- doveva peraltro misurarsi con la specificità della materia disciplinata dalla decisione quadro, involgente lo svolgimento stesso del processo penale.

Ecco che la Corte, operata una sostanziale assimilazione fra decisione quadro e direttive, non perde l’occasione di ribadire che l’obbligo per il giudice nazionale di far riferimento al contenuto di una decisione quadro quando interpreta le norme pertinenti del suo diritto nazionale trova, analogamente a quanto affermato in tema di direttive comunitarie, i suoi limiti nei principi generali del diritto, ed in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività .Scontato, quindi il rinvio al recentissimo arresto del giudice di Lussemburgo in tema di falso in bilancio(sent.Corte giust.3 maggio 2005,Berlusconi e altri) laddove è stato affermato che proprio i principi generali del diritto appena evocati ostano a che il detto obbligo possa condurre a determinare o ad aggravare, indipendentemente da una legge adottata per l’attuazione di quest’ultima, la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle disposizioni di una direttiva (Corte giust. Sent.X, , punto 24, e Corte giust. 3 maggio 2005, cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Berlusconi e a.).Anzi, può essere interessante ricordare quanto affermato dall?Avv.Gen.Kokott nelle conclusioni depositate in data allorché veniva precisato come in materia penale avesse valore assoluto il principio della legalità della pena – nullum crimen, nulla poena sine lege (scripta). Esso, infatti, costituisce espressione particolare del principio della certezza del diritto in materia penale ed appartiene ai principi generali del diritto, comuni alle tradizioni costituzioni degli Stati membri, ed è sancito anche nell’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nell’art. 15, n. 1, prima frase, del Patto internazionale sui diritti civili e politici nonché nell’art. 49, n. 1, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il punto è, osserva la Corte, che nel caso di specie le disposizioni che formano oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale non vertevano sulla portata della responsabilità penale dell’interessata, ma sullo svolgimento del procedimento e sulle modalità di assunzione della prova.Ciò consente alla Corte di affermare che l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una decisione quadro nell’interpretazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale cessa quando quest’ultimo non può ricevere un’applicazione tale da sfociare in un risultato compatibile con quello perseguito da tale decisione quadro. Il che, secondo la Corte, impone di ritenere che il principio di interpretazione conforme non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale. Tale principio richiede quindi che il giudice nazionale “prenda in considerazione, se del caso, il diritto nazionale nel suo complesso per valutare in che misura quest’ultimo può ricevere un’applicazione tale da non sfociare in un risultato contrario a quello perseguito dalla decisione quadro.�

Del resto, nel caso di specie, non era possibile affermare con certezza l’esistenza di un’assoluta incompatibilità fra diritto interno e decisione quadro, come già chiarito dall’Avvocato generale nelle sue conclusioni. Infatti, lo stesso governo italiano aveva richiamato possibili fondamenti normativi a favore di una speciale audizione testimoniale protetta di una vittima minorenne durante il dibattimento, che il giudice del rinvio non aveva tenuto presenti. Analogamente, potendo l’incidente probatorio svolgersi in presenza dei casi specifici disciplinati ma anche per «altro grave impedimento», di cui all’art. 392, primo comma, CPP era possibile secondo l’Avvocato generale interpretare tale disposizione nel senso che essa comprende come ostacolo il peggioramento delle facoltà mnemoniche e la sofferenza psicologica dei bambini causati da un interrogatorio al momento dell’udienza dibattimentale, e che pertanto l’incidente probatorio vada giustificato in base ad un fondamento normativo diverso dall’art. 392, primo comma bis, CPP.Spettava dunque al giudice nazionale verificare se, nella causa di merito pendente, fosse possibile un’interpretazione conforme del suo diritto nazionale, di guisa che la soluzione al quesito pregiudiziale risultava subordinato a tale accertamento.

Tanto chiarito, la Corte, passando al merito del quesito rivoltole, ricorda che lo scopo delle disposizione della decisione quadro ricordate era quello di assicurare che le vittime particolarmente vulnerabili beneficiassero di un trattamento specifico correlato strettamente alla loro situazione e volto a proteggere le vittime, in particolare le più vulnerabili, dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica, garantendo la facoltà da parte loro, in base a una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di conseguire tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento.E seppure la decisione quadro non definisce la nozione di vulnerabilità della vittima, la Corte non dubita che, indipendentemente dalla ricorrenza del concetto di vulnerabilità per il caso di persona offesa minore, il caso rimesso alla sua attenzione, nel quale alcuni bambini in età infantile sostenevano di aver subìto maltrattamenti, per giunta da parte di un’insegnante, andava sussusnto nelle ipotesi di vulnerabilità avuto riguardo all’ età , alla natura ed alle conseguenze delle infrazioni penali contestate.

Né secondo la Corte costituisce ostacolo all’obbligo di interpretazione conforme della norma interna alla decisione quadro il fatto che la stessa non prevede modalità concrete di attuazione degli obiettivi da esse enunciati, che consistono, in particolare, nel garantire alle vittime particolarmente vulnerabili un «trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione», così come il beneficio di «rendere testimonianza in condizioni» particolari, tali da garantire a tutte le vittime un trattamento «debitamente rispettoso della sua dignità personale», la possibilità di essere sentite e di «fornire elementi di prova», nonché nel far sì che tali vittime siano interrogate «soltanto per quanto è necessario al procedimento penale».Infatti, la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalle citate disposizioni della decisione quadro impone che un giudice nazionale abbia la possibilità , per le vittime particolarmente vulnerabili, di utilizzare una procedura speciale, come l’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova, prevista nell’ordinamento di uno Stato membro, nonché le modalità particolari di deposizione pure previste, se tale procedura risponde in modo ottimale alla situazione di tali vittime e si impone al fine di impedire la perdita degli elementi di prova, di ridurre al minimo la ripetizione degli interrogatori e di impedire le conseguenze pregiudizievoli, per le dette vittime, della loro deposizione in pubblica udienza.Ed infatti, una lettura della decisione quadro coordinata ai principi fondamentali dell’ordinamento interno ed a quelli garantiti dalla CEDU-appliabili in forza dell’art.6 n.2 UE- ne impone un’interpretazione idonea a rispettare i diritti fondamentali e fra questi quello ad un processo equo, quale sancito all’art. 6 della Convenzione e interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Conclusivamente, sarà il giudice nazionale ad accertarsi che, supponendo che il ricorso all’incidente probatorio diretto all’assunzione anticipata della prova e l’audizione secondo modalità particolari previsti dal diritto italiano siano nella fattispecie possibili, in considerazione dell’obbligo di interpretazione conforme del diritto nazionale, l’applicazione di queste misure non sia tale da rendere il procedimento penale a carico della sig.ra Pupino, considerato nel suo complesso, iniquo ai sensi dell’art. 6 della Convenzione.Ne consegue, secondo la Corte, che il giudice nazionale deve avere la possibilità di autorizzare bambini in età infantile che sostengano di essere stati vittime di maltrattamenti a rendere la loro deposizione secondo modalità che permettano di garantire a tali bambini un livello di tutela adeguato, ad esempio al di fuori dell’udienza pubblica e prima della tenuta di quest’ultima. Il giudice nazionale è tenuto quindi a prendere in considerazione le norme dell’ordinamento nazionale nel loro complesso e ad interpretarle, in quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della detta decisione quadro.

La decisione della Corte di giustizia, pur muovendosi su canali sperimentati a proposito delle direttive comunitarie e da questi traendo giustificazione alla necessità di fare ricorso al canone dell’interpretazione conforme, ha finito nel caso di specie, per affermare taluni principi che appaiono peculiari in quanto espressi con riguardo alle decisioni quadro.

Infatti, a differenza che nel caso Pfeiffer, la Corte sembra voler reintrodurre un limite all’interpretazione conforme del diritto interno con specifico riferimento alla decisione quadro, espressamente individuandolo nel caso di contrasto irrimediabile fra norma interna e testo comunitario.Limite che, a dire il vero, era sembrato superato nella precedente decisione della grande Sezione e che, probabilmente, trova la sua giustificazione in ragione dell’ambito penalistico nel quale pur sempre si muove la decisione quadro.

Detto questo, però, altri spunti interessanti sono contenuti nella pronunzia in rassegna, posto che all’eventuale genericità della decisione quadro, che nell’ottica della Corte deve essere utilizzata per garantire l’interpretazione conforme del diritto interno, si può e deve supplire richiamando un ulteriore parametro normativo, questa volta rappresentato dall’art.6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani, costituente principio generale del diritto comunitario.

L’operazione ermeneutica che la Corte sollecita nel giudice nazionale è dunque duplice.

Egli, per un verso, deve tenere in considerazione, nell’interpretare il diritto interno, il contenuto della decisione quadro che disciplina taluni aspetti processuale in tema di tutela della posizione della vittima nel processo penale.

Ma egli deve, altresì interpretare la disposizione comunitaria alla luce dei principi fondamentali riconosciuto nell’ordinamento comunitario, in modo da colmare eventuali lacune contenutistiche della decisione quadro.

Nel caso concreto, la mancata precisazione della situazione di vulnerabilità della vittima non impedisce al giudice di interpretare la relativa disposizione alla luce dei principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato membro interessato ma anche, aggiunge la Corte, dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU ed in particolare del diritto ad un processo equo. In tale prospettiva sarà il giudice nazionale a valutare se il mancato espletamento dell’incidente probatorio con modalità protette nella vicenda posta al suo vaglio possa determinare un vulnus all’art.6 CEDU cit.

Resta solo da evidenziare che la pronunzia in esame apre le porte di Lussemburgo a tutti i giudizi europei che saranno chiamati a dare attuazione alla decisione quadro sul mandato di cattura europeo 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 recentemente attuata dall’Italia con la legge 22 aprile 2005 n.69.

Ove infatti dovessero riscontrarsi delle distonie fra diritto interno e decisione il giudice nazionale dovrà anzitutto attivarsi per realizzare un’interpretazione conforme del diritto interno a quello comunitario, fermo restando i limiti rappresentati dal rispetto del principio di legalità - che impedirà di attribuire efficacia diretta alla normativa comunitaria laddove questa sia maggiormente affittiva per l’imputato o indagato rispetto alla legge interna- in forza del principio che dalla decisione quadro non possono nascere responsabilità penali più gravi di quelle previste nell’ordinamento nazionale-.Inoltre, la legge interna unitamente alla decisione quadro dovranno essere interpretate alla luce dei principi fondamentali del diritto comunitario nel catalogo pretoriamente fissato dalla Corte di giustizia e comunque alla stregua delle norme della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani.

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