Commissione delle Comunità Europee
Libro verde sulla revisione dell’acquis in materia di protezione dei consumatori
La risposta di MEDEL Magistrati Europei per la Democrazia e le Libertà
Documenti allegati
Commissione delle Comunità Europee
Libro verde sulla revisione dell’acquis in materia di protezione dei consumatori
La risposta di MEDEL
Magistrati Europei per la Democrazia e le Libertà
<!--[if !supportLists]-->1. <!--[endif]-->Commento alla risposta di MEDEL della Prof.ssa Liliana Rossi Carleo titolare presso la Facoltà di Economia "F. Caffé" della Terza Università degli studi di Roma dell’insegnamento di “Diritto privato e diritto dei consumi”.
<!--[if !supportLists]-->2. <!--[endif]-->“Lo strumento inibitorio collettivo ed il principio dell’effettività della tutela del consumatore” contributo di Roberto Conti, giudice del Tribunale di Palermo.
COMPONENTE DELLA COMMISSIONE PER IL CODICE ITALIANO DEL CONSUMO
Le risposte ai trenta quesiti del libro verde predisposte, o meglio,<<organizzate>> da MEDEL, come risulta chiaramente dalla ampia ed articolata relazione di sintesi che le accompagna, sono frutto di un dibattito molto ricco e articolato grazie a presenze che hanno permesso di coniugare esperienze, ugualmente attente, ma assai diversificate nel loro modo di essere. Non ci sarebbe, pertanto, necessità di aggiungere altro. Difatti queste brevi osservazioni vogliono essere, più che una testimonianza, un ringraziamento alla Associazione per quanto va facendo, un ringraziamento il quale, oltre che alla sostanza, va al metodo, ampiamente illustrato proprio nella Relazione di accompagnamento.
Tengo a dire che il ringraziamento prescinde da una delle tante qualifiche che ormai vanno ad accentuare il frazionarsi del nostro <<essere>>, non ringrazio, quindi, come professore, che pure ha avuto la fortuna di partecipare ai seminari di discussione sia di Roma Tre che di Firenze, non ringrazio come consumatore, che pure è la condizione nella quale mi sono sentita costretta rispetto ad alcune rigidità che caratterizzano <<l’offerta>> di effettuare una risposta, neanche rispondo come cittadino - consumatore, che sembra la nuova frontiera del più avanzato consumerismo, ma desidero rispondere come <<persona>>, a conferma del ruolo centrale che all’<<essere>> va sempre e comunque attribuito rispetto all’<<avere>>.
Come è stato concordemente rilevato i quesiti aprono orizzonti assai diversi in ragione della loro diversa specificità; si deve, peraltro aggiungere che sovente la scelta appare obbligata fra diverse opzioni che potrebbero essere ritenute tutte inappaganti.
Pertanto intendiamo soffermarci, solo a titolo esemplificativo, su almeno un quesito appartenente a ciascuna delle fattispecie indicate, che potremmo sinteticamente definire: scelte politiche, scelte inappaganti, scelte obbligate.
Per quanto riguarda i quesiti che presuppongono risposte le quali implicano scelte di politica legislativa che vanno ben oltre il diritto dei consumatori e il diritto contrattuale europeo, l’esempio embelematico sembra potersi ritrovare nel quesito A3 con riferimento al grado di armonizzazione. Di certo l’armonizzazione <<completa>> sembra ormai caratterizzare i più recenti interventi a tutela dei consumatori, come si evince con estrema chiarezza dalla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali. Già a questo riguardo si erano posti fondati dubbi sulla possiblità di porre una così rilevante limitazione alla facoltà, espressamente riconosciuta ai legislatori nazionali dalla consueta <<armonizazzione minimale>>, sempre adottata in materia , che ha finora consentito di mantenere o introdurre norme idonee ad assicurare ai consumatori di determinate Paesi un livello di tutela più elevato di quello garantito dalle direttive, tanto che gli organi comunitari si erano preoccupati di giustificare una scelta cosi innovativa e importante evidenziandone, in particolare nel Considerando n.23, la piena compatibilità con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità sanciti dall’art. 5 del Trattato Ce, nonché con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta del’U.E.. Le giustificazioni addotte non sono apparse sufficienti a fugare ogni dubbio, anche se il riavvicinamento delle normative nazionali, a giudizio degli organi comunitari, sembra porsi come una necessità. Difatti essa viene ritenuta indispensabile al fine di <<eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno e conseguire un elevato livello comune di tutela dei consumatori in ottemperanza al principio di poporzionalità>>.
Il dibattito meriterebbe un approccio che non è consentito in questa sede. Al riguardo possiamo sinteticamente osservare che la svolta verso un regime di full harmonisation potrebbe, o forse dovrebbe, essere intesa come garanzia di un regime elevato comune, che di certo nell’Europa a 27, non può essere il <<più elevato>>: esso deve costituire una forza trainante per i Paesi nuovi entranti, ma, nel contempo, deve lasciare ai Paesi di più antica e consolidata tradizione quella flessibilità che è auspicata dalla stessa Unione attraverso il ricorso a modalità applicative che seguano il modello della CSR (Corporate social responsability).
Per quanto riguarda i quesiti a risposta inappagante l’esempio emblematico sembra potersi ritrovare nella nozione di consumatore.
In primo luogo la risposta si collega intimamente alla scelta imposta dal quesito precedente: sembra molto difficile che paesi come la Spagna, che hanno esteso la nozione anche alla persone giuridiche, possano essere obbligati a tornare indietro. Altrettanto difficile sembra ritenere che l’armonizzazione completa osti alla possibilità di prevedere per la disciplina che si riferisce a determinati beni, quali i beni di consumo, una applicazione generalizzata, la quale, come in Germania, non tenga conto dello <<status>> di consumatore, in ragione del fatto che in alcune ipotesi, quale è quella richiamata, le <<caratteristiche principali >> del prodotto (v. punto 5 considerando 14 della direttiva 2005/25/CE, sia pure con riferimento ad altre ipotesi), cioè la serialità e la fungibilità, prevalgono su quella che è la rilevanza autonoma che viene attribuita alla posizione soggettiva.
In secondo luogo non va trascurato come il <<prevalentemente>> appaia una scelta obbligata a limitare i danni determinati da una previsione così rigida, quale è quella contenuta in una definizione la quale, in concreto, è costretta a subire una serie di eccezioni e , quindi, non si manifesta, così ampia e generale come dovrebbe desumersi dalla revisione dell’acquis. A tale riguardo appare sufficiente far riferimento al <<consumatore turista>>, il quale non è necessariamente parte di un <<atto di consumo non professionale>>.
In terzo luogo la revisione dell’acquis sembra consentire una considerazione della figura del consumatoire in senso sostanziale, che tuttavia non traspare affatto dai quesiti relativi alla riformulazione. La figura del consumatore in senso sostanziale non dovrebbe limitarsi alla previsione di colui che agisce come contraente, ma dovrebbe coinvolgere, già nella definizione, le molteplici situazioni giuridiche che accompagnano lo svolgersi dell’operazione economica nel suo profilo dinamico: consumatore è il soggetto al quale sono dirette le comunicazioni commerciali, che possono condurlo al contratto, consumatore è il contraente, consumatore è colui al quale va la protezione nella fase successiva , in particolare per quanto riguarda la sicurezza e la conformità del prodotto o del servizio.
Da ultimo ci sembra di dover osservare che, sebbene non pare possa
revocarsi in dubbio che la nozione di consumatore comprenda anche l’utente e che sebbene si possa condividere la mancata specificazione, in quanto questa potrebbe indurre a prospettare la necessità di giustificare gli ampliamenti - che tali non sono- della figura di consumatore all’assicurato, all’utente bancario, all’acquirente e così via, tuttavia appare fin troppo evidente che la tutela, allo stato, risulta eccessivamente imperniata sul consumatore di prodotti, essendo assai scarna quella che riguarda il consumatore di servizi.
A prova di ciò potremmo richiamare il quesito H1 che, seppure si pone il problema di estendere le regole relative al contratto di <<vendita>> ad<<ulteriori tipi di contratti in base ai quali ai consumatori vengono fornite merci o vengono prestati servizi digitali>>, non osa, tuttavia, proporre un doveroso mutamento: la sostituzione del termine vendita con quello più generale di contratti traslativi o, ancor meglio, di contratti di scambio e prestazione di servizi. Se ne può trarre una ulteriore testimonianza della limitatezza di una disciplina la quale seppure si riferisce all’attività più che all’atto, in alcune sue parti prende, comunque, in considerazione determinati tipi contrattuali, come si evince dal modo in cui è formulato il quesito, H1 che sembra prospettare un allargamento inappagante, in quanto ( è d’obbliga utilizzare ancora il ) sembra debbano essere espressamente richiamati gli ulteriori tipi, fra i quali, in ogni caso, non è chiaro se possano essere inseriti i contratti di prestazione d’opera.
Per quanto riguarda l’ipotesi di quesiti a risposta obbligata un esempio emblematico, fra i molti, può rinvenirsi nel quesito L circa la previsione, attraverso lo strumento orizzontale, di una responsabilità diretta del produttore per i casi di non conformità. Questa garanzia non può di certo negarsi in via di principio, essendo prevista nel nostro sistema, sia pure con esclusivo riferimento alla garanzia convenzionale ulteriore, dall’art. 128, comma 2 lett. c del codice del consumo. Invero i dubbi sorgono circa la mancata indicazione del soggetto al quale il consumatore deve rivolgersi nel caso di mancata conformità: non si comprende,difatti, se si tratta di una scelta, potendo il consumatore rivolgersi indifferentemente al produttore o al venditore o se si tratta di una garanzia sussidiaria rispetto a quella nei confronti del venditore, potendo il consumatore rivolgersi al produttore solo qualora risulti impossibile o eccessivamente oneroso rivolgersi al venditore o, ancora, qualora cessi la garanzia nei confronti di questi per le difformità direttamente ascrivibili al produttore. Una attenta riflessione sembra doversi fare anche per quanto riguarda la legge applicabile.
Ancora più in generale, anche a questo riguardo, riemerge il problema della tutela dell’utente, così, ad esempio, potremmo chiederci se questa disciplina sia in grado di tutelare l’utente finale che , a seguito di un contratto di licenza d’uso, utilizzi dati messi a disposizione dall’operatore.
A conclusione possiamo esprimere la speranza che la risposta al quesito N necessariamente possa e debba superare gli angusti limiti temporali previsti da Li bro Verde per le altre risposte , posto che la necessità di enucleare gli <<altri problemi o ambiti di applicazione che dovrebbero essere ulteriormente esaminati o affrontati a livello UE nel contesto della protezione dei consumatori>> non può essere ristretta in un lasso di tempo specifico.
Da ciò l’ulteriore speranza di poter tornare su questi argomenti nella convinzione che solo un rapporto dialogico possa contribuire alla costruzione di un mercato entro il quale domanda ed offerta, condizionati dalle <<esternalità>> del mercato inteso in senso classico, si pongano in un rapporto <<equilibrato>>, che consentirà di registrare un punto di arrivo della evoluzione in atto, che sembra guardare al passaggio da consumatore a cittadino, ma che ancora attende quello da cittadino a persona.
DOTT. ROBERTO CONTI,
GIUDICE TRIBUNALE DI PALERMO<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]-->.
Lo strumento inibitorio collettivo ed il principio dell’effettività della tutela del consumatore. (QUESITO N: Vi sono altri problemi o ambiti che dovrebbero essere ulteriormente esaminati o affrontati a livello UE nel contesto della protezione dei consumatori?)
Lo scopo di queste note è di sottolineare la necessità che l’emananda direttiva quadro in materia di tutela del consumatore – ove dovesse scegliersi da parte della Commissione europea un approccio orizzontale o comunque un approccio “misto”- dedichi uno spazio rilevante alla tutela collettiva inibitoria.
Il riconoscimento, in termini generali, di uno strumento inibitorio a tutela del consumatore costituisce emanazione diretta del principio di “effettività della tutela” delle posizioni giuridiche di matrice comunitaria, sul quale recentemente si sono soffermate la Corte di giustizia di Lussemburgo e la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Come più volte chiarito dalla Corte di Giustizia, il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva dei diritti fa parte dei principi generali che derivano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri ed è anche sancito dagli artt. 6, n. 1, e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo<!--[if !supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]--> oltre che dagli artt. 8 e 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 217 A (III) del 10 dicembre 1948, e dagli artt. 2, n. 3, e 14, n. 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato il 19 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976<!--[if !supportFootnotes]-->[3]<!--[endif]-->.Non può, infine, sottacersi che anche la Carta di Nizza, all’art.47, fa espresso riferimento, al paragrafo 1, al diritto di ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.Disposizione, quest’ultima integralmente riportata nel Trattato sulla Costituzione europea<!--[if !supportFootnotes]-->[4]<!--[endif]-->.
L’effettività della tutela di una posizione giuridica tutelata dal diritto comunitario è dunque diventata un canone fondamentale e che si esprime, in particolare, in modi variegati che possono così sintetizzarsi:a)attraverso il concetto di interpretazione conforme del diritto nazionale con il diritto di matrice comunitaria -e con quello della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo-;b) attraverso il potenziamento di alcuni valori umani fondamentali che, riconosciuti negli ordinamenti sovranazionali con un grado di tutela maggiore di quello attribuito dal quadro normativo interno, sono in grado di condizionare l’ordinamento nazionale anche in settori riservati alla sua competenza esclusiva;c)attraverso il riconoscimento di misure provvisorie capaci di paralizzare la violazione di un diritto di matrice comunitaria;d)attraverso l’obbligo del giudice nazionale di dare applicazione alla sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che hanno accertato la violazione di un diritto umano fondamentale, anche quando si sia formato nell’ordinamento interno un giudicato con esse contrastante.
Nel caso della protezione del consumatore sembra che proprio la previsione, all’interno della Carta di Nizza e della Carta dei diritti fondamentali del Trattato sulla Costituzione europea, di una specifica disposizione dedicata alla protezione del consumatore dovrebbe indurre il legislatore europeo a fissare come principio ineludibile quello della tutela collettiva degli interessi del consumatore.
Né la valenza di mero principio che l’art.38<!--[if !supportFootnotes]-->[5]<!--[endif]--> introduce in tema di protezione del consumatore ne attenua la rilevanza, esso accostandosi a canoni sicuramente fondamentali per l’ordinamento comunitario e tali da condizionare quotidianamente il controllo degli atti normativi interni e sovranazionali da parte della Corte di giustizia e del-i giudice-i nazionale-i.<!--[if !supportFootnotes]-->[6]<!--[endif]-->.
Tale conclusione, dunque, non riduce affatto la portata epocale del precetto che inserisce nella Carta fondamentale dei diritti la protezione del consumatore, semmai dimostrando la tendenza ad assolutizzare l’esigenza che le politiche comunitarie dell’Unione e degli Stati membri non possono più prescindere dal rispetto di un valore che va progressivamente smarcandosi dal mero limite alle libertà commerciali tradizionalmente perseguite dai Trattati, per assurgere a presidio insuperabile che va non solo tutelato ma anche approfondito, arricchito e specificato sempre di più<!--[if !supportFootnotes]-->[7]<!--[endif]-->.
Ed in questa prospettiva, l’esigenza di inserire all’interno di uno strumento generale uno specifico riferimento alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori mediante uno strumento di tutela generale, confermata dall’analogo inserimento operato nel Trattato sulla Costituzione europea in forza dell’art. II-98 della Carta dei diritti fondamentali appare estremamente rilevante.
Il diritto vivente sul principio di effettività della tutela.
Nella medesima prospettiva, non può sottolinearsi come il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale è stato recentemente ribadito dalla Grande Sezione della Corte di giustizia con la sentenza resa il 13 marzo 2007 nella causa C‑432/05,Unibet.
Nel rispondere ai quesiti pregiudiziali sollevati dal giudice svedese nell’ambito dei due procedimenti, la Corte di giustizia ha riaffermato che quello della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale di diritto comunitario che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, pure ribadito all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, aggiungendo che è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall’art. 10 CE, garantire la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario.
Tale principio, prosegue il giudice di Lussemburgo, non impone di ritenere che per tutelare l’applicazione del diritto comunitario sia obbligatorio istituire dei mezzi di ricorso diversi da quelli riconosciuti dall’ordinamento nazionale.
Ed invero, in mancanza di una disciplina comunitaria in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario , non avendo il Trattato CE inteso creare mezzi d’impugnazione esperibili dinanzi ai giudici nazionali, onde salvaguardare il diritto comunitario, diversi da quelli già contemplati dal diritto nazionale.
L’unico limite a tale principio è rappresentato dall’assenza, nell’ordinamento nazionale, di mezzi capaci, anche in via incidentale, di garantire il rispetto dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario .
Pertanto, se in via di principio spetta al diritto nazionale determinare la legittimazione e l’interesse ad agire di un soggetto dell’ordinamento, il diritto comunitario richiede tuttavia che la normativa nazionale non leda il diritto ad una effettiva tutela giurisdizionale<!--[if !supportFootnotes]-->[8]<!--[endif]-->, non potendo le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)<!--[if !supportFootnotes]-->[9]<!--[endif]-->.
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di sottolineare l’importanza del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, particolarmente valorizzando l’art.47 della Carta di Nizza.
In particolare, Corte dir.uomo, 19 aprile 2007, V. E. c. Finlandia (ric. n° 63235/00) - punti 28 ss. e p.60- ha espressamente richiamato l'art.47
della Carta di Nizza, le spiegazioni che precedono la Carta dei diritti
fondamentali contenuta nel Trattato sulla Costituzione europea e la
giurisprudenza della Corte di giustizia<!--[if !supportFootnotes]-->[10]<!--[endif]--> per modificare un proprio precedente orientamento in materia di giusto processo - Corte dir.uomo 8-12- 1999, Pellegrin c.Francia (r. n°
28541/95 ) - e così ritenere che il diritto ad un ricorso al giudice
effettivo aiuta ad interpretare il concetto di "materia civile" che fa capo
all'art.6 CEDU, dovendo essa comprendere anche le controversie di natura
patrimoniale fra amministrazione di appartenenza ed ufficiali di polizia -
che reclamavano una particolare indennità per avere svolto i compiti di
servizio in una parte sperduta del territorio finlandese - anche se il
rapporto di lavoro involge l'esercizio di potere, proprio perché la tutela
giurisdizionale effettiva non è limitata, nella legislazione europea, alle
controversie civili ed agli affari penali-punto 30 sent.cit.-.
In conclusione, se il canone dell’effettività della tutela giurisdizione è riconosciuto come valore fondamentale che deve caratterizzare necessariamente il sistema di tutela riconosciuto al cittadino europeo, sembra ineludibile una presa di posizione chiara del legislatore comunitario sul tema della tutela inibitoria come strumento generale di tutela degli interessi del consumatore che, come si è detto, hanno essi stessi natura fondamentale in quanto riconosciuti dalla Carta di Nizza e dal Trattato sulla Costituzione europea.
La tutela inibitoria va inserita nella direttiva quadro in tema di tutela del consumatore.
Una delle più evidenti lacune del sistema di protezione “orizzontale” del consumatore si realizzerebbe se non si decidesse di inserire un sistema generale di tutela inibitoria collettiva.
Se, con riferimento alla struttura ed al contenuto dello strumento orizzontale che potrebbe nascere in seguito al Libro verde del febbraio 2007, appare indefettibile una vera e propria parte generale -destinata a contenere la regolamentazione delle questioni comuni a tutte o ad un numero significativo di direttive- allora è evidente che accanto all’introduzione di definizioni “generali” debba trovare spazio la tutela inibitoria collettiva.
Ed invero, l’idea di dare vita ad una direttiva quadro che traccia, in via orizzontale, i tratti essenziali della tutela del consumatore non potrebbe mancare di regolare, accanto alle nozioni di consumatore e professionista anche il sistema generale di tutela inibitoria.
In questa prospettiva, va ricordato il modello italiano che, nel varare il codice del consumo con il d.lgs.n.206/2005, ha espressamente dedicato più disposizioni alla regolamentazione della tutela inibitoria collettiva.
Del resto, il “capitolo” tutela inibitoria all’interno del codice del consumo è certamente decisivo per i delicati meccanismi di c.d.law enforcement, visto che le potenzialità della protezione collettiva nel settore consumeristico appaiono tanto evidenti da non meritare ulteriore approfondimento, bastando solo ricordare l’effetto dissuasivo prodotto, sul versante della tutela individuale, dal rilevante costo della lite rispetto al diritto violato dal quale deriva, spesso, l’impunità dell’imprenditore disonesto.
Ecco che l’attenzione dedicata dal codice del consumo italiano alle azioni inibitorie e, più in generale, all’accesso alla giustizia va indicata come modello virtuoso, proprio perchè essa, in linea con i principi di matrice comunitaria, individua nella tutela superindividuale un anello fondamentale di protezione per il consumatore, senza il quale risulterebbe vulnerato quel principio (generale del diritto comunitario) di effettività che irradia l’intera legislazione comunitaria.
In questa direzione si pone, del resto, l’univoco insegnamento da parte della Corte di giustizia in tema di inibitoria in tema di clausole abusive, istituto al quale si deve l’introduzione degli strumenti inibitori a tutela del consumatore.
Va infatti ricordato che Corte giust., 24 gennaio 2002, causa C- C-372/99,Commissione c.Italia, nel chiarire che l'art. 7, n. 3 dir.93/13/CE richiede l'attuazione di procedimenti che possono essere diretti anche contro taluni comportamenti che si limitino a raccomandare l'uso di clausole contrattuali di natura abusiva, ebbe a ricordare la posizione espressa dalla Commissione a proposito dell’art.7 della dir.93/13/CEE- …secondo la Commissione, l'art. 7 della direttiva disciplina uno degli aspetti fondamentali della tutela instaurata da tale testo, vale a dire il procedimento che ha per scopo di «far cessare» l'inserzione delle clausole abusive nei contratti stipulati tra professionisti e consumatori…-.
In quel medesimo contesto la Corte non mancò di sottolineare che, come già espresso nella sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores (p. 27), il sistema di tutela istituito dalla direttiva sulle clausole abusive si basa sull'idea che la diseguaglianza tra il consumatore e il professionista possa essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale-principio ribadito da Corte giust.26 ottobre 2006, causa C-168/05,Mostaza Claro-.
In tale prospettiva, l'art. 7 della direttiva u.cit. impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di clausole abusive, precisando, al n. 2, che tali mezzi comprendono la possibilità per le organizzazioni di consumatori riconosciute di adire le autorità giudiziarie perché queste accertino se clausole redatte per un uso generalizzato siano abusive e, eventualmente, ne dichiarino l'illiceità. Il giudice comunitario ha quindi espresso il principio che “…la natura preventiva e la finalità dissuasiva delle azioni che devono essere attuate, nonché la loro indipendenza nei confronti di qualsiasi conflitto individuale concreto, implicano[…]che dette azioni possano essere esercitate anche quando le clausole di cui sia invocata l'illiceità non siano state inserite in un contratto determinato, ma soltanto raccomandate da professionisti o da loro associazioni”.
L’assenza di una regolamentazione generale in tema di tutela inibitoria produce evidenti effetti dannosi per la protezione del consumatore se appunto si considera che:
a)gli Stati membri non hanno ancora disciplinato in modo uniforme la materia;
b) l’assenza di armonizzazione incide negativamente sulla protezione degli interessi dei consumatori incidendo negativamente sulla fiducia stessa dei soggetti destinatari della tutela<!--[if !supportFootnotes]-->[11]<!--[endif]-->.
D’altra parte, la stessa Commissione, nella comunicazione del 13 marzo 2007 dedicata alla Strategia per la politica dei consumatori dell'UE 2007/2013-COM(2007) 99 definitivo-, ha inteso chiarire che uno degli obiettivi principali per il quinquennio è quello di << Proteggere efficacemente i consumatori da seri rischi e minacce che non possono essere affrontati dai singoli>> proprio perché <<per ottenere la fiducia dei consumatori è essenziale garantire un livello elevato di protezione contro tali pericoli>>.
L’adozione di una direttiva quadro potrebbe, allora, sfruttare i risultati dello studio sull’impatto prodotto dalla dir.98/27/CE sui singoli ordinamenti che la Commissione intende presentare nel corso dell’anno 2007-v.pag.13 Comun.Comm.ult.cit.-
La tutela inibitoria. I nodi da sciogliere.
Quando si affronta il tema della tutela inibitoria, occorre rispondere a diversi interrogativi che possono così sintetizzarsi:
<!--[if !supportLists]-->1) <!--[endif]--> cos’è la tutela inibitoria?
<!--[if !supportLists]-->2) <!--[endif]-->qual è l’autorità ( amministrativa o giurisdizionale) che deve concedere la tutela inibitoria?
<!--[if !supportLists]-->3) <!--[endif]-->qual è l’oggetto (diritto soggettivo, interesse collettivo) della tutela inibitoria?
<!--[if !supportLists]-->4) <!--[endif]-->quali rapporti intercorrono tra tutela individuale e tutela collettiva?
<!--[if !supportLists]-->5) <!--[endif]-->Quasi sono i limiti della tutela inibitoria?
Se<!--[if !supportFootnotes]-->[12]<!--[endif]--> la previsione dello strumento inibitorio risponde ad un principio generale non scritto che ammette la tutela preventiva in tutti i casi nei quali la tutela risarcitoria o restitutoria sia inadeguata ad assicurare una piena ed effettiva attuazione del diritto, soffermarsi sulla finalità della tutela inibitoria significa andare alla ricerca del significato di tale tipologia di strumento e, al contempo, interrogarsi sul se esista, negli ordinamenti dei Paesi della Comunità, una “figura tipo” di azione inibitoria che si atteggi come strumento generale di tutela<!--[if !supportFootnotes]-->[13]<!--[endif]-->.
Essa, come è stato osservato in dottrina<!--[if !supportFootnotes]-->[14]<!--[endif]-->, nata originariamente per offrire una tutela forte ai diritti assoluti- della personalità, proprietà- è andata progressivamente sviluppandosi in contesti nei quali entrano in gioco interessi particolarmente avvertiti dal corpo sociale e che abbisognano di forme di tutela non necessariamente correlate ad un’aggressione che ha già prodotto i suoi effetti dannosi, ma che guarda alle possibili ricadute negative correlate ad un certo comportamento ed alla capacità di propagazione degli effetti dannosi di siffatto contegno.
In questa prospettiva, il legislatore comunitario, anche recentemente (dir.2005/29/CE) ribadisce la necessità che gli Stati membri si dotino di misure che, tenuto conto di tutti gli interessi in causa e, in particolare, dell’interesse generale: a) di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per ingiungere la loro cessazione, o b) qualora la pratica commerciale sleale non sia stata ancora posta in essere ma sia imminente, di vietare tale pratica o di proporre le azioni giudiziarie appropriate per vietarla, anche in assenza di prove in merito alla perdita o al danno effettivamente subito, oppure in merito all’intenzionalità o alla negligenza da parte del professionista-v. da ultimo art.11 dir.2005/29/CE-.
Si coglie così con maggiore nettezza la differenza fra le sottostanti posizioni giuridiche soggettive che agitano tutela individuale e tutela collettiva: nella prima, infatti, l’interesse del consumatore riguarda la sfera patrimoniale e personale di chi agisce, mentre nella seconda è l’interesse collettivo dei consumatori ad evocare e giustificare forme di tutela ben più incisive. Ed è su questi stessi binari che si apprezzano le potenzialità della tutela inibitoria, dotata di poteri nemmeno comparabili per ampiezza a quelli attribuiti individualmente, proprio in vista di una più pregnante difesa della dimensione collettiva di quegli stessi bisogni.
Ove il legislatore comunitario dovesse decidere di introdurre lo strumento generale dell’inibitoria collettiva, lo stesso dovrebbe pure farsi carico di risolvere problemi particolarmente dibattuti quali:
<!--[if !supportLists]-->a) <!--[endif]-->natura giuridica dell’interesse promosso nell’azione inibitoria collettiva;
<!--[if !supportLists]-->b) <!--[endif]-->legittimazione attiva- associazioni dei consumatori, organizzazioni non governative, requisiti di rappresentatività;
<!--[if !supportLists]-->c) <!--[endif]-->contenuto dell’azione inibitoria – cessazione del comportamento dannoso ed adozione di misure atipiche per eliminare gli effetti delle violazioni accertate-;
<!--[if !supportLists]-->d) <!--[endif]-->efficacia del provvedimento inibitorio nei rapporti individuali ed in generale rapporti fra tutela individuale e collettiva;
<!--[if !supportLists]-->e) <!--[endif]-->adozione di forme di tutela provvisoria ed urgente;
<!--[if !supportLists]-->f) <!--[endif]-->penalità di mora in caso di mancato adempimento;
<!--[if !supportLists]-->g) <!--[endif]-->estensione dell’azione inibitoria al risarcimento dei danni.
La tutela cautelare urgente.
Sembra parimenti indispensabile che la legislazione comunitaria precisi, all’interno di uno strumento quadro concernente la protezione del consumatore, l’obbligo dei Paesi membri di adottare misure inibitorie urgenti capaci di anticipare la tutela definitiva degli interessi dei consumatori.
Nel ricordato caso Unibet il giudice del rinvio aveva poi chiesto di sapere se il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario richieda, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, la possibilità di ottenere che provvedimenti provvisori siano concessi per sospendere l’applicazione di disposizioni nazionali fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario.
Sul punto, la Corte ha ricordato che il giudice nazionale investito di una controversia disciplinata dal diritto comunitario deve essere in grado di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario (sentenze Factortame e a., cit., punto 21, e 11 gennaio 2001, causa C‑226/99, Siples, Racc. pag. I‑277, punto 19).E ciò anche se in contestazione vi è il diritto al risarcimento del danno prodotto dalla asserita violazione di un diritto garantito a livello comunitario.
Sulla base di tali considerazioni la Corte ha quindi ritenuto che il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, che provvedimenti provvisori possano essere concessi fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, quando la concessione di tali provvedimenti è necessaria per garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza di tali diritti.
Del resto, l’esigenza di approntare misure particolarmente efficaci nell’ordinamento nazionale è stata da sempre sottolineata nella legislazione comunitaria consumeristica che, peraltro, ha subìto nel tempo una tanto significativa quanto progressiva accentuazione dei consigli indirizzati ai singoli Stati circa l’individuazione delle singole misure protettive dei consumatori.
A tal proposito, occorre muovere dall’art. 7 dir. 93/13/CEE, ove si stabiliva che «Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori»<!--[if !supportFootnotes]-->[15]<!--[endif]-->.
Analoga genericità si coglie nell’art. 11 della dir. 97/7/CEE in tema di contratti a distanza ove si precisava che «Gli Stati membri accertano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni nazionali per l’attuazione della presente direttiva nell’interesse dei consumatori».
La necessità di procedere all’introduzione di misure volte ad anticipare le soglie di tutela consumeristica si può cogliere solo in prosieguo di tempo e precisamente con la ricordata dir. 98/27/CE, allorché l’art. 2, par. 1, precisava che gli Stati membri sono tenuti a designare gli organi giurisdizionali o le autorità amministrative competenti a deliberare su ricorsi o azioni proposti dagli enti legittimati a norma dell’art. 3 ai seguenti fini: a) ordinare con la debita sollecitudine e, se del caso, con procedimento d’urgenza, la cessazione o l’interdizione di qualsiasi violazione.
Su analoga prospettiva si porrà, in seguito, l’art. 18 dir. 2000/31/CE in tema di commercio elettronico, ove si precisa che «Gli Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società dell’informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa».
Ecco che da un atteggiamento particolarmente rispettoso dell’autonomia degli Stati membri in ordine all’individuazione delle misure idonee<!--[if !supportFootnotes]-->[16]<!--[endif]-->, si è passati alla espressa inclusione delle misure provvisorie; di guisa che la mancata introduzione delle stesse potrebbe determinare un inadempimento dello Stato membro.
L’acme di tale processo sembra cogliersi nella dir. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali abusive.
Senza ambire a forme di armonizzazione in ordine agli strumenti processuali che i singoli Paesi membri possono adottare nell’ambito della legislazione interna, il legislatore comunitario si limita, al par. 2.2 dell’art. 11 a prevedere che gli effetti inibitori delle pronunzie giudiziarie possono essere adottati nell’ambito di un procedimento d’urgenza con effetto provvisorio oppure con effetto definitivo.
Si tratta, a ben considerare, della presa d’atto che la tutela cautelare assume, soprattutto in materie delicate quali quelle che possono vedere il consumatore alla mercé del professionista senza scrupoli, una rilevanza strategica, in assenza della quale gli strumenti interni risulterebbero privi di effettività.
E se è la stessa previsione normativa a riservare ai singoli Stati il potere di scegliere una delle due opzioni, non vi è dubbio che il riferimento alla provvisorietà-definitività del procedimento cautelare è essa stessa dimostrazione dell’attenzione riservata dal legislatore comunitario al tema. Attenzione alla quale non può sfuggire il singolo Stato che dovrà prevedere misure cautelari quanto meno provvisorie per allinearsi in modo corretto alle previsioni comunitarie .
Si comprende, così, dall’analisi dei testi normativi comunitari come sia in atto una sempre maggiore attenzione verso le forme di tutela dei diritti dei consumatori che sembra nettamente caldeggiare, accanto al ricorso a forme di tutela stragiudiziale, anche quelle tipologie di misure che, pur muovendosi all’interno del processo, appaiono meno condizionate dal rispetto di forme che potrebbero determinare una risposta non efficace alle istanze di tutela consumeristiche.
Potrebbe essere allora questa l’occasione per armonizzare in modo più marcato- per senza ambire a forme di uniformazione- anche i sistemi processuali nazionali in tema di tutela urgente che, proprio per le disarmonie in atto esistenti fra i diversi Paesi, non consentono di fornire un grado di protezione uniforme. E ciò sempre in quell’ottica di effettività che deve informare il sistema di tutela consumeristica.
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<!--[if !supportFootnotes]-->[1]<!--[endif]--> L’autore di questo contributo è anche docente di diritto dell’Unione europea presso la Scuola di specializzazione per le professioni forensi dell’Università degli Studi di Palermo G.Scaduto; Head-expert designato per il settore della tutela del consumatore dal Ministero della Giustizia italiano per il Progetto regionale CARDS 2003 finanziato dalla Commissione europea e dal Consiglio d’Europa “establishment of an independent, reliable and functioning judiciary and the enhancing of the judicial co-operation in the western Balkans”. Autore di pubblicazioni e relatore in convegni sul tema della tutela del consumatore. Coautore del volume Commentario al codice del consumo, Utet, in corso di pubblicazione. Per info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
<!--[if !supportFootnotes]-->[2]<!--[endif]--> Corte giust. 15-5-1986, C-222-84, Racc.I-1651, punto 18; Corte eur. giust. 27-11-2001, C-424-99, Racc. I‑9285, punto 45, Corte giust. 25 luglio 2002 , causa C‑50/00 P, (Racc. pag. I‑6677) punto 39.
<!--[if !supportFootnotes]-->[3]<!--[endif]--> E’ appena il caso ricordare che sempre la Corte di giustizia ha già avuto modo di rammentare che il Patto internazionale sui diritti civili e politici si annovera tra gli strumenti internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’Uomo di cui la Corte tiene conto per l’applicazione dei principi generali del diritto comunitario (v. Corte eur. giust. 27-6-2006, C‑540-03, www.curia.eu.int., punto 37; Corte giust. 18-10- 1989, C-374-87, Racc. I- 3283, punto 31; Corte eur. giust. 18-10-1990, C‑297-88 e C‑197/89, Racc. I‑3763, punto 68, e Corte eur. giust. 17 –2-1998, C‑249-96, Racc. I‑621, punto 44.
<!--[if !supportFootnotes]-->[4]<!--[endif]--> Art. II-107 Tr.Cost.europea:”Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”. Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.
<!--[if !supportFootnotes]-->[5]<!--[endif]--> Inizialmente, nel progetto predisposto della Carte, l’art.45, sotto la rubrica protezione dei consumatori prevedeva che “Nelle politiche dell’Unione è garantito un alto grado di tutela della salute, della sicurezza e degli interessi dei consumatori”.Nella formulazione finale contenuta nell’art.38 scompare, invece, ogni riferimento alla salute, alla sicurezza ed agli interessi dei consumatori, lasciando spazio ad una formula apparentemente più blanda-“Nelle politiche dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori”-.
<!--[if !supportFootnotes]-->[6]<!--[endif]--> Il pensiero va immediatamente ai principi generali dell’ordinamento comunitario fra i quali la Corte di giustizia inquadra quelli di sussidiarietà, di proporzionalità, dell’affidamento, di precauzione, di certezza del diritto, di effettività del controllo giurisdizionale e del diritto al contraddittorio.Sul punto la Corte di giustizia ha più volte chiarito che “il rispetto dei principi generali del diritto comunitario si impone ad ogni autorità nazionale che debba applicare il diritto comunitario- cfr.Corte giust.26 aprile 1988, causa C-316/86,Hauptzollamt Hamburg-Jonas c.Krucken a proposito del principio di affidamento;Corte giust. 27 settembre 1979, causa 230/78, Eridania
<!--[if !supportFootnotes]-->[7]<!--[endif]--> osserva sul punto Toriello, I principi generali del diritto comunitario,Milano,2000,348, che “ secondo lo schema di intervento del Trattato di Amsterdam perciò, nel <<fare altro>> si deve prendere in considerazione quella esigenza [del consumatore n.d.r.].Secondo lo schema di intervento del Trattato di Nizza, invece, nel fare <<altro>>(politiche dell’Unione) si deve garantire un livello di protezione elevato dei consumatori”
<!--[if !supportFootnotes]-->[8]<!--[endif]--> v., in particolare, Corte giust. 11 luglio 1991, cause riunite da C‑87/90 a C‑89/90, Verholen e a., Racc. pag. I‑3757, punto 24 e Safalero, cit., punto 50
<!--[if !supportFootnotes]-->[9]<!--[endif]--> v., in particolare, sentenza 16 dicembre 1976, Rewe, cit., punto 5, e citate sentenze Comet, punti 13‑16; Peterbroeck, punto 12; Courage e Crehan, punto 29; Eribrand, punto 62, nonché Safalero, punto 49.
<!--[if !supportFootnotes]-->[10]<!--[endif]--> Corte giust. 15-5-1986 C-222/84, Racc. I-1651
<!--[if !supportFootnotes]-->[11]<!--[endif]--> Hans Schulte-Nölke, EC Consumer Law Compendium, 578 ss.,in http://ec.europa.eu/consumers/cons_int/safe_shop/acquis/comp_analysis_en.pdf-
<!--[if !supportFootnotes]-->[12]<!--[endif]--> Mengozzi P.,Lo squilibrio delle posizioni contrattuali nel diritto italiano e nel diritto comunitario, Padova, 2004,183, ricorda il pensiero di Rapisarda C e Taruffo M.,Inibitoria (azione) Diritto processuali civile,in Enciclopedia giur.Treccani, XVIII,Roma, 1989, 9 .
<!--[if !supportFootnotes]-->[13]<!--[endif]--> Al quesito, con riguardo alla situazione italiana, dà risposta positiva Bellelli A.,L’inibitoria come strumento generale di tutela contro l’illecito,in Riv.dir.civ., 2004,607, proprio valorizzando il settore dei consumatori e gli strumenti inibitori introdotti prima e dopo la dir.98/27/CE.
<!--[if !supportFootnotes]-->[14]<!--[endif]--> Estremamente chiara l’analisi di di Majo A.La tutela civile dei diritti,Milano, 2003,144 ss.
<!--[if !supportFootnotes]-->[15]<!--[endif]--> Il par. 2 dello stesso articolo precisava, inoltre, che «…i mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole».
<!--[if !supportFootnotes]-->[16]<!--[endif]--> Secondo la costante giurisprudenza di Lussemburgo, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei diritti di cui i soggetti godono ai sensi dell’ordinamento comunitario, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, a condizione, tuttavia, che tali modalità non siano meno favorevoli di quelle relative a situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, Corte giust. 16 maggio 2000, causa C‑78/98, Preston e a., Racc. pag. I‑3201, punto 31, e Corte giust. 19 settembre 2006, cause riunite C‑392/04 e C‑422/04, i‑21 Germany e Arcor, Racc. pag. I‑0000, punto 57).