Proc. n. 22/2002 R.G. - Sentenza del 21.3.2003/13.6.2003 n. 33/2003 Reg. dep. - Presidente Rognoni - Estensore Fici.
Doveri del magistrato: riserbo. Fattispecie concreta: intervista rilasciata ad emittente radiofonica. Illecito disciplinare. Non sussiste.
Va assolto perché il fatto non costituisce illecito disciplinare il magistrato che, rilasciando, nel corso di una intervista ad una emittente radiofonica, dichiarazioni in ordine all'operato delle Forze dell'Ordine nonché "delle forze che ci governano" in relazione a gravi eventi che avevano turbato l'opinione pubblica nazionale ed internazionale, ha fatto uso di espressioni che, per quanto in ragione del ruolo rivestito dall'intervistato potevano ispirarsi a maggiore sobrietà, sono esenti da falsità nonché da connotazioni oltraggiose, allusive e calunniose e che, in relazione al particolare momento in cui sono state rilasciate, non hanno oltrepassato i limiti deontologici posti a presidio del prestigio della funzione.
i n c o l p a z i o n e
della violazione dell'art. 18 R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, per aver gravemente mancato ai doveri di riserbo e di correttezza, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato.
Il dott. ******, in data 2 agosto 2001, a seguito dei "fatti di ........", ha dichiarato, all'emittente radiofonica "Radio Popolare", quanto segue: "E' più difficile indagare su ........ che sulla strage di Bologna .... E' chiaro ... che ogni volta che pezzi dello Stato debbono rispondere di episodi così rilevanti penalmente scattano protezioni e coperture, anche perché non si sa mai dove finisce la catena delle complicità e, quindi, dell'omertà di Stato ... Uno dei dati più allarmanti che si sono visti a ........ è questa sorta di violenza culturale dentro le forze di polizia contro i <>, contro i diversi, contro coloro che non accettano le regole di questo gioco, di uno Stato che vuole diventare sempre più regime. Questa è la cosa più allarmante, da sconfiggere politicamente ... Questo rappresenta una delle più gravi responsabilità: un segnale della caduta di sensibilità democratica delle forze che ci governano".
Svolgimento del procedimento
1. Con nota del 5 dicembre 2001, indirizzata al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, il Ministro della Giustizia promuoveva azione disciplinare nei confronti del dottor ******, presidente di sezione del Tribunale di Bologna, per il fatto descritto nel capo di incolpazione riportato in epigrafe.
Detta iniziativa traeva origine dalle notizie diffuse il 2 agosto 2001 dall'agenzia ANSA e, quindi, da numerose testate giornalistiche in ordine al contenuto di un'intervista rilasciata dal dottor ****** ad una emittente radiofonica.
Il Procuratore Generale comunicava a questa Sezione Disciplinare l'avvio del procedimento disciplinare in questione con nota dell'11 dicembre successivo.
Il 4 febbraio 2002 l'incolpato rendeva interrogatorio innanzi al Procuratore Generale.
Il dottor ****** affermava preliminarmente che, pur potendoci esserci corrispondenza fra le frasi riportate nel capo di incolpazione e quanto dichiarato nell'intervista, non aveva avuto modo, tuttavia, di controllare il nastro dell'intervista; contestava, comunque, nel merito il rilievo disciplinare della condotta, richiamandosi al principio costituzionale di libertà di manifestazione del proprio pensiero; e sollecitava una rapida definizione della procedura con attivazione del sindacato del giudice disciplinare.
L'incolpato produceva contestualmente una breve memoria difensiva nella quale, fra l'altro, sosteneva che le frasi che gli erano state attribuite "costituivano un frammento di un più ampio intervento inteso ad esprimere una profonda preoccupazione riguardo ad eventi drammatici che avevano scosso l'opinione pubblica nazionale e internazionale e che sollevavano (ed, invero, tuttora sollevano) inquietanti interrogativi in ordine alla salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone".
All'esito dell'interrogatorio, in data 25 febbraio 2002, il Procuratore Generale chiedeva il rinvio a giudizio dell'incolpato.
A seguito di una serie di rinvii, connessi ad esigenze organizzative di questa Sezione Disciplinare, il dibattimento ha avuto luogo all'udienza odierna.
L'incolpato si è riportato alle dichiarazioni già rese nella fase istruttoria e, quindi, le parti hanno concluso in modo difforme, il Procuratore Generale per l'affermazione delle responsabilità disciplinare del dottor ****** ed il difensore per l'assoluzione.
Motivi della decisione
2. Il dottor ****** va assolto dall'incolpazione ascrittagli, poiché questa Sezione Disciplinare ritiene che le dichiarazioni dallo stesso rese il 2 agosto 2001 all'emittente radiofonica "Radio Popolare", oggetto di contestazione, hanno costituito esplicazione del diritto di libera manifestazione del pensiero, tutelato dall'art. 21 della Costituzione e che - tenuto conto del contenuto, delle modalità espressive e del contesto temporale dell'intervista - dette dichiarazioni non hanno superato quei limiti che la giurisprudenza (costituzionale, disciplinare e di legittimità) ha, con riferimento ai magistrati, individuato a tutela della funzione giurisdizionale.
3. La materia dei rapporti con i mezzi di informazione e delle interferenze con l'esercizio dei pubblici poteri è uno snodo essenziale delle dinamiche istituzionali ed anche questa Sezione Disciplinare è sovente chiamata a confrontarsi con una tale tematica, che afferisce ad un diritto fondamentale di libertà, che connota e permea di sè il nostro assetto ordinamentale.
Con specifico riferimento ai profili deontologici delle dichiarazioni rese alla stampa da magistrati non può prescindersi - a fronte della astratta previsione incriminatrice di cui all'art. 18 del R.D. Lgs. 31 maggio 1946 n. 511 - dai principi affermati dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza del 5 giugno 1981 n. 100, con la quale sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale della citata disposizione, nella parte in cui consente la sottoposizione a sanzione disciplinare del magistrato che tenga in ufficio o fuori una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario, sollevate in relazione agli articoli 21, comma 1, 25, comma 2, 101, comma 2, e 108, comma 1, della Costituzione.
Il giudice remittente aveva infatti rilevato come la generica descrizione della condotta sanzionabile, ancorata a concetti astratti quali fiducia e considerazione (di cui ogni magistrato deve godere) e prestigio (dell'Ordine Giudiziario), potesse ritenersi in contrasto con i principi affermati nella citate disposizioni costituzionali e, segnatamente, con il diritto fondamentale di libertà di manifestazione del pensiero, per il possibile uso distorto dello strumento disciplinare in relazione ad opinioni espresse da un magistrato.
La Corte, nel rigettare le sollevate eccezioni, ha delineato i limiti entro i quali l'azione disciplinare nei confronti di un magistrato, in relazione a manifestazioni di pensiero, è compatibile con l'attuale assetto costituzionale e non corre il rischio di trasformarsi, per converso, in uno strumento di repressione e di conformazione delle coscienze, del tutto inaccettabile in un sistema, come il nostro, ispirato a principi di libertà e di partecipazione democratica.
"Deve riconoscersi - hanno osservato i giudici della Consulta, espressamente ribadendo che non sono possibili dubbi in proposito - che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma deve del pari ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica da essi rivestita non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale. Per quanto concerne la libertà di manifestazione del pensiero non è dubbio che essa rientri fra quelle fondamentali protette dalla nostra Costituzione ma è del pari certo che essa, per la generalità dei cittadini non è senza limiti, purché questi siano posti dalla legge e trovino fondamento in precetti e principi costituzionali, espressamente enunciati o desumibili dalla Carta Costituzionale (cfr. sentenza n. 9 del 1965)".
"I magistrati, per dettato costituzionale (art. 101, comma 2, e 104, comma 1, Cost.) debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento, al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità nell'adempimento del loro compito. I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione; assicurano al contempo, quella dignità dell'intero ordine giudiziario, che la norma denunciata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa".
Individuata, dunque, la copertura costituzionale della previgente disposizione incriminatrice, attraverso un'attualizzazione dei concetti di prestigio e fiducia, la Corte ha, quindi, dedotto che "nel bilanciamento di tali interessi con il fondamentale diritto alla libera espressione del pensiero sta … il giusto equilibrio, al fine di contemperare esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale"; e, pertanto, "gli anzidetti rilievi consentono di affermare la piena compatibilità tra libera manifestazione del pensiero e tutela della dignità del singolo magistrato e dell'intero ordine giudiziario; l'equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libertà di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta soltanto l'esercizio anomalo e, cioè, l'abuso, che viene ad esistenza ove risultino lesi gli altri valori sopra menzionati".
I giudici costituzionali non sono andati oltre ed hanno rimesso all'organo chiamato a valutare i singoli comportamenti e, cioè, alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, il potere di "stabilire se essi possono o meno essere riprovati dalla coscienza sociale e se siano o meno conformi alla valutazione che comunque possano fare di essi gli stessi consociati in relazione alla natura e rilevanza degli interessi tutelati ed in funzione del buon andamento dell'attività giudiziaria"; per concludere nel senso che "il controllo di legittimità, affidato al massimo organo della giurisdizione ordinaria, costituisce poi garanzia ulteriore dell'esatta osservanza dei principi costituzionali applicabili".
4. E' compito, dunque, di questa Sezione Disciplinare, in relazione alle singole fattispecie sottoposte alla sua valutazione, operare il descritto bilanciamento, per stabilire se la concreta dichiarazione del magistrato, oggetto d'incolpazione, ha rappresentato una corretta esplicazione della libertà fondamentale di manifestazione di pensiero, ovvero se essa ne ha costituito un abuso, in quanto idonea - per il contenuto, per i modi e per i tempi - a compromettere la fiducia nell'imparzialità ed indipendenza del singolo magistrato e, di riflesso, il prestigio dell'intero ordine di appartenenza.
In quest'opera di bilanciamento dei descritti principi la Sezione Disciplinare - pur mantenendo un'assoluta autonomia di valutazione, che le deriva della formulazione elastica della disposizione incriminatrice, che inevitabilmente rimanda a non sempre uniformi opzioni di natura culturale, peraltro variabili e contingenti in relazione ai tempi - non potrà prescindere dai suoi precedenti in materia, dalle indicazioni offerte dagli arresti dei giudici di legittimità e dalle elaborazioni interne all'ordine giudiziario, che si sono manifestate sia in sede consiliare che associativa. Ci si riferisce, in particolare, alle risoluzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, in materia di dichiarazioni alla stampa da parte di un magistrato, del 19 maggio 1993 e dell'1 dicembre del 1994, così come all'art. 6 del c.d. codice etico ; elaborazioni, le quali tutte, in ogni caso, non costituiscono fonti normative alla quali la Sezione Disciplinare è, comunque, tenuta ad adeguarsi (così Cass. SS.UU. Civili, 4 febbraio 1999).
5. Va, al riguardo, innanzi tutto, evidenziato come questa Sezione Disciplinare non ha mai considerato illimitato il diritto dei magistrati di manifestare il proprio pensiero e non si è, dunque, mai discostata dal costante insegnamento delle Sezioni Unite Civili della Cassazione, secondo cui "il principio garantito dall'art. 21 della Costituzione incontra anche per i magistrati i limiti posti dall'ordinamento a tutela dei diritti e delle libertà altrui e deve essere coordinato con gli altri interessi di rango pubblicistico e costituzionale" (cosi Cass. SS.UU. Civili da ultima citata, ma anche Cass. SS.UU. Civili n. 6179/93 e Cass. SS.UU. Civili n. 10.999/93).
Si tratta, dunque, di stabilire se la singola dichiarazione - per le concrete modalità, per lo stile, per il tono, per la congruità delle argomentazioni e per la continenza delle espressioni usate - si sia mantenuta entro i limiti consentiti, ovvero se abbia trasmodato in abuso per l'indebito attacco alla sfera giuridica di altri soggetti o all'esercizio di funzioni costituzionalmente previste; valutando, altresì, se un eventuale eccesso di tono, ovvero di singole espressioni o di singoli argomenti possano trovare spiegazione e giustificazione nel particolare contesto nel quale la dichiarazione è stata rilasciata.
6. Nella fattispecie in esame si è trattato di una dichiarazione resa dal dottor ****** ad un'emittente radiofonica in merito ad eventi che avevano destato profondo turbamento presso l'opinione pubblica nazionale ed internazionale: ci si riferisce ai gravi disordini verificatisi nella città di ……. in occasione del c.d. G8 e, cioè, del periodico vertice internazionale dei capi di stato o di governo dei più importanti paesi industrializzati che aveva attirato la presenza di parecchie centinaia di migliaia di manifestanti aderenti al c.d. movimento antiglobalizzazione.
Riferendosi alla repressione operata dalle forze dell'ordine, all'arresto di centinaia di dimostranti, alle violenze denunciate, alle conseguenti indagini avviate dalla competente procura della Repubblica, il dottor ****** avrebbe testualmente dichiarato (non è stata acquisita la cassetta e, tuttavia, l'incolpato non ha contestato il contenuto delle dichiarazioni attribuitegli) che "è più difficile indagare su ........ che sulla strage di Bologna", ed ancora: "è chiaro che ogni volta che pezzi dello Stato debbono rispondere di episodi così rilevanti penalmente scattano protezioni e coperture, anche perché non si sa mai dove finisce la catena delle complicità e, quindi, dell'omertà di Stato. Uno dei dati più allarmanti che si sono visti a ........ è questa sorta di violenza culturale dentro le forze di polizia contro i "rossi", contro i diversi, contro coloro che non accettano le regole di questo giuoco, di uno Stato che vuole diventare sempre più regime. Questa è la cosa più allarmante, da sconfiggere politicamente … Questo rappresenta una delle più gravi responsabilità: un segnale della caduta di sensibilità democratica delle forze che ci governano".
Se pure è indubbia la gravità di tali dichiarazioni, tenuto anche conto del ruolo rivestito dall'intervistato, che avrebbe ben potuto attenersi a canoni di maggiore prudenza espressiva, le stesse devono essere valutate nel contesto di quei giorni che, come si è anticipato, hanno rappresentato una pagina estremamente difficile per il nostro Paese.
Le drammatiche testimonianze di centinaia di manifestanti, affidate a giornalisti italiani ed esteri della televisione e della carta stampata, gli interrogativi sollevati dai mezzi di informazione nazionali ed internazionali, le prese di posizione di autorità estere, di intellettuali, di opinionisti, di politici, di uomini di chiesa e di cultura costituiscono il contesto nel quale va collocata e valutata la pubblica presa di posizione dell'odierno incolpato.
Un contesto difficile e preoccupante, cui ha fatto seguito una confortante serie di risposte da parte delle istituzioni competenti; in primo luogo l'avvio di indagini in sede penale ed amministrativa e, quindi, nei mesi successivi, l'attuazione di una diversa metodologia, risultata vincente, improntata al dialogo ed alla prevenzione per la gestione di analoghe manifestazioni di partecipazione e di protesta.
Può dirsi, dunque, che la reazione democratica affidata allo strumento della libera manifestazione del pensiero ha.contribuito a risanare un rapporto di fiducia e di collaborazione con i pubblici poteri. Con ciò restando confermata la decisiva rilevanza del principio della libera manifestazione del pensiero, come supporto essenziale delle istituzioni democratiche.
D'altra parte, tale diritto di libertà, proclamato e protetto dalla nostra Costituzione (art. 21) è, a pieno titolo, annoverato fra "le libertà fondamentali … che meglio caratterizzano il regime vigente dello Stato, condizione com'è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto, culturale, politico, sociale" (così Corte Costituzionale, sentenza n, 9 del 1965); ed è stato, altresì, ritenuto "patrimonio comune della cultura liberale, la quale riconosce la positività e l'importanza sociale del dissenso, della discussione e della critica" (così Sezione Disciplinare, 22 maggio 1998, n. 77, inc. Greco).
7. Le dichiarazioni del dottor ****** non possono ovviamente, in questa sede, essere valutate nel merito e, d'altra parte, non devono le singole proposizioni essere o meno condivise.
Si tratta di opinioni che l'incolpato, nell'esercizio del diritto di libera manifestazione del pensiero, ha ritenuto in quei drammatici giorni di offrire alla pubblica opinione. Per altro verso, del tutto inconducente sarebbe ogni valutazione in merito al gradimento ovvero al non gradimento, più o meno diffuso, di quelle valutazioni espresse nell'intervista, posto che "per sua stessa natura la libertà fondamentale di manifestazione del pensiero non può trovare limiti e misura nel gradimento che i singoli, ovvero i più abbiano di volta in volta a manifestare sulle opinioni degli altri"; e che "se altrimenti fosse, se al fine di un corretto esercizio di quella libertà fondamentale dovesse tenersi in conto il gradimento degli altri, verrebbe infatti a negarsi lo stesso concetto di valore di libertà, che è valore individuale prima ancora che sociale, e che specificamente si invera nella libertà di consenso come in quella di dissenso dalle opinioni altrui (cosi Sezione Disciplinare 22 maggio 1998, n. 77, inc. Greco)
8. Per quanto, poi, l'odierna contestazione sia formulata soltanto con un generico richiamo "ai doveri di riserbo e di correttezza", che avrebbero reso il magistrato "immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere", è necessario valutare la condotta del magistrato incolpato alla stregua di tale sintetica prospettazione accusatoria.
Deve, in primo, luogo escludersi che il dottor ****** abbia violato il dovere di riserbo imposto ai magistrati, se un tale obbligo lo si ritiene connesso, come pare logico, a quello funzionale di non rilasciare dichiarazioni in merito a procedimenti direttamente trattati.
Invero, le dichiarazioni oggetto di contestazione non riguardano vicende connesse all'attività d'ufficio dell'odierno incolpato, quanto piuttosto, fatti di cronaca di rilievo nazionale verificatisi in altro distretto rispetto a quello di servizio dell'interessato. Resta così escluso ogni rilievo del nucleo essenziale delle prescrizioni descritte nel menzionato articolo 6 del codice etico, secondo cui "nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di comunicazione, il magistrato non sollecita la pubblicità di notizie attinenti alla propria attività d'ufficio"; ed ancora: "quando non è tenuto al segreto e alla riservatezza su informazioni conosciute per ragioni del suo ufficio e ritiene di dover fornire notizie sull'attività giudiziaria, al fine di garantire la corretta informazione dei cittadini e l'esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l'onore e la reputazione dei cittadini, evita la costituzione o l'utilizzazione di canali informativi personali riservati o privilegiati".
D'altra parte, è stato anche affermato che "appare ipotizzabile un pregiudizio dei canoni di riserbo e di riservatezza le volte in cui il magistrato violi il segreto di ufficio, oppure esprima opinioni lesive dei diritti altrui sugli affari in corso di trattazione o sugli affari definiti, ovvero manifesti in ordine a procedimenti in corso consenso o dissenso pubblico, idoneo a condizionare la libertà di decisione nell'esercizio di funzioni giudiziarie" (così Sezione Disciplinare, 22 maggio 1998, inc. Greco); e tutte tali ipotesi alternative sono palesemente estranee alla fattispecie in questione;
9. Così come deve parimenti escludersi la contestata violazione del dovere di correttezza, che - per quanto non specificato nell'incolpazione - parrebbe potersi fare discendere dall'abuso della qualità di magistrato. Concetto questo desumibile dalla seconda parte del predetto articolo 6 del codice etico, secondo il quale "fermo il principio di piena libertà di manifestazione del pensiero, il magistrato si ispira a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare dichiarazioni ed interviste ai giornali e agli altri mezzi di comunicazione di massa".
Invero, un tale abuso della qualità di magistrato "non può semplicemente identificarsi con l'autorevolezza o la notorietà che il magistrato ha acquisito nell'esercizio delle sue funzioni e con la conseguente influenza che lo stesso è in grado di esercitare con la pubblica opinione"; perché, "se così non fosse, del resto, si verrebbe ad introdurre arbitrariamente un limite soggettivo, inibendosi al magistrato sol perché autorevole e circondato dalla pubblica stima, di manifestare liberamente le proprie opinioni" (Cass. SS.UU. Civili, 4 febbraio 1999, n. 282).
Ciò è, peraltro, coerente con la risoluzione adottata dal Consiglio Superiore il 19 maggio 1993, nella parte in cui evidenzia come "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero non tollera limiti soggettivi e compete anche ai magistrati, ai quali non può essere inibito di esprimere le proprie opinioni di consenso o di dissenso sulle vicende che interessano l'attività giudiziaria e sui provvedimenti legislativi in elaborazione che incidono sul funzionamento della giustizia"; dovendosi escludere, evidentemente, che l'ambito della libertà di manifestazione del pensiero sia circoscritto a quei settori che sono stati espressamente indicati, per ragioni contingenti e, quindi, con significato esemplificativo, in quella risoluzione.
Quanto ai richiamati criteri dell'equilibrio e della misura vanno riproposte le considerazioni sopra sviluppate riguardo alla oggettiva gravità delle dichiarazioni del dottor ****** che, seppur del tutto esenti da falsità, ovvero da connotazioni oltraggiose, allusive e calunniose, avrebbero potuto essere ispirate, in ragione del ruolo rivestito dall'intervistato, a canoni di maggiore sobrietà; e che, tuttavia, in relazione al particolare momento in cui sono state rilasciate, non hanno oltrepassato quei limiti deontologici posti a presidio del prestigio della funzione e, quindi, dell'immagine di indipendenza ed imparzialità di ogni singolo magistrato.
Ed, al riguardo, è bene ribadire che quel particolarissimo contesto emotivo, collettivo ed individuale, conformemente a consolidata giurisprudenza di questa Sezione (sentenze 12 settembre 1997, inc. D'Ambrosio; 23 gennaio 1998, n. 9, inc. Bertone; 22 maggio 1998, n. 77, inc. Greco) non può essere disconosciuto e neppure sottovalutato.
P.Q.M.
La Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura;
Visto l'art. 35 del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511,
assolve
il dott. ****** dalla incolpazione contestata perchè il fatto non costituisce illecito disciplinare.
Roma, 21.3.2003
L'ESTENSORE
(Giuseppe Fici)
IL PRESIDENTE
(Virginio Rognoni)