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Consiglio Superiore della Magistratura 

Sezione disciplinare 

Ordinanza 19 gennaio 2009

Motivazioni dell'ordinanza con  la quale la sezione disciplinare del Csm il 19 gennaio scorso ha disposto la  sospensione dalle funzioni e dallo stipendio del procuratore di Salerno Luigi  Apicella e il trasferimento dalla sede e dalle funzioni di pm dei sostituti di  Salerno Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani, del Pg di Catanzaro Enzo Jannelli e del suo sostituto Alfredo Garbati.

 

                               

 

                                                                                                                                                ORDINANZA N.

                         

 

                                                                       

La Sezione Disciplinare

del Consiglio Superiore della Magistratura

 

 

Composta dai Signori:

 

 

Avv. Nicola MANCINO                                 - Vice Presidente del Consiglio

                                                                                               Superiore della Magistratura

                                                                                                                      Presidente

Avv. Michele SAPONARA              - Componente eletto dal Parlamento

Dott. Giuseppe Maria BERRUTI                - Magistrato di legittimità

Dott. Francesco Saverio Maria MANNINO          - Magistrato di merito

Dott. Mario FRESA                                     - Magistrato di merito

                                                                                                                      Relatore-Estensore

Dott.ssa Elisabetta Maria CESQUI           - Magistrato di merito

                                                                                                                      Componenti

 

 

 

 

 

con l’intervento del Procuratore Generale Aggiunto dott. Giovanni Palombarini delegato dal Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione e con l’assistenza del Segretario, dott. Antonio Corbo, magistrato addetto alla Segreteria del Consiglio Superiore della Magistratura, ha pronunciato la seguente

 

 

Ordinanza

 

nei procedimenti riuniti nn. 15/2008 R.O. – 154 – 155/2009 R.G. nei confronti dei dottori Luigi Apicella (nato a Nocera Inferiore il 9.3.1936), procuratore della Repubblica del Tribunale di Salerno, Dionigio Verasani (nato a Salerno il 20.12.1958), sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, Gabriella Nuzzi (nata a Benevento il 10.5.1968), sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, Enzo Iannelli (nato a Palmi il 22.2.1944) procuratore generale della Procura Generale di Catanzaro, Domenico De Lorenzo (nato a Catanzaro il 22.4.1944), sostituto procuratore generale presso la Procura Generale di Catanzaro, Alfredo Garbati (nato a Napoli il 15.6.1950), sostituto procuratore generale presso la Procura Generale di Catanzaro, Salvatore Curcio (nato a Catanzaro il 9.7.1963) sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro.

Difesi: il dott. Luigi Apicella dal dott. Stefano Racheli, i dottori Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi dal dott. Nicola Saracino, il dott. Enzo Iannelli dal dott. Franco Morozzo della Rocca, il dott. Domenico De Lorenzo dall’avv. Gianfranco Iadecola, il dott. Alfredo Garbati dall’avv. Salvatore Staiano e il dott. Salvatore Curcio dal dott. Pietro Dubolino,

 

i n c o l p a t i

 

Con riferimento alla richiesta di misura cautelare in data 29 dicembre 2008 del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione:

 

i dottori Luigi Apicella, Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi:

 

A) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettere g) e l), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione agli artt. 13, secondo comma, 14, secondo comma, 25, 101 e 107 della Costituzione; agli artt. 6, paragrafo 3, lettere a) e b) e 8, paragrafo 2, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo; agli artt. 253, comma 1, 257, 324 c.p.p.; per avere - in violazione degli obblighi di equilibrio e di imparzialità, gravanti anche sui magistrati del pubblico ministero - adottato provvedimenti giudiziari in grave e inescusabile violazione di legge e, comunque, eccedenti, per forma e contenuto, le finalità da raggiungere.

In particolare:

in data 26 novembre 2008, hanno emesso un decreto di perquisizione personale e locale (abitazioni e luoghi di esercizio dell'attività lavorativa) nei confronti di diciassette persone in esso indicate e fra essi di magistrati attualmente in servizio presso gli uffici giudiziari di Catanzaro, nonché un contestuale decreto di sequestro probatorio, eseguiti il 2 dicembre 2008, al fine di acquisire in originale ed integralmente gli atti - e altri eventuali dati correlati - dei procedimenti penali n. 1217/05 (c.d. Poseidone e n. 2057/06, ovvero n. 1/07 AV. (c.d. Why not), pendenti, rispettivamente, presso la Procura della Repubblica e la Procura generale della Repubblica di Catanzaro.

Entrambi i provvedimenti hanno un’unica comune motivazione di 1418 pagine costituita: dalla trascrizione pressoché integrale di numerosissimi atti procedurali, sia propri dell'indagine svolta dalla Procura di Salerno (tra questi molte dichiarazioni del dott. Luigi De Magistris, sentito dai magistrati di Salerno, a seguito di presentazione spontanea o di convocazione, oltre sessanta volte), sia riferibili ad altri procedimenti penali, definiti o pendenti, e tra questi anche dei procedimenti Poseidone e Why not; dall'inserimento di numerose utenze telefoniche, fisse e mobili, intestate a persone fisiche, istituzioni pubbliche, enti, associazioni, o a difensori di parti private, senza attinenza con l’oggetto e la finalità dei provvedimenti; dall'inserimento di numerosissimi dati personali (opzioni ideologiche o religiose o di appartenenza associativa, luoghi di residenza o di domicilio, professione etc.), riguardanti una moltitudine di soggetti estranei al procedimento, nonché di dati extraprocessuali (schede personali raccolte da siti web, locandine di convegni, note, fotografie).

Per questa modalità di redazione e per il loro contenuto, i decreti:

A.1. si pongono, segnatamente quello relativo alla perquisizione personale e domiciliare, in violazione dei principi fondanti che legittimano l’adozione di provvedimenti giudiziari invasivi della libertà personale (artt. 13, secondo comma, 14, secondo comma, Cost. e 8, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), quali espressi dalla prescrizione di legalità del sistema penale e dalla soggezione alla legge (art. 101 Cost., operante anche nei riguardi del pubblico ministero: Corte costituzionale, sentenze nn. 462 del 1993, 263 del 1991, 95 del 1975, 190 del 1970), principi che si compendiano nella necessità di una motivazione effettiva e non apparente, della chiarezza e comprensibilità delle ipotesi di accusa e degli elementi che le sorreggono (art. 6, paragrafo 3, lettere a) e b), CEDU), e che soli giustificano l'atto invasivo;

A.2. conseguentemente, affidando alla mera trascrizione di atti, senza il sostegno di un vaglio critico, e alla componente quantitativa la spiegazione delle ragioni e degli elementi a sostegno dell’ipotesi accusatoria e delle esigenze investigative sottese, e pertanto demandando alla variabile percezione dei destinatari o dei lettori la possibilità di enucleare questi elementi, si sottraggono obiettivamente alla effettiva possibilità di critica e di controllo, argomentativo e logico;

A.3. in quanto contenenti una copiosissima congerie di atti, senza la chiara individuazione della pertinenza di ciascuno di essi rispetto all’oggetto dell'indagine in corso e dunque alla funzione propria degli atti di ricerca della prova, si connotano - nella prevedibile (e avvenuta) divulgazione pubblica, stante la loro rilevanza - come provvedimenti aventi una oggettiva funzione divulgativa e mediatica di propalazione di notizie proceduralmente irrilevanti, per questa via rivestendo sicuro carattere di abnormità, sotto il profilo dello sviamento della funzione, della arbitrarietà del comportamento sotteso all'adozione dell'atto (Cass., sez. un. civ., sentenza n. 24220 del 2008) e di non adeguatezza del mezzo rispetto al fine; con conseguente inoperatività della salvaguardia della normale insindacabilità dell’attività giudiziaria di valutazione del fatto e di interpretazione delle norme (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 109 del 2006).

B) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettere g) e l), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione all'art. 8, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché, in violazione di obblighi di equilibrio e di imparzialità, ed eccedendo i limiti della necessità e dalla proporzionalità del mezzo rispetto al fine - da un lato omettendo di prendere in considerazione possibili modalità alternative di acquisizione dei dati reputati utili all’indagine, ad esempio, avvalendosi della espressa disponibilità in tal senso manifestata dalla Procura generale di Catanzaro con nota 17 giugno 2008 e dall’altro omettendo di considerare che, secondo lo stesso decreto, il 75% degli atti dei procedimenti penali Poseidone e Why not era nella disponibilità della Procura di Salerno (v. pag. 1353) - con l'adozione dei provvedimenti di cui al capo A), in particolare con il sequestro integrale e in originale dei procedimenti penali suddetti, determinavano una grave stasi della attività giudiziaria in corso a Catanzaro, di durata non preventivabile a priori.

C) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, lettere g), m) e ff), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per aver adottato i provvedimenti di cui al capo A), formalmente previsti dal vigente codice di rito, fuori dei casi nei quali sono consentiti e incorrendo, quindi, per negligenza inescusabile, in una grave violazione di legge, nonché nella violazione del dovere di correttezza; infatti, nonostante la disponibilità della Procura Generale di Catanzaro alla consegna di copia degli atti e della acquisizione medio tempore di gran parte degli atti dei procedimenti colà pendenti, come indicato nel capo B), procedevano agli atti di perquisizione e sequestro, assegnando a essi una funzione essenzialmente preventiva, sindacando dall'esterno le modalità di gestione e di articolazione interna dei procedimenti penali di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria di Catanzaro (v. p. 1423) e, di conseguenza, con grave danno della funzione giudiziaria e della autonomia ed indipendenza dei magistrati che la esercitavano.

D) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perché, con l'adozione dei provvedimenti di perquisizione e di sequestro indicati nel capo A) - nella parte in cui essi incorporano, facendole proprie, una congerie di impressioni soggettive, di accuse allusive e di giudizi sostanzialmente denigratori riguardo a decisioni giurisdizionali già assunte, anche in via definitiva, da altre autorità giudiziarie requirenti e giudicanti, dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e dalla Corte di cassazione, in base a congetturali intenti di delegittimazione che sarebbero a base delle decisioni di interi settori dell'ordine giudiziario - ponevano in essere un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei diversi magistrati, identificati o agevolmente identificabili, che hanno concorso ad assumere tali decisioni nell'esercizio delle loro funzioni e che non risultano indagati nei procedimenti riuniti de quibus.

E) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione all'art. 8, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, perché, con l’adozione dei provvedimenti di perquisizione e di sequestro indicati nel capo A) - nella parte in cui essi includono, nel contesto della elencazione di centinaia di atti relativi ad altri procedimenti penali e ad altre indagini preliminari, 1'indicazione dei nominativi di numerosissimi magistrati in servizio in diversi uffici e distretti, in tal modo ingenerando, sulla base di una esposizione non verificabile di illazioni, congetture, sospetti, "collegamenti" ed incontri del tutto occasionali, anche il mero dubbio di un loro comportamento poco lineare, senza che la menzione di tali nominativi risulti avere alcuna pertinenza rispetto alla finalità degli atti e senza che venga esplicitata la ragione di detta indicazione - ponevano in essere un comportamento gravemente scorretto nei confronti dei magistrati così menzionati.

F) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera u), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione agli artt. 114 e 329 c.p.p. e 6, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, per aver riprodotto integralmente atti (le cui modalità di acquisizione non sempre risultano indicate con chiarezza nel contesto dei decreti) dei procedimenti penali Poseidone e Why not, nonchè di altri procedimenti, ancora coperti da segreto o comunque da divieto di pubblicazione non essendo concluse le correlative indagini preliminari (v. pagg. 611, 623, 717, 725 e segg., 1152, 1155, 1255, 1256, 1259), nonché relazioni o note interne, per loro natura riservate in quanto aventi ad oggetto profili organizzativi della Procura generale della Repubblica di Catanzaro (v. pagg. 1105,1120 segg.).

 

Il solo dott. Luigi Apicella:

 

G) Dell'illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, perché, quale magistrato preposto all'ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, titolare esclusivo dell'azione penale, nell'esercizio delle funzioni, apponendo il proprio visto e facendo proprie le iniziative di adozione dei decreti di perquisizione personale e locale e di sequestro indicati nel capo A), ometteva di esercitare un effettivo controllo idoneo ad assicurare il corretto esercizio dell'indagine finalizzata alle determinazioni inerenti l'azione penale e il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio.

 

 

Con riferimento alla richiesta cautelare in data 8 gennaio 2009 del Ministro della Giustizia:

 

I dottori Luigi Apicella, Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi:

 

degli illeciti disciplinari di seguito indicati:

A) illecito disciplinare di cui agli articoli 1 e 2, lettere a), d), e), g), l) ed m), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per aver violato gli obblighi di correttezza, imparzialità ed equilibrio, gravanti sul magistrato del pubblico ministero, arrecando un ingiusto danno agli indagati. In particolare, nelle rispettive qualità, il primo di Procuratore della Repubblica, gli altri due di sostituti procuratori presso il Tribunale di Salerno:

1) in data 26 novembre 2008, nell'ambito dei procedimenti n. 10590/07, 11551/07 e 6873/08, emettevano un decreto di perquisizione delle abitazioni e dei luoghi di esercizio dell'attività lavorativa di diciassette persone in esso indicate - delle quali veniva disposta anche la perquisizione personale e fra le quali figuravano cinque magistrati attualmente in servizio presso gli uffici di seguito indicati - al fine di rinvenire e sottoporre a sequestro probatorio, contestualmente disposto, documentazione cartacea ed informatica dei procedimenti penali denominati Poseidone e Why not, pendenti, rispettivarnente, presso la Procura della Repubblica e la Procura Generale di Catanzaro. Entrambi i provvedimenti, aventi un'unica motivazione di inusitata lunghezza - 1.418 pagine (cui vanno aggiunti i capi di imputazione provvisori e la parte dispositiva dei due provvedimenti) - evidenziavano una macroscopica violazione dei doveri suddetti, in quanto motivavano la configurabilità dei reati ipotizzati attribuendo, senza alcun reale vaglio critico, decisiva ed esclusiva rilevanza alle dichiarazioni e alle memorie depositate dal denunciante dottor Luigi De Magistris, al quale si consentiva di rendere ben sessantacinque deposizioni;

2) i provvedimenti in esame, inoltre, recavano una motivazione non pertinente nella parte in cui riproduceva integralmente dichiarazioni rese da persone informate sui fatti (contenenti, in un caso, anche informazioni sui costumi sessuali del soggetto escusso, sollecitate dallo stesso magistrato inquirente) del tutto superflue nel contesto dell'indagine e nell'economia dei provvedimenti (si veda pagina 474 della motivazione dei decreti di perquisizione e sequestro emessi dalla Procura della Repubblica di Salerno) o ripercorreva vicende processuali risalenti nel tempo (pagine 907 e seguenti), ovvero riproduceva articoli di stampa, informazioni e foto di personaggi estranei alle indagini tratte da internet, locandine di convegni ed altro.

3) prima di emettere un atto altamente invasivo, quale la perquisizione degli Uffici di Procura di Catanzaro, delle abitazioni di alcuni magistrati ivi in servizio, nonché quella personale di questi ultimi, dimostrando assoluta carenza di equilibrio, non esploravano fino in fondo possibili vie alternative, avvalendosi della disponibilità manifestata dalla Procura Generale di Catanzaro con le note del 17 giugno e del 3 settembre 2008 (anteriori alla iscrizione del Procuratore Generale dottor Iannelli nel registro degli indagati per il delitto di cui all'articolo 328 c.p.) e non verificando l'effettiva volontà di collaborazione dei magistrati del suddetto ufficio. Così operando si limitavano a dare credito a quanta veniva loro riferito, genericamente, da un collega, del quale non veniva indicato il nome (vedi audizione della dottoressa Nuzzi, in data 9 dicembre 2008, davanti alla I Commissione del C.S.M.) sulla mancanza di tale volontà ed adottavano un provvedimento che, disponendo sic et simpliciter il sequestro degli atti relativi ai procedimenti Why not e Poseidone, senza alcun riferimento alla finalizzazione del sequestro alla sola estrazione di copie, determinava una grave stasi della giurisdizione, poi superata nei giorni successivi, grazie all'intervento di organi giudiziari estranei ai due procedimenti;

4) eseguivano la perquisizione, inoltre, con un tale spiegamento di forze dell'ordine da attribuire alle operazioni un inusitato risvolto mediatico.

Così operando, i magistrati di Salerno arrecavano un ingiusto danno agli indagati, in particolare ai magistrati impegnati nelle indagini preliminari relative al procedimento Why not, i quali, oltre ad essere stati additati all'opinione pubblica, per l'eco mediatica che il fatto ha avuto, come magistrati che non fanno il loro dovere, quando non favoreggiatori di criminali, ricevevano un grave vulnus alla loro immagine anche per le modalità con le quali le perquisizioni venivano effettuate. Inoltre, i provvedimenti in questione interferivano nell'attività giudiziaria in corso presso la Procura Generale di Catanzaro, senza alcuna giustificazione, tenuto conto della sostanziale assenza di motivazione non potendosi ravvisare la stessa nella mera ed acritica trascrizione di dichiarazioni della persona offesa e di soggetti informati sui fatti, di locandine e copie di articoli di giornale, di stralci di intercettazioni ed altri similari atti di indagine. Così operando, infine, gli incolpati ledevano i diritti personali degli indagati e di persone estranee al procedimento penale.

B) illecito disciplinare di cui agli articoli 1 e 2, lettere e), g), m) e ff), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per aver adottato i provvedimenti di cui al capo A), ancorché contemplati dal vigente codice di rito, fuori dei casi nei quali sono consentiti, incorrendo, quindi, per ignoranza o negligenza inescusabile, in una grave violazione di legge, nonché nella violazione del dovere di correttezza. Invero, un'attenta lettura degli stessi evidenzia che lo scopo ultimo perseguito fosse non tanto la ricerca di ulteriori mezzi di prova in ordine ai reati per i quali gli incolpati procedevano (la motivazione dei due provvedimenti dimostra che essi avevano già la disponibilità di un ingente materiale probatorio in gran parte facente parte dei procedimenti oggetto del sequestro), bensì un'acritica difesa del dottor De Magistris relativamente alla gestione dei procedimenti penali denominati Poseidone e Why not ed una critica serrata di quanta era stato fatto dai magistrati di Catanzaro dopo la revoca della delega per il primo e l'avocazione del secondo. E’ significativo, tra l'altro, che la motivazione dei provvedimenti in esame si diffonda a lungo sulla richiesta di archiviazione formulata dalla Procura Generale di Catanzaro in ordine alla posizione dell'ex Ministro della Giustizia Clemente Mastella -richiesta, peraltro, condivisa dal giudice per le indagini preliminari - ovvero sulla legittimità dell'acquisizione dei tabulati relativi al predetto Sen. Mastella, con un'aperta manifestazione di disapprovazione dell'azione disciplinare, ancora sub iudice, promossa nei confronti del dottor De Magistris, nonché della valutazione negativa espressa dal Consiglio Giudiziario di Catanzaro in relazione al superamento della terza valutazione di professionalità da parte dello stesso dottor De Magistris. In altri termini, emerge con tutta evidenza dai provvedimenti in esame che la loro effettiva finalità - e quella dei procedimenti pendenti a Salerno - fosse quella di "ricelebrare" ed istruire nuovamente, in una prospettiva diversa e non neutrale - il che è inammissibile - i procedimenti di esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria di Catanzaro, nonché dimostrare l'illiceità delle iniziative disciplinari intraprese nei confronti del dottor De Magistris e la stessa conclusione di una di esse. La conferma di un uso strumentale e deviato della funzione giudiziaria è data da uno degli incolpati, la dottoressa Nuzzi, la quale, nel corso dell'audizione ricordata sub A), fa chiaramente comprendere che scopo del sequestro era quello di bloccare "le definizioni" in corso a Catanzaro “che per noi, diciamo, non sono definizioni", in tal modo sindacando, senza obiettive e provate ragioni, le scelte processuali dei magistrati di Catanzaro.

C) illecito disciplinare di cui all'articolo 2, lettera u), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per aver riprodotto integralmente atti dei procedimenti di cui ai capi A) e B), nonché di altri procedimenti, ancora coperti da segreto (si vedano, ad esempio, le pagine 611, 623, 717, 725 e seguenti, 1.152, 1.155, 1.255, 1.256 e 1.259 della motivazione sopra citata).

 

Il solo dottor Luigi Apicella:

 

D) illecito disciplinare di cui all'articolo 2, lettera n), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, perché, nella sua qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, al fine di consentire l'esecuzione degli abnormi provvedimenti di perquisizione e sequestro di cui sopra, delegava i sostituti procuratori dottori Centore, Gambardella, Penna e Senatore a curare e coordinare le operazioni congiuntamente a sé ed ai due sostituti firmatari dei provvedimenti medesimi, di fatto disponendo la sospensione dell'attività ordinaria da loro programmata nei giorni 1 e 2 dicembre 2008, con grave ed ingiustificata violazione delle regole di organizzazione dell'Ufficio, con conseguenze negative sulla corretta conduzione dell'attività del Pubblico Ministero. tra cui, in particolare, la compromissione di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione di particolare importanza assegnato al dottor Centore, il quale veniva delegato all'attività di perquisizione nonostante avesse segnalato l’oggettivo impedimento.

Condotte, tutte, accertate in data 5 dicembre 2008.

 

I dottori Enzo Iannelli, Domenico De Lorenzo, Alfredo Garbati e Salvatore Curcio:

 

dell’illecito disciplinare di cui agli articoli 1 e 2, comma 1, lettere c), e), g) ed ff), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006 n. 109, poiché, quale Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Catanzaro, il primo, quali sostituti procuratori generali presso la medesima Corte d'Appello il secondo ed il terzo e quale sostituto procuratore presso il Tribunale di Catanzaro, applicato alla suddetta Procura Generale, il quarto, essendo sottoposti ad indagine in ordine ad ipotesi delittuose rispetto alle quali in data 26 novembre 2008 la Procura della Repubblica di Salerno adottavano un provvedimento di perquisizione e sequestro da eseguirsi anche all'interno degli uffici giudiziari della Procura Generale e della Procura della Repubblica di Catanzaro, nell'esercizio delle loro funzioni, in data 4 dicembre 2008, adottavano, a loro volta, un provvedimento di urgenza ex articolo 321, comma 3-bis, c.p.p., con cui disponevano il sequestro preventivo degli atti dell'indagine denominata Why not, pendente presso la Procura Generale di Catanzaro ed oggetto del provvedimento di sequestro precedentemente adottato dalla Procura di Salerno ed eseguito il 2 dicembre 2008, dopo aver ipotizzato nei confronti dei dottori Luigi Apicella, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani i delitti di abuso in atti di ufficio ed interruzione di pubblico servizio. Così operando gli incolpati - che adducevano l'intento di ripristinare la funzionalità dell'Ufficio, compromessa, a loro giudizio, dal sequestro disposto dai colleghi salernitani e di evitare la dispersione di materiale probatorio e segnatamente dell'archivio di informazioni raccolto dal consulente Gioacchino Genchi, contenente dati particolarmente sensibili - non valutavano l'esistenza di obiettive ragioni che avrebbero loro imposto di astenersi dall'adottare siffatto provvedimento, tenuto conto che la contestuale qualità di indagati nell'ambito dell'indagine condotta dalla Procura di Salerno comportava tale obbligo con riferimento al nuovo procedimento iscritto a carico dei colleghi salernitani per le suindicate ipotesi delittuose (articoli 321 e 340 c.p.). Così operando gli incolpati mostravano scarso equilibrio nell'esercizio delle funzioni e poca fiducia nel ricorso agli strumenti, normativamente previsti, quali il riesame del decreto di sequestro adottato dall'autorità giudiziaria di Salerno. Essi, inoltre, commettevano una grave violazione di legge (articolo 11 c.p.p.), determinata da negligenza inescusabiIe, relativamente alla ripartizione della competenza territoriale per i procedimenti a carico di magistrati, atteso che quantomeno una parte della condotta criminosa contestata ai colleghi campani (ovvero l'emissione dei decreti di perquisizione e sequestro prodromica, nell'impostazione accusatoria, a tutti gli abusi successivamente commessi) era stata commessa in Salerno, radicando, quindi, la competenza in ordine alle relative indagini nella Procura della Repubblica di Napoli. Adottavano, infine, un provvedimento abnorme in quanto, disponendo il sequestro preventivo di atti già sequestrati dai Pubblici Ministeri di Salerno, piegavano detto istituto a finalità diverse da quelle sue proprie.

Il solo dottor Enzo Iannelli, inoltre, si è reso responsabile anche della violazione degli articoli 1 e 2, comma 1, lettera v), del Decreto Legislativo 23 febbraio 2006 n. 109, poiché quale Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Catanzaro, nell'esercizio delle sue funzioni, in violazione dei doveri di riserbo ed equilibrio che devono presiedere l'attività del magistrato, in data 3 dicembre 2008, rilasciava dichiarazioni in merito ai fatti sopra descritti, predisponeva un comunicato e poi teneva una conferenza stampa in cui qualificava l'azione della Procura di Salerno quale atto "istituzionalmente inammissibile", nonché "scandaloso ed eversivo", a cui rispondere con tempestive iniziative "idonee al ripristino dei principi di legalità, indipendenza ed autonomia che hanno da sempre costituito il patrimonio culturale e morale dell'Ordine Giudiziario".

Condotte, tutte, accertate in data 5 dicembre 2008.

 

 

Svolgimento del procedimento

 

Con nota del 29 dicembre 2008 il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha chiesto alla Sezione disciplinare la misura cautelare del trasferimento, dalla attuale sede e dalle attuali funzioni, del dott. Luigi Apicella, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno.

Con la stessa nota il Procuratore generale ha dato comunicazione del promovimento della azione disciplinare nei confronti del predetto magistrato per le incolpazioni in epigrafe trascritte.

Con dichiarazione del 30 dicembre 2008 il dott. Apicella ha nominato due difensori nell’odierno procedimento cautelare, i dottori Stefano Racheli e Nicola Saracino.

I difensori del dott. Apicella hanno depositato in data 8 gennaio 2009 dichiarazione di ricusazione nei confronti di molti componenti, effettivi e supplenti, della Sezione disciplinare del C.S.M. e analoga dichiarazione di ricusazione è stata depositata in data 10 gennaio 2009 personalmente dall’incolpato. Altro collegio, investito della competenza a decidere sulle dichiarazioni di ricusazione, si è pronunciato in pari data nel senso della inammissibilità delle stesse.

All’udienza camerale del 10 gennaio 2009, la difesa dell’incolpato ha depositato memorie difensive aventi ad oggetto eccezioni di nullità procedimentali per violazione del principio della pubblicità dell’udienza, per violazione del diritto di difesa determinata dall’esclusione della nomina di uno dei due difensori in sede disciplinare e da incolpazioni generiche e, comunque, sostanzialmente configurabili come illeciti penali. 

All’udienza camerale del 17 gennaio 2009, la Sezione disciplinare ha respinto le eccezioni preliminari sollevate nella precedente udienza camerale; quindi, sentite le parti, ha disposto la riunione al presente procedimento degli altri procedimenti cautelari apertisi sulla base delle richieste cautelari del Ministro della giustizia in data 8 gennaio 2009, per le incolpazioni in epigrafe trascritte e, in particolare, del procedimento (n. 154/09) relativo alla richiesta di sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio del dott. Apicella e delle richieste di trasferimento d’ufficio dalla sede e dalle funzioni dei dottori Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi (sostituti procuratori presso il Tribunale di Salerno) e del procedimento (n. 155/09) relativo alle richieste di trasferimento d’ufficio dalla sede e dalle funzioni del dott. Enzo Iannelli (procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro), dei dottori Domenico De Lorenzo e Alfredo Garbati (sostituti procuratori generali presso la Corte della stessa sede) e del dott. Salvatore Curcio (sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, applicato alla Procura generale della stessa sede). I dottori Apicella, Verasani e Nuzzi hanno depositato altre dichiarazioni di ricusazione di molti componenti, effettivi e supplenti, della Sezione disciplinare del C.S.M. e, previa lettura di una dichiarazione, hanno abbandonato l’aula di udienza. La Sezione disciplinare ha quindi respinto ulteriori eccezioni preliminari sollevate dalle difese dei magistrati salernitani e del dott. Garbati, anche concernenti la mancata comunicazione tempestiva del preavviso di udienza ed ha dichiarato manifestamente infondata una questione di illegittimità costituzionale sollevata dalle difese dei magistrati salernitani, disponendo procedersi nel merito della discussione camerale.

Acquisita copiosa documentazione, sono stati sentiti gli incolpati catanzaresi. Quindi il Procuratore generale ha insistito nelle proprie richieste cautelari rimettendosi alla decisione della Sezione disciplinare per quanto concerne le richieste del Ministro della giustizia. I difensori dei dottori Apicella, Verasani, Nuzzi, De Lorenzo e Curcio hanno concluso per il diniego di ogni richiesta cautelare nei confronti dei rispettivi assistiti.

Alla udienza ultima di camera di consiglio del 19 gennaio 2009, anche i difensori dei dottori Garbati e Iannelli hanno concluso per il diniego di ogni richiesta cautelare nei confronti dei rispettivi assisiti.

La Sezione disciplinare, dopo aver preso atto che anche le successive dichiarazioni di ricusazione sono state dichiarate inammissibili da altro collegio, ha quindi esaminato le richieste cautelari.

 

Motivi della decisione

 

La regolare costituzione delle parti e la tempestività delle comunicazioni.

 

Preliminarmente va ribadito quanto già dichiarato con ordinanza del 17 gennaio 2009 in relazione alla regolare costituzione delle parti ed alla tempestività delle rispettive comunicazioni, con le quali è stato rispettato il termine di preavviso di almeno tre giorni, previsto dall’art. 22, secondo comma, del d.lgs. n. 109/2006, norma speciale rispetto all’art. 127 c.p.p. ed applicabile in via generale in relazione ad ogni esame di richiesta cautelare disciplinare, anche per le ragioni che si evidenzieranno oltre.

In particolare, risulta che al dott. Apicella il preavviso è stato comunicato il 29 dicembre 2008 in relazione alla richiesta cautelare del Procuratore generale per l’udienza del 10 gennaio 2009 e che in detta udienza è stato al medesimo comunicato il rinvio al 17 gennaio 2009, anche per l’esame della successiva richiesta cautelare del Ministro della giustizia. Analogo preavviso di convocazione per l’udienza del 17 gennaio 2009 è stato comunicato il 12 gennaio 2009 ai dottori Verasani, Nuzzi, Iannelli, De Lorenzo, Garbati e Curcio.

Pur non prevedendo l’art. 22, secondo comma, analogo obbligo di preavviso ai difensori nel medesimo termine di tre giorni liberi, è stata data comunicazione dell’udienza del 17 gennaio 2009 ai nominati difensori d’ufficio. Sono state quindi acquisite in atti le successive dichiarazioni di nomina dei difensori di fiducia da parte degli incolpati diversi dal dott. Apicella.

 

Le altre eccezioni preliminari sollevate dalle difese.

 

L’art. 22, secondo comma, del d.lgs. n. 109 del 2006 prevede che: “La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura convoca il magistrato con un preavviso di almeno tre giorni e provvede dopo aver sentito l’interessato o dopo aver constatato la sua mancata presentazione. Il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato”.

Detta norma non fa alcun riferimento al termine udienza, né tanto meno a quello di udienza pubblica. L’orientamento univoco e consolidato di questa Sezione disciplinare, sin qui confermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, è sempre stato nel senso dell’applicabilità, in quanto compatibili (e quindi salvo, come si è visto, il più breve termine di preavviso), delle norme del codice di procedura penale che disciplinano il rito camerale e, principalmente, di quelle previste dall’art. 127 c.p.p. le quali offrono ampia garanzia dei principi costituzionali della difesa (art. 25) e del giusto processo (art. 111) e che non prevedono la presenza del pubblico (sesto comma).

Nel procedimento cautelare a carico di magistrati deve pertanto escludersi l’obbligo della pubblicità delle udienze - che seguono il rito camerale - atteso il difetto di una previsione in tal senso nelle norme che regolano il procedimento stesso (artt. 13 e 22 d.lgs. n. 109/2006), senza che sia invocabile l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ratificata con legge n. 848 del 1955) che, nell'affermare l’esigenza di pubblicità del processo, pone solo un principio di comportamento per il legislatore nazionale e senza che, peraltro, sia configurabile una questione di legittimità costituzionale delle norme regolanti il suddetto procedimento nella parte non prevedente la pubblicità della udienza per contrasto con gli artt. 3 e 101 Cost., trattandosi di una scelta del legislatore obiettivamente giustificata da esigenze di riservatezza (Cass., I Sez. Civ., n. 11275 del 15 giugno 2004; Sez. Un. Civ., n. 98 del 23 febbraio 1999). Tali esigenze di riservatezza, riguardano peraltro anche gli altri incolpati che nell’odierno procedimento non hanno presentato analoga istanza in tal senso.

Devono pertanto confermarsi i provvedimenti resi in udienza camerale partecipata, con i quali si è negata prima al dott. Apicella e poi ai dottori Verasani e Nuzzi la richiesta di pubblicità della udienza.

 

Sul terreno della difesa, il nuovo ordinamento che regola la disciplina dei magistrati ha previsto (art. 15, quarto comma, del d.lgs. n. 109/2006) che l’incolpato può farsi assistere da altro magistrato, anche in quiescenza, o da un avvocato, designati in qualunque momento dopo la comunicazione dell’addebito, nonché, se del caso, da un consulente tecnico. In sede cautelare, analoga norma (art. 22, secondo comma) prevede che “il magistrato può farsi assistere da altro magistrato o da un avvocato”.

Poiché la natura giurisdizionale del processo disciplinare era indiscussa anche nel previgente ordinamento, l’unica innovazione della normativa vigente sta nell’aver recepito l’insegnamento della Corte Costituzionale che, in accoglimento della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, secondo comma, della legge sulle guarentigie, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma medesima nella parte in cui escludeva che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato del libero foro (Corte Cost., n. 497 del 16 novembre 2000). 

Questa opzione, resa possibile dalla sentenza della Corte Costituzionale e poi sancita dalla nuova disciplina, non esclude peraltro la facoltà di autodifesa dell’interessato e ciò si evince proprio dal tenore letterale della norma vigente (l’incolpato può farsi assistere…), collegato all’immutata ratio, che caratterizza il procedimento disciplinare a carico di magistrati, soggetti qualificati e professionalmente attrezzati a svolgere funzioni processuali. Nel sistema abrogato la giurisprudenza di legittimità aveva riconosciuto al magistrato incolpato il diritto di difendersi personalmente e, conseguentemente, aveva ritenuto che non costituisse violazione del suo diritto di difesa il fatto che, in difetto di una sua espressa richiesta al riguardo, non gli fosse stato nominato un difensore di ufficio (Cass., Sez. Un. Civ., n. 27172 del 20 dicembre 2006).

Pertanto, gli artt. 15 e 22 del d.lgs. n. 109 del 2006 ribadiscono in buona sostanza che nel procedimento disciplinare non è affermato nessun obbligo di difesa tecnica, come invece è previsto nel processo penale (e ciò anche in quanto le sanzioni irrogate e le misure cautelari, pur precedute da procedimenti giurisdizionali, hanno carattere meramente amministrativo in quanto collegate alla persistenza del rapporto di servizio tra l’incolpato e l’Amministrazione) e prevedono tre possibilità alternative per l’incolpato: nominare difensore un magistrato, nominare difensore un avvocato del libero foro, difendersi da solo (Sez. Disc. CSM, n. 106 del 7 dicembre 2007). Del resto, la giurisprudenza formatasi nel regime della vecchia normativa riteneva che l’art. 34 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511 - nella parte in cui prevedeva non già l'obbligo, ma la mera facoltà dell'incolpato di farsi assistere da un difensore, in relazione alle speciali esigenze del procedimento ed all’attitudine di chi fosse professionalmente investito della funzione giurisdizionale a far derivare esclusivamente dalla propria valutazione tecnica la linea difensiva circa i comportamenti contestatigli - escludesse l’applicabilità dell’art. 304 dell’abrogato c.p.p., nella parte in cui imponeva all’inquirente di nominare un difensore di ufficio, ove l’imputato non avesse ottemperato all’invito a nominarne uno di propria fiducia (Cass. Sez. Un. Civ., n. 27172 del 20 dicembre 2006, cit.). Si riteneva, più esplicitamente, che l’autodifesa dell’incolpato fosse una scelta del legislatore in concreto idonea ad assicurare il diritto di difesa, tenuto conto della peculiarità del procedimento disciplinare e proprio in considerazione della  preparazione e qualificazione professionale del magistrato incolpato (Cass. Sez. Un. Civ., n. 556 del 30 gennaio 1985; Cass. Sez. Un. Civ., n. 12323 del 29 novembre 1995), tanto che alla nomina del difensore di ufficio, ancora oggi, si procede solo quando l’interessato non abbia manifestato l’intenzione di  non fare ricorso alla difesa di un collega o di un professionista. 

Quel che viceversa non è possibile - secondo il più recente e costante orientamento della Sezione disciplinare - è che l’incolpato si avvalga di due difensori (un magistrato ed un avvocato del libero foro, due avvocati del libero foro o, come nel caso di specie, due magistrati). L’orientamento è conforme alla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. Un. Civ., n. 19660 del 22 dicembre 2003; Cass., Sez. Un. Civ., n. 6036 del 14 novembre 1981), secondo la quale “in sede di discussione, nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, l'incolpato può farsi assistere da ‘un altro magistrato’, in forza dell'espressa previsione dell'art. 34 secondo comma del R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511, e non anche, pertanto, da un aggiuntivo difensore del libero foro, integrando la suddetta norma una deroga al disposto dell'ultimo comma dell'art. 125 cod. proc. pen. circa l'assistenza in giudizio di due difensori. Tale regola resta ferma anche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 2000, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del menzionato art. 34, secondo comma, nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato, atteso che la stessa decisione ha avuto modo di precisare che ‘spetterà semmai al magistrato, in relazione alla singola vicenda disciplinare, decidere se sia più conveniente l'assistenza di un collega ovvero quella di un difensore esterno’. Né in essa sono ravvisabili ulteriori profili di illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., essendo rimesso al legislatore di apprestare la concreta disciplina dei singoli procedimenti”.

Questa Sezione disciplinare, conseguentemente, interpreta la norma sulla base del suo tenore letterale e della disgiuntiva (“o”) presente nel disposto di legge, nonché del carattere peculiare del procedimento disciplinare, che consente, appunto (diversamente dagli altri procedimenti giurisdizionali), anche l’autodifesa dell’interessato (Sez. Disc. CSM n. 106 del 7 dicembre 2007).

Devono pertanto confermarsi i provvedimenti resi in udienza camerale partecipata, con i quali si è negata l’autorizzazione prima al dott. Apicella e poi ai dottori Verasani e Nuzzi a farsi assistere da due magistrati.

 

Con riferimento alle ipotesi di nullità di alcuni capi di incolpazione in quanto sottesi a possibili illeciti penali (per violazione del diritto di difesa e del principio del nemo tenetur se detegere), va considerato che, ferme restando le ipotesi di sospensione del decorso dei termini, il nuovo sistema ha sancito la più completa autonomia del procedimento disciplinare rispetto all’azione civile di risarcimento del danno ed all’azione penale relativa al medesimo fatto, ben potendo essere promossa l’azione disciplinare indipendentemente da esse (art. 20, primo comma, d.lgs. n. 109).

Per quanto attiene alla valenza del giudicato, nel giudizio disciplinare hanno autorità di cosa giudicata, la sentenza penale irrevocabile di condanna e quella di patteggiamento quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso (art. 20, secondo comma) e la sentenza penale irrevocabile di assoluzione quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso (art. 20, terzo comma).

Fuori di questi limiti, il giudizio disciplinare conserva ogni autonomia. Invero, ferma restando l’immutabilità degli accertamenti sui fatti circa la loro storicità, il giudice disciplinare ben può e deve procedere alla qualificazione dei medesimi sotto il diverso profilo deontologico ed indipendentemente dalla qualificazione o meno come reati dei fatti oggetto di accertamento (da ultimo, Sez. Disc. CSM, n. 117 del 17 ottobre 2008).

Peraltro, anche le ipotesi di sospensione (necessaria) del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale e, dunque, onde evitare un contrasto tra giudicati, sono limitate ai casi di identità dei fatti, oggetto di accertamento sia in sede disciplinare che in sede penale, quando la relativa azione sia già stata esercitata (Sez. Disc. CSM, n. 36 del 21 febbraio 2006). Questo può senz’altro affermarsi in forza di una interpretazione logico sistematica degli artt. 15, ottavo comma, lett. a) e 20, secondo e terzo comma, del d.lgs. n. 109 del 2006, anche in presenza di una norma che fa esplicito riferimento ad una sospensione di tal genere, come del resto si riscontrava nella normativa previgente (art. 28, secondo comma, del r.dlgs. n. 511 del 1946, che richiamava espressamente l’art. 3 c.p.p. del 1930).

Poiché è indubbio che nel caso di specie non sia stata esercitata l’azione penale in relazione al procedimento per il quale i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi sono iscritti nel registro degli indagati della Procura della Repubblica di Catanzaro, né per qualsivoglia altra ipotesi di reato, deve confermarsi anche per questi profili l’ordinanza con cui è stato disposto di procedere oltre nella discussione del merito delle richieste cautelari.

 

Altra eccezione preliminare sollevata dalla difesa dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi riguarda la pretesa nullità assoluta del decreto di fissazione dell’udienza del 17 gennaio 2009 per violazione del principio ne procedat iudex ex officio.

Secondo la difesa istante la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura non è stata ritualmente investita della richiesta di misura cautelare avanzata dal Ministro della giustizia che, con nota dell’8 gennaio 2009, ha comunicato al Consiglio superiore della magistratura la richiesta predetta.

In realtà, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, organo giurisdizionale a tutti gli effetti (Corte Cost., n. 12 del 29 gennaio 1971; 145 del 22 giugno 1976; n. 289 del 22 1992; n. 71 del 1° marzo 1995), è pur sempre espressione unica della potestà disciplinare riconosciuta al Consiglio superiore direttamente dalla Costituzione (art. 105) ed è eletta dal Consiglio dopo il suo insediamento. La circostanza che la Sezione disciplinare sia dotata di autonoma legittimazione processuale nei giudizi per conflitto di attribuzione (Corte Cost., n. 270 del 24 giugno 2002) non scalfisce minimamente la considerazione che il giudice della disciplina dei magistrati, sino a quando sarà in vigore l’attuale norma costituzionale, rimarrà una sezione o articolazione, pur dotata di autonomia giurisdizionale, del Consiglio superiore della magistratura.

Quel che la sentenza della Corte Costituzionale richiamata (che risolse un conflitto di attribuzioni promosso dalla Sezione disciplinare nei confronti del Senato della Repubblica e che affermò che non spetta al Senato dichiarare che i fatti, oggetto dell’addebito contestato ad un magistrato e rinviato al giudizio della Sezione, successivamente eletto membro del Parlamento, concernono opinioni espresse da un membro del parlamento nell’esercizio delle funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.) ha voluto dire è, semplicemente, che la Sezione disciplinare è competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, cioè del C.S.M., in quanto le sue determinazioni in materia disciplinare sono insuscettibili di qualsiasi intervento modificativo da parte del plenum e costituiscono unica, piena, autonoma e definitiva espressione della potestà disciplinare attribuita dalla Costituzione.

Detta sentenza non ha voluto significare che la Sezione disciplinare ed il Consiglio superiore della magistratura siano organi distinti e separati, al punto che gli atti indirizzati al Consiglio superiore della magistratura non debbano essere validamente acquisiti dalla sua articolazione giurisdizionale, pur costituita in autonoma sezione. Prova ne è la circostanza che tutte le sentenze ed ordinanze da questa sezione pronunciate sono intestate: “La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura”. D’altro canto, l’art. 15, terzo comma, del d.lgs. 109/06 àncora l’inizio dell’azione disciplinare alla comunicazione data dal Procuratore Generale al “Consiglio superiore della magistratura” e al Consiglio superiore della magistratura, quale interlocutore dei titolari dell’azione disciplinare, si fa esclusivamente  rinvio nell’art. 14.

La Sezione disciplinare è stata dunque ritualmente investita, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 109 del 2006, della richiesta cautelare del Ministro della giustizia, che non presuppone - ovviamente - la formulazione di vere e proprie incolpazioni in senso tecnico, ma più semplicemente di contestazioni provvisorie che il Procuratore generale presso la Corte di cassazione potrà formalizzare se e quando disporrà la richiesta di rinvio a giudizio degli incolpati. Questa ultima considerazione è sufficiente, tra l’altro, a rigettare anche l’eccezione - pure formulata dalla difesa dei magistrati salernitani - di genericità dei capi di incolpazione. La cosa essenziale è la circostanza che nella specie sia stato rispettato il diritto della difesa attraverso la contestazione dei fatti storici loro addebitati e le norme di legge violate.

 

Ulteriore eccezione della difesa dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi è finalizzata ad ottenere una dichiarazione di inutilizzabilità ed in subordine di nullità dell’inserimento nel fascicolo del procedimento cautelare dei verbali di audizione dei magistrati salernitani e di quelli di Catanzaro dinanzi alla Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura, nonché degli atti allegati dal Ministro della giustizia. La difesa sostiene in particolare che i principi regolatori del giusto processo penale (art. 111 Cost.) impedirebbero l’utilizzabilità in questa sede di atti acquisiti in sede amministrativa, per così dire non garantiti.

In realtà, la garanzia del giusto processo opera con riferimento agli organi e ai soggetti processuali deputati alla giurisdizione ed è solo con l’inizio dell’azione disciplinare che, ai sensi dell’art. 15, quarto e quinto comma del d.lgs. n. 109/2006, scatta il presidio invocato dalla difesa degli incolpati, il quale prescrive, appunto, che “dell’inizio del procedimento disciplinare deve essere data comunicazione entro trenta giorni all’incolpato”, che “può farsi assistere” da un difensore.

Il diverso aspetto della utilizzabilità di documenti formati in una eventuale e precedente procedura amministrativa extra processuale è già stato affrontato dalla Sezione disciplinare che ha rigettato, in diversa fattispecie, l’eccezione di inutilizzabilità del verbale di audizione e della memoria prodotta dall’incolpato nella fase dell’inchiesta amministrativa dell’Ispettorato, regolata dalla legge 12 agosto 1962, n. 1311 e, in particolare, dall’art. 12 della citata legge che, nel disciplinare le modalità di svolgimento delle inchieste amministrative dirette all’accertamento della responsabilità disciplinare, prevede che il magistrato ispettore incaricato deve “al termine dell’indagine e senza l’osservanza di particolari formalità chiedere informazioni al capo dell’ufficio e chiarimenti all’inquisito” per poi riferire con una relazione diretta al capo dell’Ispettorato  (Sez. Disc. CSM, n. 156 del 2 dicembre 2005).

Il costante orientamento sul punto va confermato. Invero, nonostante la clausola generale di rinvio alle disposizioni del codice di procedura penale, il giudizio disciplinare non è strutturato secondo il modello accusatorio del processo penale ed anche il principio dell’oralità trova limitazioni. Prova ne è che la Sezione disciplinare può in dibattimento: a) assumere, anche d’ufficio, tutte le prove che ritiene utili; b) disporre o consentire la lettura di rapporti dell’Ispettorato generale del Ministero della giustizia, dei consigli giudiziari e dei dirigenti degli uffici, la lettura di atti dei fascicoli personali nonché delle prove acquisite nel corso delle indagini; c) consentire l’esibizione di documenti da parte del pubblico ministero e dell’incolpato (art. 18, terzo comma del d.lgs. n. 109 del 2006).

In generale, l’assunzione, d’ufficio, di tutte le prove ritenute utili è, all’evidenza, potere istruttorio del giudice disciplinare molto più ampio di quello, meramente integrativo, riconosciuto al giudice penale dall’art. 507 c.p.p., che prevede l’acquisizione, d’ufficio, di nuove prove solo“se risulta assolutamente necessario”.

Dunque, anche la lettura dei rapporti (e, quindi, dei relativi allegati) dell’Ispettorato generale del Ministero della giustizia consente di acquisire a giudizio come prova, anche d’ufficio, atti di indagini di natura amministrativa e pre-procedimentale compiute da un organo non giurisdizionale, servente rispetto al Consiglio superiore. Ora, la circostanza che in questa sede si tratta di richieste cautelari in camera di Consiglio non impedisce evidentemente l’applicabilità, in tema di utilizzabilità di atti e di mezzi di prova, degli stessi principi regolatori del giudizio di merito disciplinare, con l’unica particolarità che si tratta di discussione e decisione allo stato degli atti.

Peraltro, nella specie, si tratta di mera documentazione suscettibile di essere confutata dalla difesa (cosa che non è poi stata fatta in concreto nel corso della discussione camerale) e valutata liberamente dal giudice, in termini di rilevanza processuale e di “peso” probatorio.

Ne consegue che ben possono essere utilizzati documenti acquisiti in sede amministrativa quali le audizioni rese dagli interessati in sede di Prima Commissione del C.S.M. e le altre acquisizioni documentali, allegate in parte alla richiesta cautelare del Procuratore generale, in parte alla richiesta cautelare del Ministro, tutte attinenti alla fase amministrativa extraprocessuale precedente l’inizio dell’azione disciplinare, fase in cui ancora non si era configurata l’incolpazione disciplinare solo in seguito formulata dal Procuratore generale.

 

L’inquadramento sistematico della sospensione facoltativa e del trasferimento cautelare. La questione di legittimità costituzionale.

 

L’odierno procedimento ha ad oggetto la misura cautelare della sospensione dalla funzione e dallo stipendio, richiesta dal Ministro della giustizia nei confronti del solo dott. Apicella ai sensi dell’art. 22, primo comma, d.lgs. n. 109 del 2006, quella del trasferimento provvisorio e cautelare previsto dalla medesima norma “nei casi di minore gravità”, pure richiesta dal Ministro della giustizia nei confronti degli altri sei incolpati  e, infine, quella del trasferimento provvisorio e cautelare ai sensi dell’art. 13, secondo comma, dello stesso d.lgs. n. 109, originariamente richiesta dal Procuratore generale.

La sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio  può essere disposta in due distinte ipotesi: a) quando il magistrato sia sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva; b) quando al magistrato possano essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni. Essa determina, come quella obbligatoria, il collocamento fuori del ruolo organico della magistratura e può essere adottata anche prima del procedimento disciplinare.

La duplice previsione di cui all’art. 22 richiama, in buona sostanza, quanto in precedenza previsto nel sistema abrogato (r.d.lgs. n. 511 del 1946), ove pure coesistevano due tipi di sospensione cautelare del magistrato dalle funzioni e dallo stipendio: la sospensione correlata ad un procedimento disciplinare contro il magistrato (art. 30) e la sospensione del magistrato sottoposto a procedimento penale (art. 31).

La ratio della sospensione facoltativa consiste nell’esigenza di evitare che l’esercizio delle funzioni giudiziarie in condizioni di menomata credibilità possa minare la necessaria fiducia che i cittadini debbono riporre nel magistrato (Sez. Disc. CSM, ord. n. 132 del 17 dicembre 2002).  

Particolarmente delicato l’esame del fumus boni iuris e del periculum in mora che vanno parametrati alla gravità delle incolpazioni elevate, alla serietà e consistenza del quadro indiziario acquisito, al contesto in cui sono stati commessi i fatti, alla loro risonanza ed alla compromissione della considerazione di cui il magistrato deve godere, necessaria per esercitare le funzioni con il dovuto prestigio anche in una sede diversa da quella in cui i fatti si sono verificati. Per quanto più in particolare riguarda il periculum in mora, possono assumere particolare rilevanza nella valutazione della Sezione disciplinare l’epoca dei fatti per i quali il magistrato sia stato perseguito in sede penale, la loro risonanza nazionale o anche locale, il periodo di tempo trascorso tra l’epoca cui risalirebbero gli illeciti contestati nei capi di incolpazione e la data della richiesta di applicazione della misura cautelare, il mutamento della sede o delle funzioni eventualmente avvenuto nelle more della procedura, l’eventuale periodo di servizio prestato dal magistrato nella nuova sede o nelle nuove funzioni senza dar luogo ad ulteriori critiche o rilievi. Il periculum in mora deve poi essere valutato anche alla luce del rischio di ulteriore discredito derivante dalla prosecuzione nella medesima sede e/o nella medesima funzione dell’attività giurisdizionale quando sia prevedibile la reiterazione delle condotte sanzionabili rilevate.

L’istituto del trasferimento cautelare e provvisorio ad altra sede e/o ad altre funzioni - previsto dagli artt. 13, secondo comma e 22, primo comma, del d.lgs. n. 109 del 23 febbraio 2006 - è invece istituto del tutto nuovo nell’ordinamento e destinato ad incidere sensibilmente nella realtà giudiziaria, in deroga al principio generale dell’inamovibilità di sede, costituzionalmente garantito (art. 107).

La nuova misura cautelare, infatti, si inquadra nel disegno del legislatore di giurisdizionalizzazione delle deroghe al principio costituzionale della inamovibilità di sede e trova il suo riscontro speculare nella sottrazione al Consiglio superiore della magistratura di importanti competenze amministrative in materia di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e/o funzionale ai sensi dell’art. 2 della legge sulle guarentigie. Tra l’altro, proprio in quanto il trasferimento d’ufficio è destinato ad incidere sulla regola generale dell’inamovibilità, il legislatore ha preferito questo strumento cautelare, che deve essere adottato con le garanzie giurisdizionali, rispetto alla procedura amministrativa di incompatibilità ambientale ex art. 2 L.G., i cui confini sono stati ridisegnati non senza qualche incertezza interpretativa. In altri termini, la giurisdizionalizzazione della procedura di trasferimento d’ufficio è stata introdotta per assicurare un rafforzamento e non un indebolimento dei diritti della difesa (art. 24 Cost.).

L’art. 13, secondo comma, del d.lgs. n. 109 del 2006 ha dunque introdotto nel sistema disciplinare la misura cautelare del trasferimento d’ufficio, prevedendo che la destinazione in via cautelare e provvisoria del magistrato ad altra sede e funzione possa essere adottata soltanto ove sussistano gravi motivi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi  di particolare urgenza, previa instaurazione di un procedimento in contraddittorio con il magistrato stesso e con la più ampia garanzia del diritto di difesa (Cass., Sez. Un. Civ., n. 25815 dell’11 dicembre 2007; Sez. Disc. CSM, ord. n. 47 del 3 maggio 2007). Esso può essere adottato su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento ed anche prima dell’inizio del procedimento disciplinare.

Il legislatore, dunque, si è preoccupato di prevedere una misura cautelare che, anticipando l’esito finale del procedimento disciplinare, tuteli l’ordine magistratuale anche nelle ipotesi in cui i fatti ascritti all’interessato non siano di una gravità tale da consentirne la misura cautelare della sospensione. La ratio legis è proprio quella di evitare che la permanenza nel luogo ove si sono verificati i fatti oggetto della contestazione in sede disciplinare (o comunque tali che possano determinare l’inizio dell’azione disciplinare) possa ulteriormente aggravare la posizione dell’interessato e, soprattutto, irrimediabilmente compromettere i principi fondamentali cui è improntata la funzione giudiziaria nonché il prestigio dell’istituzione giudiziaria.

Nelle ipotesi di possibile sospensione facoltativa, nei casi di minore gravità, il Ministro o il Procuratore generale possono chiedere alla Sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell’incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell’art. 11 del codice di procedura penale (art. 22, primo comma, ultimo periodo, così come modificato dalla legge n. 269 del 2006).

Il caso di trasferimento d’ufficio previsto dall’art. 22, introdotto dalla c.d. legge Mastella per mitigare la previsione della sospensione facoltativa nelle ipotesi di “minor gravità”, può ritenersi parzialmente diverso rispetto all’analoga misura cautelare prevista dall’art. 13, che può essere adottata, più in generale, non in luogo della sospensione, ma ogni qualvolta sussistano motivi di particolare urgenza e che può comportare, a differenza della prima, un trasferimento anche nell’ambito dello stesso distretto.

Sebbene la norma non precisi alcunché, deve ritenersi che la Sezione disciplinare possa irrogare la misura meno grave del trasferimento d’ufficio anche quando il Ministro ed il Procuratore generale abbiano richiesto soltanto la sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio o quando l’incolpato abbia chiesto la revoca della sospensione stessa (Sez. Disc. CSM, ord. n. 100 del 16 novembre 2007).

Pure nei casi di trasferimento cautelare, come in quelli di sospensione facoltativa, la Sezione disciplinare deve valutare la sussistenza del presupposto di ammissibilità della misura, correlato alla gravità del fatto contestato sul piano disciplinare (che deve essere punibile con una “sanzione diversa dall’ammonimento”), nonché di quelli del fumus boni iuris e del periculum in mora che – come si è detto in relazione alla sospensione facoltativa - deve essere di specifico apprezzamento con riferimento al tempo trascorso dal fatto, alla sua risonanza in sede locale ed alle negative ripercussioni nell’ufficio giudiziario ove l’incolpato svolga le proprie funzioni. 

 

La difesa dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, lett. f) della legge delega n. 150/2005 con riferimento agli artt. 24, 76, 101, 104, 107 e 108 Cost. e degli artt. 13, secondo comma e 22, primo comma, del d.lgs. n. 109/2006 con riferimento agli artt. 24, 76, 77, 101, 104, 107 e 108 Cost., dubitando che questa nuova misura cautelare sia costituzionalmente illegittima sia per genericità della legge delega, sia per violazione del principio di inamovibilità e del diritto di difesa.

Ritiene il Collegio che l’eccezione sollevata è manifestamente infondata.

Quanto alla pretesa genericità della delega deve osservarsi che, secondo l’art. 1, lett. f) della legge n. 150 del 2005, il Governo avrebbe dovuto “individuare le fattispecie tipiche di illecito disciplinare dei magistrati, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione, nonché modificare la disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d’ufficio”. Con le norme denunciate si è provveduto, appunto, ad attuare la modifica della disciplina del trasferimento d’ufficio cui è corrisposta la modifica della disciplina in tema di incompatibilità e dell’art. 2 L.G. il quale, nel  testo attuale, per l’applicabilità della fattispecie del trasferimento officioso, richiede la condizione che i magistrati “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”. La legge delega non è affatto generica sul punto, ma ha disposto che venissero modificati istituti fondamentali e ben individuati, lasciando al legislatore delegato la discrezionalità di muoversi nel solco tracciato, potendo esso individuare anche diverse modalità procedurali - giurisdizionali e non amministrative - al fine di realizzare le modifiche nel rispetto dei valori costituzionali di riferimento.

Quanto all’art. 107 Cost., primo comma, deve osservarsi che il magistrato è inamovibile solo ove non siano rispettate le guarentigie previste da detta norma (“I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie della difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso”).

Le norme sopravvenute (artt. 13 e 22 d.lgs. n. 109/2006), come evidenziato sopra, sono più favorevoli agli incolpati di quelle precedenti che, per un verso, prevedevano come misura cautelare solo la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio e non il trasferimento d’ufficio e, per altro verso, attribuivano al Consiglio superiore della magistratura nella sua sede amministrativa (Prima Commissione e plenum) e non nella sua articolazione giurisdizionale (Sezione disciplinare) i poteri attinenti il trasferimento officioso dei magistrati.

Peraltro, secondo la testuale previsione dell’art. 13, secondo comma, la destinazione “in via cautelare e provvisoria” del magistrato ad altra sede e funzione è adottata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura solo ove ricorrono gli specifici “motivi di particolare urgenza” indicati nello stesso art. 13 e, secondo la testuale previsione dell’art. 22, primo comma, “il trasferimento provvisorio”  del magistrato “ad altro ufficio di un distretto limitrofo, ma diverso da quello indicato nell’articolo 11 del codice di procedura penale” è pure adottato dalla Sezione disciplinare “nei casi di minor gravità” in presenza degli stessi presupposti che legittimerebbero la sospensione cautelare.    

Né la previsione che possa essere il Ministro della giustizia a chiedere il trasferimento cautelare è di per sé motivo di possibile rilievo costituzionale sotto il profilo della possibile lesione dei valori di indipendenza dell’ordine giudiziario (art. 104 Cost.) e della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.), sia perché, nella vigenza del precedente ordinamento il Ministro era pacificamente legittimato a chiedere il trasferimento ex art. 2 L.G. del magistrato, sia perché, nella previsione degli artt. 13 e 22 d.lgs. n. 109/2006, la misura cautelare può essere disposta solo previo un procedimento in contraddittorio con il magistrato stesso, con la più ampia garanzia del suo diritto di difesa stabilito dall’ordinamento giudiziario e con la massima garanzia di un giudice terzo e imparziale.

E’ dunque manifesta la infondatezza - anche sotto tale ulteriore profilo - della sollevata questione di legittimità costituzionale (sul punto si è peraltro già espressa nello stesso senso Cass. Sez. Un. Civ., n. 25815 dell’11 dicembre 2007, cit.).

Nella specie, deve infine osservarsi - anche alla luce della effettuata ricostruzione sistematica degli Istituti - che l’odierno procedimento ha ad oggetto la adozione delle misure cautelari previste dall’art. 22 d.lgs. n. 109 in quanto la più grave richiesta del Ministro assorbe in sé la meno grave richiesta del Procuratore generale, formulata ai sensi dell’art. 13, secondo comma, d.lgs. n. 109. In particolare, il Ministro, dopo aver valutato che al dott. Apicella possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni, ha ritenuto che, per gli altri incolpati, le condotte siano di minore gravità e tali comunque da legittimare l’adozione della misura cautelare del trasferimento d’ufficio.

Ne consegue che questa Sezione disciplinare deve valutare la sussistenza dei gravi elementi di fondatezza delle fattispecie disciplinari ipotizzate dagli organi richiedenti in relazione alle condotte tenute dai singoli incolpati e dei motivi di particolare urgenza che ne possono in ipotesi consigliare il provvisorio allontanamento dalle rispettive sedi e dalle rispettive funzioni, in relazione ai presupposti richiesti dall’art. 22 e con le conseguenze dalla norma medesima prevista.

Queste ultime osservazioni determinano anche il rigetto dell’eccezione di improcedibilità della richiesta cautelare sollevata dalla difesa del dott. Garbati, tesa sostanzialmente a qualificare, erroneamente, la richiesta del Ministro ai sensi dell’art. 13 e non dell’art. 22.

 

La ricostruzione dei fatti.

 

Le note del Procuratore generale presso la Corte di cassazione e del Ministro della giustizia e la copiosa documentazione rispettivamente allegata, consistente in primo luogo nel decreto di perquisizione e sequestro, vistato dal dott. Luigi Apicella e sottoscritto dai dottori Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi e nel c.d. “contro sequestro”, vistato dal dott. Enzo Iannelli e sottoscritto dai dottori Domenico De Lorenzo, Alfredo Garbati e Salvatore Curcio consentono alla Sezione di individuare, sulla base della analisi del fatto che ad essa spetta quale giudice del merito, tanto i gravi elementi di fondatezza della ipotesi disciplinare (fumus boni iuris) quanto la particolare urgenza di provvedere (periculum in mora), pure richiesta dalla legge, nell’interesse del buon andamento della giustizia. In relazione alla fase dinamica che caratterizza la formulazione delle contestazioni fino al rinvio a giudizio basterà in questa sede rilevare come le contestazioni mosse dalla Procura generale e quelle mosse dal Ministro attengano ai medesimi atti, fatti e comportamenti e che è perciò possibile procedere al loro esame permanendo la duplice formulazione, sostanzialmente coincidente nel merito. Verranno inoltre, conformemente alla natura cautelare dell’atto, presi in considerazioni i profili che giustificano l’emissione del provvedimento così come adottato riservando al merito la valutazioni di aspetti e contestazioni non rilevanti ai fini cautelari.

La vicenda in esame deve essere inquadrata anche alla luce dell’ampio carteggio, intercorso tra i due uffici requirenti, a partire dal 2 febbraio 2008, allorché i pubblici ministeri Verasani e Nuzzi, “per esigenze di natura investigativa derivanti da attività condotte … nell’ambito delle inchieste incardinate a norma dell’art. 11 c.p.p.”, chiedevano con urgenza al Procuratore generale di Catanzaro, ai sensi dell’art. 117 c.p.p. e previa acquisizione del visto da parte del Procuratore Apicella, l’acquisizione di copia di numerosi atti del procedimento Why not, articolando in 14 punti l’elencazione degli atti richiesti.

Il 13 febbraio 2008, il Procuratore generale di Catanzaro Iannelli rispondeva al Procuratore di Salerno (e, per conoscenza, al Procuratore generale di Salerno ed al Procuratore generale presso la Corte di cassazione) rammaricandosi delle modalità di trasmissione della missiva (a mezzo del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Salerno), sottolineando la necessità di “specificare le sottese esigenze di natura investigativa proprie della Procura richiedente” e, comunque, offrendo la disponibilità “ad una riunione di coordinamento fra inquirenti” che avrebbe potuto consentire “la salvaguardia delle rispettive esigenze (di segretezza investigativa, da un canto, e di cui all’art. 11 c.p.p., dall’altro)” e che avrebbe potuto tenersi nella sede della Procura generale di Catanzaro.

I magistrati di Salerno, il 4 marzo 2008, insistevano nella richiesta, con le stesse modalità di notifica a mezzo della polizia giudiziaria, sottolineando che gli atti richiesti erano funzionali ad un procedimento instaurato contro l’Avvocato generale di Catanzaro, Dolcino Favi, che aveva emesso il provvedimento di avocazione dell’indagine Why not. Il Procuratore generale di Catanzaro rispondeva ancora, il 13 marzo 2008, contestando le modalità della richiesta ed auspicando una riunione tra i magistrati interessati. Inviava per conoscenza la missiva, ed i relativi allegati, al Procuratore generale di Salerno, al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed al Consiglio superiore della magistratura, “per quanto di eventuale competenza”.

La dott.ssa Nuzzi, quindi, di sua personale iniziativa, il 9 aprile 2008, formulava “richiesta di esibizione ed acquisizione di atti”, indirizzata esclusivamente al maggiore Enrico Maria Grazioli del Comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro - Nucleo Investigativo e disponeva, in pratica, la trasmissione al proprio ufficio di numerosi atti relativi alle inchieste “Poseidone” e “Why not”, assegnando alla richiesta, da eseguire entro cinque giorni, il carattere di “estrema urgenza” e specificando il “dovere” per il Comandante destinatario dell’atto di “rapportarsi in via esclusiva e riservata” con l’Ufficio richiedente. Il Comandante Grazioli, con nota del 15 aprile 2008, opponeva alla dott.ssa Nuzzi il proprio diniego, rilevando che gli atti erano ancora coperti da segreto istruttorio ai sensi dell’art. 329 c.p.p. e che eventuali istanze in quel senso dovevano essere veicolate “previa richiesta di copia atti ai sensi dell’art. 117 c.p.p. alla A.G. competente”.

Il 18 aprile 2008 il Procuratore generale di Catanzaro trasmetteva al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al Procuratore generale di Salerno, al Procuratore di Salerno e, per conoscenza, al Consiglio superiore della magistratura, ulteriore missiva con la quale stigmatizzava l’iniziativa della dott.ssa Nuzzi che, a suo dire, avrebbe interrotto il “dialogo costruttivo” che il Procuratore generale di Salerno aveva inteso promuovere, anche con una telefonata diretta, il 26 marzo, concordando una visita a Catanzaro dei pubblici ministeri di Salerno. Ribadiva, quindi, il P.G. Iannelli la “piena disponibilità” del suo Ufficio “alla collaborazione più proficua”, ma “solo nel rispetto delle regole che l’ordinamento processuale impone a tutti i magistrati della Repubblica”.

Finalmente, anche tramite i buoni uffici del Procuratore generale di Salerno, si perveniva, il 4 giugno 2008, ad un incontro, tenutosi nel Palazzo di Giustizia di Catanzaro, tra il Procuratore di Salerno, Apicella ed i magistrati della Procura generale di Catanzaro, Iannelli, De Lorenzo e Garbati. Il dott. Apicella esplicitava in quella sede che le richieste di acquisizione di copia degli atti erano sottese alla “esigenza di verificare i rapporti tra gli indagati del processo di Salerno (compresi i magistrati) con gli indagati del processo denominato Why not”. I magistrati di Catanzaro, nel prendere atto delle chiarificazioni fornite dal Procuratore Apicella e nel sottolineare il “contesto sereno” in cui si era svolta la riunione, si riservavano “di disporre la trasmissione degli atti, una volta verificata la legittimità e la congruenza delle singole richieste, ai sensi del disposto dell’art. 117 c.p.p.”.

Seguiva quindi, il 17 giugno 2008, un verbale redatto dai magistrati titolari dell’indagine Why not, Pier Paolo Bruni, Alfredo Garbati, Domenico De Lorenzo e Salvatore Curcio, vistato dal P.G. Iannelli, con il quale i predetti convenivano “di dover contemperare l’esigenza di aderire alla richiesta della Procura di Salerno con l’esigenza di perseguire nella maniera più idonea la riservatezza imposta dalla rilevanza istituzionale, anche ai massimi livelli, di alcuni degli interessati delle utenze telefoniche oggetto delle consulenze del dott. Genchi” e convenivano altresì, “ferma restando l’adesione alla richiesta della Procura di Salerno, di garantire modalità del rilascio della documentazione richiesta atte a tutelare il riserbo derivante dall’avere il dott. Genchi, oggettivamente, raccolto una vera e propria banca-dati (578.000 record di richieste anagrafiche) anche di molteplici contatti telefonici che, di per sé, attenta al diritto alla privacy, … che per la molteplicità della documentazione richiesta in data 2.2.2008 taluni atti potrebbero esulare dalle finalità rappresentate dal Procuratore della Repubblica dott. Apicella, consistenti nell’esigenza di verificare i rapporti tra gli indagati nei procedimenti di Salerno, compresi magistrati in servizio presso questo Distretto di Catanzaro e gli indagati nel proc. pen. in premessa”. Conseguentemente, i magistrati di Catanzaro convenivano “di invitare il Procuratore della Repubblica di Salerno, ovvero, secondo le determinazioni di questo, magistrati di quella Procura, a tal fine incaricati, a portarsi personalmente” presso il loro  Ufficio “per prendere diretta visione degli atti di interesse al fine di estrarne copia”.

 A fronte del silenzio della Procura di Salerno, il sostituto procuratore generale Garbati il 3 settembre 2008 trasmetteva al Procuratore Apicella, ai sostituti Nuzzi e Verasani, nonché, per conoscenza, al Procuratore generale di Salerno, ulteriore missiva con la quale reiterava “l’adesione alla richiesta di copia di atti” e dichiarava di restare in attesa “di conoscere se la modalità di acquisizione delle suddette copie”, e cioè “previo diretto esame degli atti” da parte della Procura salernitana, incontrasse la loro disponibilità ovvero se, per tale modalità, vi fosse qualche controindicazione.

Nessun ulteriore carteggio si rileva in atti tra i protagonisti della vicenda. Va invero segnalata una nota del Procuratore generale Iannelli del 30 settembre 2008, indirizzata al Consiglio superiore della magistratura, al Ministro della giustizia, al Procuratore generale della Corte di Cassazione ed al Procuratore generale di Salerno in cui si denunciava “il reiterato comportamento, contrario alla correttezza istituzionale ed alle regole procedurali” della Procura di Salerno in relazione alle richieste di atti del procedimento Why not. Detta nota così concludeva: “Valutino le SS.VV. se nella specie sia ravvisabile, ancora una volta, il tentativo della Procura di Salerno di eludere il disposto dell’art. 117 c.p.p., che detta la procedura per la richiesta di copia di atti e di informazioni da parte del pubblico ministero. Valutino, ancora, se un tale modo di procedere sia pregno di un atteggiamento di sospetto verso i Magistrati impegnati nelle investigazioni, complesse e difficili, correlate al procedimento cd. Why not. Valutino, ancora, se la condotta procedimentale dei magistrati di Salerno segnali a tutto tondo un atteggiamento offensivo per la dignità e l’onorabilità dei Magistrati che ho la facoltà ed, ancor più, il dovere di tutelare”.

Il 26 novembre 2008, i sostituti Verasani e Nuzzi sottoscrivevano, con relativa acquisizione del visto da parte del Procuratore Apicella, i provvedimenti di perquisizione e sequestro, al fine di acquisire in originale ed integralmente gli atti - ed altri dati eventualmente correlati - dei procedimenti penali n. 1217/05 (c.d. Poseidone) e n. 2057/06, ovvero n. 1/07 (c.d. Why not), pendenti, rispettivamente, presso la Procura della Repubblica di Catanzaro e la Procura generale della Repubblica della stessa sede. In particolare, i magistrati di Salerno ipotizzavano un illecito disegno criminoso volto, per un verso, a favorire, mediante la deviazione del regolare corso dei procedimenti penali, le persone sottoposte ad indagini nei procedimenti Why not e Poseidone e, per altro verso, a delegittimare ed intimidire persone informate dei fatti e consulenti tecnici che, nell’ambito di quelle inchieste, avevano disvelato rilevanti elementi conoscitivi ai fini dell’accertamento dei reati. Essi disponevano, dunque, la perquisizione domiciliare e personale di varie persone sottoposte ad indagini, tra le quali anche i dottori Iannelli, De Lorenzo, Garbati e Curcio, al fine di rinvenire atti, documenti, beni riconducibili nell’ambito della categoria dei “corpi di reato” e/o delle “cose pertinenti al reato”. Disponevano altresì il sequestro probatorio degli atti e dei documenti originali dei fascicoli relativi ai procedimenti Why not e Poseidone.

Il provvedimento veniva posto in esecuzione il 2 dicembre 2008, con ampio spiegamento di forze dell’ordine e con la presenza, oltre che dei tre magistrati che lo avevano sottoscritto e vistato, anche di altri magistrati della Procura di Salerno e, specificamente, dei dottori Patrizia Gambardella, Roberto Penna, Vincenzo Senatore e Antonio Centore, appositamente delegati per le operazioni esecutive dal Procuratore della Repubblica.

Le operazioni esecutive suscitavano l’immediata reazione del dott. Iannelli che, in pari data, trasmetteva al Capo dello Stato, al Ministro della giustizia ed al C.S.M. un missiva con la quale informava i destinatari dei fatti ritenuti “gravissimi, eversivi delle istituzioni” e chiedeva “le iniziative più opportune per ripristinare con la massima tempestività le basi fondanti dell’Ordine Giudiziario”.

Il giorno dopo il dott. Iannelli teneva una conferenza stampa in cui qualificava l’azione della Procura di Salerno come un atto “istituzionalmente inammissibile”, nonché “scandaloso ed eversivo”, a cui rispondere con tempestive iniziative “idonee al ripristino dei principi di legalità, indipendenza ed autonomia che hanno da sempre costituito il patrimonio culturale e morale dell’Ordine giudiziario”.

Il 3 dicembre 2008 il Comitato di Presidenza del Consiglio superiore trasmetteva gli atti acquisiti ai titolari dell’azione disciplinare. Sempre il 3 dicembre il Consiglio giudiziario della Corte di appello di Catanzaro esprimeva all’unanimità “preoccupazione per l’iniziativa presa dal Procuratore della Repubblica di Salerno”, che aveva ritenuto di “incriminare”, nell’ambito del predetto atto di perquisizione e sequestro, il Procuratore generale di Catanzaro, dott. Iannelli ed il Presidente di sezione del Tribunale di Catanzaro, dott. Bruno Arcuri, “per il parere negativo formulato dal Consiglio in ordine alla nomina del dottor Luigi De Magistris a magistrato di appello”.

Il successivo 4 dicembre 2008 i pubblici ministeri della Procura generale di Catanzaro De Lorenzo, Garbati e Curcio, con il visto del Procuratore generale Iannelli, disponevano il sequestro preventivo di urgenza, tra l’altro, dell’originale del provvedimento del 26 novembre 2008 dei magistrati salernitani - contestualmente indagati dei reati di abuso d’ufficio, favoreggiamento, interruzione di pubblico servizio ed altro – nonché delle carte sequestrate nel procedimento Why not.

L’eccezionalità della situazione spingeva addirittura il Capo dello Stato, in tale massima veste, a chiedere informazioni e chiarimenti alle autorità giudiziarie procedenti.

La Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura disponeva da parte sua urgentemente le audizioni di tutti i magistrati protagonisti della vicenda, che si tenevano il 6 ed il 9 dicembre 2008, e procedeva poi - l’11 ed il 16 dicembre 2008 - alle relative contestazioni con le quali sono iniziate le procedure amministrative, ai sensi dell’art. 2 L.G., nei confronti di tutti gli odierni incolpati.

Nel frattempo, anche tramite l’intervento del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, in data 8 dicembre 2008, i rappresentanti dei due uffici requirenti si erano “accordati” per revocare i rispettivi provvedimenti di sequestro degli atti e dei documenti originali dei procedimenti Why not e Poseidone. Conseguentemente, il 10 dicembre 2008 la Procura generale di Catanzaro aveva revocato il decreto di sequestro preventivo di urgenza e l’11 dicembre 2008 la Procura di Salerno aveva disposto di procedere “con la tempestività del caso” a fotocopiare gli atti del fascicolo Why not per poi “rimettere gli stessi, in originale, nella piena disponibilità dell’Ufficio inquirente territorialmente competente”.

Con nota del 17 dicembre 2008, indirizzata al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed al Consiglio superiore della magistratura, il Procuratore generale di Salerno ha dato definitiva conferma del dissequestro degli atti dei procedimenti Why not e Poseidone e della loro restituzione, rispettivamente, alla Procura generale ed alla Procura di Catanzaro.

 

Le condotte dei magistrati di Salerno.

 

Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha iniziato l’azione disciplinare nei confronti dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi redigendo i provvisori capi di incolpazione e chiedendo la misura cautelare del trasferimento d’ufficio nei confronti del solo dott. Apicella. Il Ministro della giustizia ha a sua volta formulato provvisori capi di incolpazione, che ricalcano in buona sostanza quelli redatti dal Procuratore generale ed ha chiesto le misure cautelari della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio del dott. Apicella e del trasferimento d’ufficio per i dottori Verasani e Nuzzi.

Deve preliminarmente osservarsi che il dott. Apicella è stato sentito in data 6 dicembre 2008 dalla Prima Commissione del Consiglio superiore della magistratura e che il relativo verbale è stato acquisito dal Procuratore generale presso la cassazione prima e da questa Sezione disciplinare poi. In quella sede il dott. Apicella ha mostrato di conoscere e condividere integralmente il contenuto del provvedimento di perquisizione e sequestro, non solo per averlo vistato nella qualità di Procuratore della Repubblica, ma anche in quanto ne ha seguito pienamente l’iter di formazione e predisposizione, condividendone la paternità e la responsabilità con i suoi sostituti, dottori Verasani e Nuzzi. In particolare, il dott. Apicella, ogni qualvolta ha fatto riferimento ad iniziative connesse o contestuali all’emissione del provvedimento in esame ha sempre parlato al plurale coinvolgendo la propria persona insieme ai suoi sostituti ed in un passo dell’audizione ha fatto esplicito riferimento alla contitolarità del procedimento (pag. 52, “siamo titolari del procedimento …”). Sicché, il dott. Apicella, al di là dell’apposizione del mero visto in calce ai provvedimenti di perquisizione e sequestro, deve considerarsene a pieno titolo coautore e giuridicamente responsabile, al pari dei dottori Verasani e Nuzzi.

 

Il Procuratore di Salerno ed i due sostituti sottoscrittori sono chiamati a rispondere, in primo luogo, di aver emesso un provvedimento giudiziario in violazione di legge, attraverso una motivazione dalla quale non traspaiono in modo certo e chiaro i presupposti di legge in base ai quali detto atto è stato adottato e comunque eccedente, per forma e contenuto, le finalità da raggiungere (artt. 1 e 2, primo comma, lett. g) e l) del d.lgs. n. 109/2006).

La motivazione invero è di una lunghezza spropositata rispetto alle finalità proprie degli atti a sorpresa per i quali è costruita, consistendo  in ben 1418 pagine, oltre lunghissimi capi di imputazione e lunghe parti dispositive che, in realtà, costituiscono a loro volta ulteriore motivazione al provvedimento.

Più specificamente, l’inusitata motivazione è costituita:

a) Dalla trascrizione pressoché integrale di numerosissimi atti procedurali.

In particolare, con la nota tecnica informatica del copia-incolla (in passato, già sanzionata da questa Sezione disciplinare quando comporti snaturamento della stessa funzione decisionale: Sez. Disc. CSM, n. 38 del 18 aprile 2008), sono state trascritte e recepite integralmente ed acriticamente nel provvedimento di perquisizione e sequestro, senza alcun filtro valutativo da parte dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi:

- Numerosissime dichiarazioni del dott. Luigi De Magistris, quale persona offesa e informata dei fatti, risalenti al 2 novembre 2007 (pag. 319 s., 941-974, 990 ss. e 1018-1024), 9 novembre 2007 (pag. 320 s.), 12 novembre 2007 (pag. 321 e pag. 346-362), 16 novembre 2007 (pag. 321 s., pag. 363-380, pag. 1048-1055, pag. 1074-1083, pag. 1085-1093 e pag. 1109-1120), 20 novembre 2007 (pag. 1196-1236), 28 novembre 2007 (pag. 625 ss.), 4 dicembre 2007 (pag. 381-388, 974 e 1033 s.), 10 dicembre 2007 (pag. 389 e pag. 632 ss.), 13 dicembre 2007 (pag. 1027 s.), 19 dicembre 2007 (pag. 389 s.), 28 dicembre 2007 (pag. 390-393 e pag. 1272 ss.), 3 gennaio 2008 (pag. 393 s. e 1275 s.), 10 gennaio 2008 (pag. 394 ss.), 15 gennaio 2008 (pag. 975 s.), 29 gennaio 2008 (pag. 1320), 12 febbraio 2008 (pag. 399), 26 febbraio 2008 (pag. 5 s. e 399-410), 4 marzo 2008 (pag. 410 ss.), 20 marzo 2008 (pag. 1321 ss.), 26 marzo 2008 (pag. 412 s.), 3 aprile 2008 (pag. 413 ss., 866 ss. e 1323 ss.), 22 aprile 2008 (pag. 1275 s. e 1329 s.), 26 aprile 2008 (pag. 1330 s.), 5 maggio 2008 (pag. 1331), 19 maggio 2008 (pag. 982 s. e 1331 ss.), 26 maggio 2008 (pag. 416 ss. e 1333 s.), 3 giugno 2008 (pag. 1334 ss.), 2 luglio 2008 (pag. 1337-1353), 3 luglio 2008 (pag. 983, 1309 s. e 1353 ss.), 10 luglio 2008 (pag. 418 ss., riprodotte anche a pag. 702 ss.), 11 luglio 2008 (pag. 422 ss., riprodotte anche a pag. 706 ss.), 15 luglio 2008 (pag. 425 ss. e 1370 ss.), 17 luglio 2008 (pag. 428 ss.), 2 settembre 2008 (pag. 430 s., 1277 ss. e 1373 s.), 10 settembre 2008 (pag. 1282 s.), 18 settembre 2008 (pag. 1283 ss.), 24 settembre 2008 (pag. 431 ss. e 559), 1° ottobre 2008 (pag. 437 ss., 935 e 1285 ss.), 9 ottobre 2008 (pag. 440 ss. e 1288 ss.), 27 ottobre 2008 (pag. 1411 ss.) e 21 novembre 2008 (pag. 1414 ss.).

- Le relazioni del dott. De Magistris del 15 maggio 2005 (pag. 987 ss.), 12 dicembre 2005 (pag. 1062 s.), 13 gennaio 2006 (pag. 1063), 16 marzo 2006 (pag. 1058 ss. e 1066 s.), 25 settembre 2006 (pag. 1094 ss.), 24 ottobre 2006 (pag. 1104), 21 novembre 2006 (pag. 1104 s.), 11 dicembre 2006, 19 dicembre 2006 e 3 marzo 2007 (pag. 1108 e 1238 ss.), 13 marzo 2007 (pag. 1170 ss.), 16 aprile 2007 (pag. 1194 s.), 6 maggio 2007 (pag. 1255 s.), 21 maggio 2007 (pag. 1195 s.) e 27 maggio 2007 (pag. 1108 ss.).

- Le note riservate del dott. De Magistris del 21 marzo 2006 (pag. 1067 s.), 3 marzo 2007 (pag. 1157 s.), 11 marzo 2007 (pag. 1169 s.), 19 marzo 2007 (pag. 1177 s.) e 30 aprile 2007 (pag. 1158).

- Le osservazioni del dott. De Magistris al CSM del 2 aprile 2007 (pag. 1192 ss.).

- Un decreto di archiviazione prodotto dal dott. De Magistris (pag. 1045 ss.).

- La nota del dott. De Magistris di trasmissione degli atti alla Procura di Salerno del 30 marzo 2007 (pag. 1191 s.).

- L’iscrizione nel registro degli indagati del sen. Pittelli e del gen. Cretella Lombardo da parte del dott. De Magistris (pag. 1152).

- Le relazioni dei sostituti di Catanzaro del 6 luglio 2006 (pag. 1120 ss.), 21 novembre 2006 (pag. 1122 ss.) e 6 febbraio 2007 (pag. 1126 s.).

- Le missive del dott. Murone, procuratore aggiunto a Catanzaro, del 23 marzo 2006 (pag. 1069), 27 novembre 2006 (pag. 1124 s.) e 7 maggio 2007 (pag. 1256).

- Numerosissime dichiarazioni testimoniali e, in particolare, quelle della segretaria dell’ufficio del dott. De Magistris, Maria Minervini (pag. 322 s.); del dott. Eugenio Facciolla, sostituto a Paola, del 18 dicembre 2007 (pag. 323 s.), 17 gennaio 2008 (pag. 324 s. e 722 s.), 9 luglio 2008 (pag. 1356 s.)  e 22 luglio 2008 (pag. 555 ss.); del dott. Alfredo Garbati, sostituto proc. gen. a Catanzaro, del 23 gennaio 2008 (pag. 325 ss.); del dott. Francesco De Tommasi, sostituto a Catanzaro, del 24 gennaio 2008 (pag. 328 ss.); del dott. Pierpaolo Bruni, sostituto a Crotone, del 26 gennaio 2008 (pag. 332 ss.); del dott. Luciano D’Emmanuele, Procuratore della Repubblica a Paola, del 29 gennaio 2008 (pag. 335 s.); del dott. Francesco Tricoli, Procuratore della Repubblica a Crotone, del 1° febbraio 2008 (pag. 336 ss.); del detenuto, ex consigliere regionale in Calabria, Giuseppe Tursi Prato, del 7 dicembre 2007 (pag. 443 ss.); del consulente tecnico del dott. De Magistris, dott. Sagona, del 13 novembre 2007 (pag. 723 ss.), 21 dicembre 2007 (pag. 727 s.), 25 gennaio 2008 (pag. 728 s.), 7 aprile 2008, 16 giugno 2008, 17 giugno 2008 (pag. 858 s.) e 5 settembre 2008 (pag. 445-455 e 859 s.); del consulente tecnico del dott. De Magistris, ing. Girolami, del 18 settembre 2008 (pag. 455 s.); di Caterina Merante del 23 novembre 2007 (pag. 740-780), 30 novembre 2007 (pag. 780-801), 15 gennaio 2008 (pag. 456 ss.) e 16 giugno 2008 (pag. 460-469, riprodotte a pag. 801-808); del dott. Simone Luerti, ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, del 28 maggio 2008 (pag. 469-514); del dott. Pierpaolo Bruni, sostituto a Crotone, del 1° aprile 2008 (pag. 540 ss. e 721), 13 giugno 2008 (pag. 544 ss.), 23 giugno 2008 (pag. 549 s.), 21 luglio 2008 (pag. 550 ss.) e 30 luglio 2008 (pag. 554 ss.); del consulente tecnico del dott. De Magistris, Muraca, del 17 dicembre 2007 (pag. 559 ss.) e 17 gennaio 2008 (pag. 849 s.); del consulente tecnico del dott. De Magistris, Genchi, del 28 novembre 2007 (pag. 627 ss.) e 14 febbraio 2008 (pag. 634 ss.); del Vice Brigadiere Pezzella del 28 febbraio 2008 (pag. 664 ss.); del Brigadiere Augugliaro del 28 febbraio 2008 (pag. 667 ss.); del Maggiore Grazioli del 22 gennaio 2008 (pag. 669 ss. e 1166 s.); del Colonnello dei R.O.S. Angelosanto del 30 settembre 2008 (pag. 686 ss. e 697 s.); di Domenica Mantella del 24 aprile 2008 (pag. 729 ss.); di Sergio Gigliotti del 24 aprile 2008 (pag. 731 s.); di Domenico Pietragalla del 23 aprile 2008 (733 ss. e 903 s.); dell’avv. Giampaolo Furriolo 23 aprile 2008 (pag. 736 ss.); di Antonio Alessandro Lachimia dell’8 aprile 2008 (pag. 809 ss.); di Giancarlo Franzè dell’8 aprile 2008 (pag. 811 s.) e 7 ottobre 2008 (pag. 812 s.); di Arturo Zannelli del 5 dicembre 2007 (pag. 813-821); di Riccarda Grandoni del 7 dicembre 2007 (pag. 821 ss.); del Capitano Pasquale Zacheo dell’11 dicembre 2007 (pag. 823 s.) e 4 gennaio 2008 (pag. 1028 s. e 1244 s.); della dott.ssa Marisa Manzini, sostituto a Catanzaro, dell’11 dicembre 2007 (pag. 824 ss. e 1167 ss.); del dott. Elio Romano, sostituto a Lamezia Terme (pag. 827 ss.); del dott. Giuseppe Greco, giudice a Catanzaro, del 20 dicembre 2007 (pag. 830 ss.); di Daniela Marsili del 2 gennaio 2008 (pag. 837 ss.); M.llo Carmine Manzi del 17 gennaio 2008 (pag. 844); del M.llo Giuseppe Chiaravalloti del 27 dicembre 2007 (pag. 1155, 1162 ss. e 1182 s.), 18 gennaio 2008 (pag. 844 s., 976 e 1183 s.) e 10 luglio 2008 (pag. 983 s.); del Luogotenente Fiorentino Gallo del 29 febbraio 2008 (pag. 845 s.); della dott.ssa Silvia Isidori, già sostituto a Catanzaro, del 20 marzo 2008 (pag. 895 ss. e pag. 1134 ss.); del dott. Salvatore Dolce, sostituto a Catanzaro, del 18 marzo 2008 (pag. 896 s., 934 s., 1102 ss. e 1128 s.); dell’avv. Alessandro Diddi del 30 aprile 2008 (pag. 987 ss.); del dott. Vincenzo Luberto, sostituto a Catanzaro, del 9 ottobre 2008 (pag. 899 ss.); della giornalista Olga Iembo del 4 marzo 2008 (pag. 901 ss.) e del giornalista De Domenico (pag. 1013 ss.); del Maggiore Auricchio del 29 gennaio 2008 (pag. 908 ss.); della dott.ssa Federica Baccaglini, già sostituto a Catanzaro (pag. 912-921); del Colonnello Ricchitelli del 18 giugno 2008 (pag. 921 s.); del Tenente Pisapia del 3 marzo 2008 (pag. 925 s. e 1000 ss.); del Colonnello Fedocci del 6 giugno 2008 (pag. 976 ss.); della dott.ssa Simona Marazza, già sostituto a Catanzaro, del 22 ottobre 2008 (pag. 980 ss.); del Luogotenente Sanseviero del 10 luglio 2008 (pag. 984 s.); della dott.ssa De Angelis, già sostituto a Catanzaro, del 18 aprile 2008 (pag. 1063 ss. e 1070 ss.); della dott.ssa Andreana Ambrosino, sostituto a Catanzaro, del 20 marzo 2008 (pag. 1129 ss.); della dott.ssa Cristina Tettamanti, sostituto a Catanzaro, del 16 giugno 2008 (pag. 1137 ss.); della dott.ssa Antonia Salamida, sostituto a Catanzaro, del 4 luglio 2008 (pag. 1141 ss.); del Vice Brig. Calogero Puzzo del 14 novembre 2007 (pag. 1154 s.) e 27 dicembre 2007 (pag. 1164 ss.); del Brig. Salvatore Mingoia del 31 gennaio 2008 (pag. 1155 s.); del Vice Brig. Angelo Milazzo del 26 febbraio 2007 (pag. 1157); del M.llo Luigi Musardo del 28 dicembre 2007 (pag. 1240 ss.); del M.llo Saverio Miniaci del 28 dicembre 2007 (pag. 1242 ss.); del dott. Francesco Menditto, giudice a Napoli, del 4 giugno 2008 (pag. 1031 ss.); del dott. Vincenzo Galati, componente del Consiglio giudiziario di Catanzaro, del 14 luglio 2008 (pag. 1361 ss.).

- Le relazioni del dott. Genchi del 4 febbraio 2008 (pag. 638 ss.), 12 marzo 2007 (pag. 1004-1011) e 11 giugno 2008 (pag. 881-890) e la comunicazione scritta del dott. Genchi del 12 giugno 2008 (pag. 458 s.)

- Le interrogazioni parlamentari del 25 luglio 2005 (pag. 1035-1040), 19 aprile 2007 (pag. 1247-1254) e 17 maggio 2007 (pag. 1257 s.) e le interpellanze parlamentari del 2 ottobre 2006 (pag. 1147 s.); 12 ottobre 2006 (pag. 1148 ss.); 21 ottobre 2007 (pag. 1150 s.).

- Le note informative dei Carabinieri del 27 maggio 2008 (pag. 904 s.) e del 12 giugno 2008 (pag. 409 928 ss.).

 - Alcune pubblicazioni giornalistiche risalenti al 2004 (pag. 937 ss.), un articolo tratto dal web del 12 ottobre 2005 (pag. 1042 s.) e le note dell’ANSA del 28 e 29 marzo 2007 (pag. 1185-1190).

- Numerose intercettazioni telefoniche non sempre pertinenti nell’economia del provvedimento di perquisizione e sequestro (pag. 81-200, pag. 1376-1410).

- La richiesta di rinvio a giudizio disciplinare nei confronti del dott. De Magistris del 13 dicembre 2007 (pag. 1266-1271).

Sempre con la tecnica del copia-incolla integrale ed in maniera acritica sono stati trascritti numerosi atti, raccolti o effettuati dal dott. De Magistris nei procedimenti penali Poseidone e Why not, atti evidentemente già in possesso dell’Autorità procedente, quanto meno in copia.

In particolare, con riferimento al procedimento Poseidone:

- Le dichiarazioni di Maurizio Poerio dell’11 settembre 2006 (pag. 37 ss.); di Pierangelo Moroni del 18 novembre 2006 (pag. 41 ss.) e 5 dicembre 2006 (pag. 44); di Daniela Marsili del 22 gennaio 2007 (pag. 51 ss.); di Caterina Merante del 26 marzo 2007 (pag. 201-216); di Achille Vinci Giacchi dell’11 febbraio 2007 (pag. 219 s.); di Francesco Indrieri del 20 febbraio 2007 (pag. 221 s.); di Luigi Muraca del 21 febbraio 2007 (pag. 222 s.). 

- La relazione del consulente tecnico ing. Girolami del 4 dicembre 2006 (pag. 45 ss.) e l’incarico peritale conferito al dott. Genchi il 12 marzo 2007 (pag. 55 ss.).

- Le informative dei Carabinieri di Lamezia Terme del 4 dicembre 2006 (pag. 58 ss.) e 24 marzo 2007 (pag. 81-200), quest’ultima contenente numerosissime intercettazioni telefoniche con relative utenze telefoniche, anche di soggetti estranei al procedimento.

- Il provvedimento di iscrizione nel registro degli indagati di Giancarlo Pittelli e Walter Cretella Lombardo in data 31 gennaio 2007.

- La revoca in data 29 marzo 2007 della delega conferita al dott. De Magistris sul procedimento Poseidone.

Con riferimento al procedimento c.d. Why not:

- Le dichiarazioni di Antonio La Chimia dell’11 aprile 2007 (pag. 226 ss.); di Lucia Sibiano del 16 aprile 2007 (pag. 228 s.); di Pasquale Citrigno del 16 aprile 2007 (pag. 229); di Giancarlo Franzè del 17 aprile 2007 (pag. 229 ss.) e 9 maggio 2007 (pag. 236 s.); di Caterina Merante del 26 marzo 2007 (pag. 853 ss. e 864) e 24 aprile 2007 (pag. 232); di Nadia Di Donna del 9 maggio 2007 (pag. 237 s.); di Giuseppe Tursi Prato dell’11 ottobre 2007, con acquisizione di memoria scritta (pag. 282-298).

- I decreti di perquisizione del 15 giugno 2007 (pag. 240 ss.) e 2 luglio 2007 (pag. 251 s.).

- La formulazione dei quesiti al dott. Genchi del 21 marzo 2007 (pag. 679 s.) e le relazioni del dott. Genchi del 9 luglio 2007 (pag. 252-268) e 25 luglio 2007 (pag. 270-281), contenenti intercettazioni telefoniche e numeri telefonici e dati sensibili di numerosi soggetti, anche non indagati.

- Lo stralcio del provvedimento di avocazione del 19 ottobre 2007 (pag. 301 s.), la revoca dell’incarico di consulenza a Genchi del 30 ottobre 2007 (pag. 305 s. e 615 s.), la relazione del R.O.S. del 15 gennaio 2008 (pag. 312 s.), la segnalazione all’Ispettorato generale del Ministero della giustizia da parte del P.G. di Catanzaro in data 23 maggio 2008 (pag. 315 ss.), la richiesta di archiviazione nei confronti di Clemente Mastella (pag. 563 ss.) e la relazione tecnica su Il Campanile Nuovo (pag. 565 s.).

- Inoltre, numerosi articoli di stampa: L’espresso del 1° novembre 2007 (pag. 566 ss.); La Stampa del 4 ottobre 2007 (pag. 600 ss.); Calabria Ora del 4 ottobre 2007 (pag. 602); Libero del 4 ottobre 2007 (pag. 602); L’Espresso del 4 ottobre 2007 (pag. 603 s.); L’Espresso del 5 ottobre 2007 (pag. 604 s.); Calabria Ora del 5 ottobre 2007 (pag. 605 s.); Calabria Ora del 6 ottobre 2007 (pag. 607); Calabria Ora del 20 ottobre 2007 (pag. 612); Calabria Ora del 21 ottobre 2007 (pag. 613).

- Un mera riproduzione, di più di una pagina, di articoli della legge c.d. Boato n. 140/2003 (pag. 676 s.).

- La richiesta di archiviazione del 7 aprile 2007 (pag. 710 ss.).

- La richiesta di informazioni del dott. Murone al dott. De Magistris del 2 luglio 2007 (pag. 717) e la risposta del dott. De Magistris del 10 luglio 2007 (pag. 717 s.).

- La relazione del consulente dott. Sagona del 10 marzo 2008 (pag. 726 ss.).

 

b) In secondo luogo, la motivazione del provvedimento di perquisizione e sequestro comprende indebitamente l’inserimento di numerose utenze telefoniche non attinenti all’oggetto ed alla finalità del provvedimento.

Tra i numeri di utenza di telefonia mobile, leggibili nel provvedimento e non attinenti all’oggetto ed alle finalità delle perquisizioni e dei sequestri, si rinvengono, ad esempio, quelli dell’ex Ministro della giustizia Clemente Mastella (pag. 25 dei capi di imputazione e diverse altre); di un agente dei servizi segreti (pag. 25 dei capi di imputazione, pag. 311 e pag. 621); dell’ex Presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi (pag. 280).

Tra i numeri di utenza di telefonia fissa si rinvengono, ancora, quello dell’ex Ministro Mastella, con relativo numero di fax (pag. 683), quello dell’avvocato Fabrizio Criscuolo (pag. 570) e quelli di varie società (es. pag. 72, pag. 266).

Vengono inoltre riportati numerosi grafici di utenze telefoniche e di contatti telefonici tra diverse utenze (pag. 658 e 870-878).

 

c) In terzo luogo, nella motivazione sono inseriti numerosissimi dati personali riguardanti una moltitudine di soggetti estranei al procedimento e in particolare:

- dati sensibili tratti dall’anagrafe tributaria e relativi ai redditi annui dei soci di diverse società, che non risultano indagati (pag. 66 ss.);

- date di nascita e luoghi di residenza di numerosi soggetti, moltissimi dei quali non risultano indagati, indicati negli elenchi delle compagini societarie (pag. 31 ss.), nelle dichiarazioni di Caterina Merante (pag. 234 ss.) o in note informative dei Carabinieri (458 s.);

- opzioni ideologiche e religiose dell’ex Presidente dell’A.N.M, comunque attinenti alla sua sfera privata e del tutto inconferenti con le finalità del provvedimento di perquisizione e sequestro (pag. 474);

- dati sensibili attinenti un magistrato, già direttore generale presso la direzione generale della giustizia civile del Ministero della giustizia, ora eletto in Parlamento (pag. 536);

- dati personali  tratti da www.consiglionazionaleforense.it (pag. 570) e www.ordineavvocati.roma.it (pag. 571);

- il verbale dei lavori svolti dalla commissione esaminatrice per la copertura di un posto di professore di ruolo di prima fascia presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi della Calabria (pag. 574 ss.);

- eventi cui ha partecipato l’avv. Fabrizio Criscuolo, tratti dal sito radio radicale.it (pag. 578);

- dati sensibili riguardanti l’avv. Davide Perrotta (pag. 596);

- dati sensibili riguardanti il giornalista Renato Farina (pag. 608 s.).

 

d) In quarto luogo, sono inseriti nella motivazione dati extraprocessuali e in particolare:

Molte fotografie riguardanti: la sede della Fine Food s.r.l. e particolari attinenti (pag. 60 ss.); la sede del supermercato Interspar e particolari attinenti (pag. 68 s.); la sede legale della C.D.C. (pag. 70); la sede della Obiettivo lavoro – agenzia per il lavoro s.p.a. (pag. 76).

La fotografia dell’avv. Fabrizio Criscuolo (pag. 589) e quella del dott. Giorgio Sganga  (pag. 593).

I nominativi sul citofono di un portone (pag. 78); l’intervista al Cons. del C.S.M., dott Fabio Roia sulla vicenda del dott. De Magistris, tratta dal sito internet radioradicale.it  (pag. 1299); la scheda anagrafica del Capo di Gabinetto del Ministro della giustizia, dott. Settembrino Nebbioso, tratta dal sito giustizia.it (pag. 1306).

Molte schede personali raccolte da siti web quali:

La scheda elettorale, anche fotografica, tratta dal sito internet di Alfonso Papa, magistrato, attualmente fuori ruolo per mandato parlamentare (pag. 535).

La scheda anagrafica e fotografica di Alfonso Papa (pag. 537) estrapolata dal sito della Camera dei deputati.

La scheda pubblicitaria del dott. Commercialista Pierpaolo Sganga, tratta dal sito internet del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti (pag. 591) e la successiva scheda del medesimo dott. Sganga eletto segretario amministrativo nazionale dei popolari (pag. 592).

La scheda anagrafica e fotografica del Sen. Tancredi Cimmino, tratta dal sito del Senato della Repubblica (pag. 594).

La scheda anagrafica e fotografica del prof. Giancarlo Elia Valori, tratta da un sito web (pag. 1292).

La scheda anagrafica e fotografica del Cons. del C.S.M., on. Gianfranco Anedda, tratta dal sito della Camera dei deputati (pag. 1312, 1314).

Le informative acquisite nei confronti Cons. del C.S.M., prof. Mauro Volpi (pag. 1316).

Alcune locandine di convegni quali quello tenuto a Roma il 27/28 ottobre 2008 sui “Giovani nella giustizia” (pag. 579) e quello dal titolo “Lo spettacolo della giustizia” (pag. 581), ai quali avrebbero partecipato anche componenti del Consiglio superiore della magistratura (pag. 1307).

Inoltre, sono contenute nel provvedimento numerosissime note a piè di pagina, inconferenti con le finalità e l’oggetto delle perquisizioni e dei sequestri.

 

Detta motivazione non risponde ai canoni dettati in materia di atti invasivi della libertà personale dalla Costituzione (art. 13, secondo comma, secondo cui “non è ammessa forma alcuna di … perquisizione personale … se non per atto motivato e nei soli casi e modi previsti dalla legge”; art. 14, secondo comma, secondo cui nel domicilio“non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”) e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (art. 6, par. 3, lett. a) e b), secondo cui “ogni accusato ha diritto a: essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa”; art. 8, par. 2, secondo cui, in relazione al diritto al rispetto alla vita privata e familiare “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui”).

La motivazione del provvedimento in esame, infatti, non è effettiva e finalizzata a rendere comprensibili dai destinatari le ragioni del provvedimento giudiziario invasivo dei loro diritti costituzionalmente garantiti, ma  è soltanto apparente, essendo stata adottata quasi integralmente con la tecnica informatica del copia-incolla e con un affastellamento di una serie infinita di fatti, dati, documenti, intercettazioni, dichiarazioni e valutazioni di soggetti vari (il solo dott. De Magistris è stato sentito circa sessantacinque volte), molto spesso non pertinenti rispetto all’oggetto dell’indagine e prive comunque di alcun vaglio critico ed argomentativo da parte degli estensori. Detta modalità di motivazione del provvedimento rende giuridicamente non chiare e non comprensibili le ipotesi di accusa e degli elementi specifici che le sorreggono e rappresenta dunque un mezzo non adeguato rispetto al fine e suscettibile di essere utilizzato - come è puntualmente avvenuto - ai diversi fini divulgativi e mediatici di propalazione di notizie processualmente irrilevanti. La diffusione, prevedibile, del provvedimento in questione su Internet ha del resto determinato in maniera clamorosa ed assai grave - con contraccolpi molto pericolosi sul piano della tenuta delle Istituzioni in genere e del prestigio della giurisdizione in particolare - la lesione del diritto al rispetto alla vita privata e familiare, previsto dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, di tantissimi soggetti, anche Istituzionali, coinvolti a sproposito nel provvedimento, senza essere indagati e fortemente delegittimati nell’esercizio delle loro funzioni. Del resto, la tecnica informatica del copia-incolla, se viene adottata - come nella specie - in maniera generalizzata, massiccia ed acritica (secondo il calcolo effettuato dall’Ispettorato generale del Ministero della giustizia nella misura del 98%), con pedissequa riproduzione del contenuto delle più di sessanta dichiarazioni della parte offesa e di una miriade di altri atti, dichiarazioni e documenti, determina - come è già stato affermato da questa Sezione disciplinare (Sez. Disc. CSM, n. 38 del 18 aprile 2008, cit.) - il venir meno, da parte degli autori del provvedimento giurisdizionale, dell’elementare dovere di garantire, al di là di ogni sospetto del contrario, che la decisione sia stata assunta in piena autonomia di giudizio e di assicurare che il proprio comportamento sia improntato ai canoni di correttezza nei confronti di tutte le parti processuali.

Con la precisata condotta, i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi hanno tradito l’essenza stessa della propria funzione, avendo abdicato - nei limiti della valutazione di fondatezza della contestazione propria di questa fase - al proprio ruolo di magistrati, come tali imparziali e super partes, in quanto svolgenti le funzioni di pubblico ministero, così compromettendo la propria considerazione e menomando il prestigio dell’ordine giudiziario. Una motivazione del provvedimento giudiziario così ampia ed impertinente induce a ritenere che i PM abbiano utilizzato lo strumento processuale  per finalità ultronee rispetto alla funzione propria dell’atto.

Né pregio alcuno ha per questo profilo di incolpazione la giustificazione fornita dal dott. Apicella in sede di audizione presso la Prima Commissione del C.S.M. (pag. 54 s.), secondo cui egli ed i materiali redattori del provvedimento hanno voluto dare conto, nell’interesse dei destinatari, di tutte le acquisizioni processuali, anche per chiarire perché si erano determinati “a questi provvedimenti di tale importanza”. Una motivazione eccezionalmente lunga come quella in esame, prodotta da un affastellamento acritico di una infinità di atti e documenti, che ne ha reso impervia la lettura a più di un interprete del diritto, in verità non rende agevole la difesa per i destinatari del provvedimento più di quanto non faccia una motivazione del tutto carente e, viceversa, potrebbe avere in concreto prodotto un danno proprio agli indagati e, in particolare, ai magistrati impegnati nelle indagini relative al procedimento Why not, i quali non sono stati in grado di comprendere adeguatamente le ragioni dei sequestri e delle perquisizioni nell’immediatezza delle operazioni esecutive.

La violazione deontologica conseguente alla condotta dei magistrati salernitani risulta allo stato evidente. La grave negligenza non appare allo stato degli atti scusabile. Certo, è del tutto pacifico che il giudizio disciplinare non è la sede della disamina processuale di un provvedimento giudiziario, ma la garanzia dell’art. 101 Cost. non significa che il magistrato non può essere giudicato per violazioni deontologiche connesse all’esercizio delle funzioni giurisdizionali. In questa sede va dunque osservato che il provvedimento giudiziario ha il taglio non di un atto di perquisizione e sequestro ma di un’inchiesta giornalistica, che lascia al lettore la ricerca delle ragioni della decisività. Il collegio ritiene pertanto che sussistano elementi convergenti, allo stato degli atti, per ritenere che i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi non abbiano ragionato in termini di decisività degli argomenti e delle tesi esaminate e, dunque, in termini di congruità e di continenza (cfr. Sez. Disc. CSM, n. 70 del 16 giugno 2008).

Del resto - contrariamente alla tesi difensiva, secondo la quale l’unica ipotesi che legittimerebbe il sindacato giurisdizionale sarebbe quella del provvedimento abnorme, inteso come atto che sotto nessun profilo può essere considerato espressivo del potere giurisdizionale del quale il magistrato è investito - ai fini della sussistenza della responsabilità disciplinare a carico di magistrati che sia riferibile ad addebiti riconducibili alla loro attività giurisdizionale non si valuta la correttezza in sé dell’adozione di determinati provvedimenti redatti dagli incolpati  (perquisizioni e sequestri contemplati dal codice di rito), bensì la condotta complessiva dei magistrati medesimi, cioè il loro impegno intellettuale e morale congiuntamente alla loro dedizione alla funzione requirente svolta, che deve essere sempre esercitata rispettando i doveri d'ufficio e, quindi, nel rispetto dei diritti degli indagati ed anche dei terzi estranei alle indagini. L'insindacabilità in ambito disciplinare dei provvedimenti giurisdizionali e delle interpretazioni adottate esclude, infatti, che la loro inesattezza tecnico-giuridica possa di per sé sola configurare l'illecito disciplinare del magistrato, ma non quando essa - come nel caso di specie - sia la conseguenza di grave negligenza e di mancanza di ponderazione degli effetti del provvedimento, estranei alle logiche ed alle finalità della giurisdizione (e cioè il blocco della giurisdizione stessa) e sia viceversa indice di un comportamento del tutto arbitrario nella tecnica redazionale del provvedimento, con grave rischio di compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario. Per stabilire allora se ricorra o meno la responsabilità disciplinare degli incolpati è necessario accertare se il provvedimento costituisca - come invero appare ad una prima, sommaria delibazione, qual è in questa sede dovuta (fumus boni iuris) - un sintomo di negligenza o di inammissibile imperizia dei magistrati, come tale suscettibile di quella negativa incidenza sull'indicato prestigio dell'ordine giudiziario (cfr. Cass., Sez. Un. Civ., n. 16626 del 27 luglio 2007 e, in senso del tutto analogo, Cass., Sez. Un. Civ., n. 1670 del 24 febbraio 2007; n. 12268 del 5 luglio 2004; n. 9775 del 19 luglio 2001; n. 1119 del 18 ottobre 2000; n. 538 del 4 agosto 2000; n. 504 del 23 luglio 1999; n. 338 del 14 giugno 1999; n. 7226 del 7 agosto 1996; n. 8241 del 23 luglio 1993; n. 55 del 5 gennaio 1993; n. 6320 del 22 giugno 1990; n. 3116 del 1° aprile 1987; n. 4754 del 24 luglio 1986; Sez. Disc. CSM n. 3 del 18 gennaio 2008).

In altri termini, il concetto di provvedimento abnorme, sotto il profilo non processuale ma deontologico e disciplinare, viene in rilievo, non solo quando esso si pone del tutto al di fuori di ogni schema giuridico e processuale (da ultimo, Sez. Disc. CSM, n. 139 del 19 dicembre 2008), ma anche quando sia stato emesso sulla base di un errore macroscopico o - come appare nel caso di specie - di gravissima ed inescusabile negligenza, ipotesi in cui viene ad assumere rilevanza disciplinare, appunto, non già il risultato dell’attività giurisdizionale, ma il comportamento deontologicamente deviante posto in essere dal magistrato nella sua funzione istituzionale (da ultimo, Cass., Sez. Un. Civ., n. 24220 del 26 settembre 2008). Conformi a questi principi sono, costantemente, le decisioni di questa Sezione disciplinare che, ritenendo ipotesi di condotte negligenti di magistrati in sede giurisdizionale, hanno configurato l’ipotesi di illecito disciplinare di cui all’art. 2, lett. g) d.lgs. n. 109/2006, o altre analoghe (Sez. Disc. CSM, n. 86 del 28 settembre 2007; n. 26 del 9 marzo 2007; n. 113 del 21 dicembre 2007; n. 3 del 18 gennaio 2008; n. 40 del 21 aprile 2008; n. 21 del 14 marzo 2008); parimenti conformi sono anche quelle decisioni che, pur ritenendo le condotte negligenti, non hanno configurato la fattispecie oggi tipizzata dell’illecito (o quella atipica preesistente) per il solo motivo della mancanza del requisito della “inescusabilità” della negligenza stessa (Sez. Disc. CSM, n. 71 del 27 giugno 2008; n. 6 dell’11 febbraio 2008; n. 111 del 21 dicembre 2007; n. 85 del 28 settembre 2007; da ultimo, Sez. Disc. CSM , n. 7 del 16 gennaio 2009).

Ne consegue che - proprio perché in questa sede, ovviamente, non si compie un sindacato di merito sulla scelta giurisdizionale - del tutto inconferente, ai fini della presente decisione, è la circostanza, rappresentata dalla difesa (anche con le relative produzioni documentali), che il 9 gennaio 2009, in relazione alla posizione di cinque indagati non magistrati (Pierpaolo Greco, Mariano Lombardi, Maria Grazia Muzzi, Antonio Saladino e Maria Luigina Mazzei), la Sezione del riesame del Tribunale di Salerno ha rigettato le istanze di riesame e confermato il provvedimento impugnato. Invero, in questa sede non viene intaccato il principio di cui all’art. 2, secondo comma, del d.lgs. n. 109/2006 secondo cui “… l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare”. E’ evidente che questa è materia sostanziale e processuale, non disciplinare. Quando però, come nel caso di specie, ci si trova di fronte ad un provvedimento che, indipendentemente dalle sue sorti processuali, è conseguenza di un comportamento negligente inescusabile al punto che non è dato apprezzare in motivazione alcuna compiuta valutazione di fatti e di prove acquisite per quanto si è in precedenza ampiamente descritto (e per quanto ampiamente si descriverà oltre), il limite del secondo comma dell’art. 2 (che opera “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, lett. g), h), i), l), m), n), o), p), cc) e ff)…) può dirsi superato, ben potendosi configurare le fattispecie tipiche di cui al primo comma della medesima norma. Se così non fosse, il sistema disciplinare, nel nome dell’equivoco su una malintesa insindacabilità dell’atto giurisdizionale, consentirebbe a magistrati gravemente negligenti di tenere qualsivoglia comportamento deontologicamente non corretto senza essere adeguatamente sanzionati.

 

Ai magistrati della Procura di Salerno si contesta in secondo luogo di aver sostanzialmente emesso il provvedimento giudiziario in questione in violazione di legge in quanto eccedente i limiti della necessità e della proporzionalità del mezzo rispetto al fine, con ciò determinando una grave stasi dell’attività giudiziaria in corso a Catanzaro (artt. 1 e 2, primo comma, lett. g) e l) del d.lgs. n. 109/2006).

L’ipotesi implica il mancato esame, da parte del dott. Apicella e dei suoi sostituti, della possibilità alternativa a quella, realizzata, del sequestro integrale e in originale dei procedimenti penali Poseidone e Why not. Della possibilità di procedere, cioè, attraverso l’acquisizione, in copia, dei dati reputati utili all’indagine e non ancora in possesso dell’ufficio requirente salernitano.

La complessa ricostruzione dei fatti inerenti l’ampio carteggio tra la Procura di Salerno e la Procura generale di Catanzaro, intercorso tra febbraio e giugno 2008, avente ad oggetto la richiesta ai sensi dell’art. 117 c.p.p. di acquisizione di copia degli atti relativi ai procedimenti in corso a Catanzaro, ha evidenziato che, dopo le prime resistenze opposte dal Procuratore generale Iannelli, si era determinato un clima definito “sereno” dagli stessi protagonisti della vicenda.

L’ipotesi alternativa di acquisizione di copia conforme ed integrale dei documenti processuali si era rivelata del resto percorribile proprio in forza della disponibilità manifestata dalla Procura generale di Catanzaro con nota del 17 giugno 2008, peraltro richiamata anche nel capo G) di imputazione (pag. 49 ss.) dai pubblici ministeri salernitani. In questa nota, come si è già evidenziato, i magistrati di Catanzaro avevano invitato i colleghi della Procura di Salerno a recarsi personalmente nel capoluogo di distretto calabrese per  prendere visione degli atti di interesse ed estrarne copia.

La conseguenza di questa nota è stata invece l’iscrizione nel registro degli indagati dei magistrati calabresi - avvenuta nel mese di luglio 2008, come hanno precisato in sede di audizione presso la Prima Commissione del C.S.M. il dott. Apicella in data 6 dicembre 2008 (pag. 6) e la dott.ssa Nuzzi in data 9 dicembre 2008 (pag. 42 s.) - ai sensi degli artt. 328 e 378 c.p., per l’indebito rifiuto della doverosa trasmissione di atti rilevanti per la “progressione investigativa dell’A.G. campana funzionalmente competente” e per l’ostacolo all’accertamento delle ipotesi di reato per le quali si procedeva a Salerno, con relativo favoreggiamento.

Vero è che, ai fini dell’indagine salernitana, ben poteva essere sufficiente l’acquisizione della sola copia conforme all’originale degli atti processuali di Poseidone e Why not, come dimostra la circostanza che il sequestro è stato disposto ai fini probatori e non preventivi e che, successivamente, a seguito dei noti sviluppi della vicenda, di fatto a Salerno - dove nel frattempo, in data 11 dicembre 2008, è stato revocato il sequestro in esame (v. nota informativa del Procuratore generale di Salerno del 17 dicembre 2008, in atti) - sono state  trattenute e trasmesse, rispettivamente, le sole copie dei procedimenti Poseidone e Why not (le cui indagini sono poi giunte a conclusione con gli avvisi di cui all’art. 415 bis c.p.p.). Se ciò ha oggi soddisfatto le Autorità requirenti salernitane, ben poteva a tempo debito essere presa l’ipotesi procedimentale alternativa in relazione alla quale formale disponibilità era stata offerta dalla Procura generale di Catanzaro, evitandosi in tal modo un provvedimento così eclatante, non necessario, che ha instaurato quella che, mediaticamente, è stata definita una “guerra tra Procure” ed ha causato una delle più gravi crisi di delegittimazione della giurisdizione della storia repubblicana.

Va inoltre sottolineato che una gran mole di atti dei procedimenti penali  Poseidone e Why not che si sono poi sequestrati è stata integralmente trascritta proprio nella motivazione del provvedimento e che è lo stesso decreto di perquisizione e sequestro ad indicare nella misura di circa il 75% dell’attività svolta nell’ambito dei procedimenti Poseidone e Why not  la quantità di atti e documenti già in possesso dell’Autorità procedente (pag. 1353). E’ vero quanto ha eccepito la difesa degli incolpati salernitani, e cioè che gli atti in possesso della Procura procedente non erano in originale e non potevano quindi far fede sotto un profilo probatorio, ma, proprio per questo, ed anche fatta salva ogni ulteriore e diversa valutazione sulla originaria legittima disponibilità di tali atti dal parte del detentore,  non c’era bisogno di procedere ad un sequestro così eclatante quando poteva essere sufficiente anche un mero ordine di esibizione che potesse fornire adeguato riscontro alla documentazione non originale già posseduta.

Anche sotto questo profilo, pertanto, non si comprende la necessità del grandissimo dispiegamento di forze e di mezzi investiti al fine di realizzare un atto eclatante per l’opinione pubblica e destabilizzante per le Istituzioni che ben poteva essere evitato con una più decisa e concludente richiesta di acquisizione di copia dei residui atti mancanti, almeno sotto il profilo del fortissimo clamore mediatico che lo ha accompagnato.

I magistrati salernitani, comunque, avrebbero dovuto fornire nel provvedimento giudiziario redatto adeguate ragioni del perché le copie conformi non bastavano ed avrebbero dovuto esplicitare nel provvedimento stesso le pretese esigenze di acquisire gli atti e i documenti in originale. Essi hanno sostenuto concordemente in sede di audizione dinanzi alla Prima Commissione del C.S.M. che il sequestro era destinato a durare per pochissimi giorni e per il tempo necessario alla integrale fotocopiatura degli atti, da effettuare a Salerno, ma né in quella sede amministrativa, né in questa sede cautelare, hanno fornito adeguate spiegazioni in ordine alla mancanza di alcun cenno, nel provvedimento, dell’iter procedurale che avrebbero voluto seguire. Ed invero appare ben strano che, in un provvedimento di 1418 pagine di motivazione in larghissima parte apparente ed impertinente, essi non abbiano sentito l’esigenza di fornire un chiarimento - di pochissime righe - su un punto fondamentale della vicenda affrontata.   

Dunque i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi, invece di considerare la possibilità di adozione dei descritti rimedi alternativi al sequestro, hanno assunto un atteggiamento di pregiudizio sull’operato dei magistrati di Catanzaro, incompatibile con i doveri di indipendenza e di terzietà propri di ogni magistrato e, conseguentemente, hanno adottato un provvedimento che, disponendo sic et simpliciter il sequestro degli atti in originale dei due procedimenti predetti, senza alcun riferimento alla finalizzazione del sequestro alla sola estrazione di copie, ha determinato una grave stasi giurisdizionale, poi superata, nei giorni successivi, solo grazie all’intervento delle massime Autorità giudiziarie (e non giudiziarie) estranee ai due procedimenti.

Ai dottori Apicella, Verasani e Nuzzi è poi addebitata la circostanza - strettamente connessa alla precedente - di aver emesso il provvedimento giudiziario in violazione di legge in quanto eccedente le finalità dichiarate di sequestro a scopo probatorio per assurgere a mezzo atto a realizzare una funzione essenzialmente preventiva, con sindacato esterno delle modalità di gestione e di articolazione interna dei procedimenti penali di esclusiva competenza dell’Autorità giudiziaria di Catanzaro e con grave danno della funzione giudiziaria e della autonomia e indipendenza dei pubblici ministeri che la esercitavano (artt. 1 e 2, primo comma, lett. g), m) e ff) del d.lgs. n. 109/2006).

La funzione preventiva del provvedimento di sequestro emerge con particolare riguardo ai capi di imputazione C) (pag. 20), D, (pag. 24), E) (pag. 29 ss.) e F) (pag. 35 ss.) ove sono state elevate accuse di falso, favoreggiamento ed abuso d’ufficio nei confronti dei pubblici ministeri delegati alle indagini sul processo c.d. Why not in relazione a scelte e strategie investigative e procedimentali, anche attinenti stralci e richieste di archiviazione delle posizioni di vari indagati.

In particolare, ampia parte del provvedimento di perquisizione e sequestro è diretta a sindacare in maniera decisamente negativa la scelta processuale dei magistrati di Catanzaro di disporre lo stralcio dal processo della posizione dell’ex Ministro della giustizia Mastella e, successivamente, di chiedere ed ottenere dal G.I.P. l’archiviazione nei confronti del medesimo (pag. 515 ss.; pag. 1284). Con le stesse finalità, il provvedimento tende a dimostrare la legittimità dell’acquisizione dei tabulati relativi al predetto Ministro Mastella da parte del dott. De Magistris, con un’esplicita manifestazione di disapprovazione, non solo dell’operato dei magistrati di Catanzaro indagati, ma anche dell’azione disciplinare, tuttora sub iudice, promossa nei confronti del De Magistris medesimo, nonché della valutazione negativa espressa dal Consiglio giudiziario di Catanzaro in relazione al superamento della terza valutazione di professionalità da parte dello stesso magistrato, disapprovazione che ha portato alla formulazione di un capo di imputazione nei confronti del relatore in Consiglio giudiziario sulla pratica De Magistris, dott. Bruno Arcuri.

Più in generale, nel provvedimento in esame viene ad essere celebrato indebitamente un processo ad altri processi, definiti o - quel che è peggio - ancora in corso, con la finalità di sindacare, con una diversa lettura ed in una prospettiva diversa, le scelte giurisdizionali delle Autorità giudiziarie di Catanzaro.

Del resto, la possibile, sostanziale natura preventiva del provvedimento di sequestro appare anche da quanto osservato a proposito della precedente fattispecie disciplinare e cioè che non si rivelava necessario procedere al sequestro probatorio degli atti in originale dei due procedimenti penali più volte richiamati, sia per la disponibilità dei magistrati di Catanzaro al rilascio delle copie del procedimento Why not, sia per il possesso, da parte dell’Autorità giudiziaria salernitana, pur non in originale, di circa il 75% degli atti dei procedimenti medesimi. E’ allora molto probabile - per quanto in questa sede cautelare è possibile affermare - che il vero scopo, non dichiarato, dei magistrati salernitani fosse quello di prevenire il protrarsi dei reati ipotizzati all’interno della Procura generale di Catanzaro, in maniera tale, comunque, da incidere negativamente sul normale sviluppo del procedimento Why not (indagini poi giunte a conclusione, come si è detto, con l’avviso ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p. nei confronti di numerosi indagati, solo a seguito della revoca del sequestro in esame, conseguente all’intervento del tutto eccezionale delle più alte Autorità Istituzionali, che ha consentito la fuoriuscita dalla stasi giudiziaria che i magistrati della Procura di Salerno avevano contribuito a determinare).

Per questo profilo, è appena il caso di aggiungere - come si ripeterà anche a proposito del provvedimento giudiziario emesso dai magistrati calabresi - che il sequestro preventivo non può mai avere ad oggetto una attività, ma soltanto il risultato di una attività, giacché tale misura cautelare non è destinata a svolgere una atipica funzione inibitoria di comportamenti rilevanti sul piano penale (Cass. II Sez. Pen., n. 10437 del 9 marzo 2006, dep. 24 marzo 2006; Cass., IV Sez. Pen., n. 4016 del 14 dicembre 1998, dep. 2 febbraio 1999).

 

Agli stessi magistrati salernitani è poi addebitato  il comportamento gravemente scorretto tenuto nei confronti di diversi magistrati, identificati o agevolmente identificabili - in quanto componenti di altre autorità giudiziarie, requirenti e giudicanti, della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e della Corte di cassazione - che hanno concorso ad assumere decisioni nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali e che non risultano indagati nei procedimenti de quibus (artt. 1 e 2, primo comma, lett. d) del d.lgs. n. 109/2006). La scorrettezza è in particolare consistita nell’aver incorporato nel provvedimento di perquisizione e sequestro, facendole proprie, una congerie di impressioni soggettive, di accuse allusive e di giudizi sostanzialmente denigratori riguardo a varie decisioni giurisdizionali che sarebbero state assunte - secondo quanto delineato nel provvedimento in esame - in base a congetturali intenti di delegittimazione di interi settori dell’ordine giudiziario.

In particolare, recependo acriticamente le dichiarazioni del dott. De Magistris, si sono svolte gratuite censure alla archiviazione del procedimento nei confronti dell’ex Ministro Mastella da parte del G.I.P. di Catanzaro, Tiziana Macrì, “che prima di argomentare con motivazioni critiche nei confronti dell’operato dell’originario P.M. avrebbe dovuto procedere ad una lettura integrale di tutti gli atti del procedimento” (pag. 426). Con la stessa tecnica allusiva, si sono svolte forti e delegittimanti critiche nei confronti anche di altri magistrati degli uffici giudiziari di Catanzaro che hanno avuto un ruolo, requirente o giudicante, in processi originariamente istruiti dal dott. De Magistris (pag. 974 ss.).

Si è poi evidenziata - inutilmente ai fini della legittimità del provvedimento - la circostanza che il dott. Martone, sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, abbia sostenuto l’accusa nel giudizio di legittimità afferente il procedimento disciplinare nei confronti del dott. De Magistris, sebbene risultasse in contatto con il dott. Barbieri, altro magistrato indagato dal dott. De Magistris nell’inchiesta Toghe Lucane e che anche altro magistrato della Procura generale presso la Corte di cassazione, il dott. Riccardo Fuzio, si era occupato di procedimenti riguardanti il dott. De Magistris sebbene esponente della corrente di Unicost, come il dott. Vincenzo Tufano, Procuratore generale di Potenza indagato nell’inchiesta Toghe Lucane (pag. 1282).

Si è attaccato duramente - a mezzo delle dichiarazioni del dott. De Magistris non filtrate da alcuna valutazione da parte dei sottoscrittori del provvedimento - il dott. Mario Delli Priscoli, all’epoca Procuratore generale presso la Corte di cassazione e titolare dell’azione disciplinare, per aver promosso nei confronti del dott. De Magistris “iniziative disciplinari prive di alcun fondamento”. Si sono offerti così alle considerazioni dei destinatari e dei lettori del provvedimento di perquisizione e sequestro aspetti concernenti la vita professionale del figlio del dott. Delli Priscoli che nulla c’entrano con l’oggetto del provvedimento e che sono destinati a determinare ingiustificato discredito e  gravissima delegittimazione dell’attività giurisdizionale svolta dal Procuratore generale della Corte di cassazione (pag. 437 ss., pag. 1273 s., 1275 ss., 1285 ss. e 1301). Allo stesso modo, nel provvedimento si sono gettate ingiustificate ed inconferenti ombre anche sul figlio magistrato dell’ex Procuratore generale della Corte di cassazione, Lorenzo Delli Priscoli, collocato fuori ruolo presso la Corte Costituzionale e menzionato solo perché è stato docente in corsi finanziati dall’Università Tor Vergata, ove risultano insegnare professori in qualche modo “coinvolti” nelle inchieste, nonché relatore ad un convegno in tema di giustizia al quale hanno partecipato magistrati in rapporti con Antonio Saladino (pag. 439 e 1287). Sempre con riferimento al dott. Delli Priscoli si riportano nel provvedimento, in maniera inutilmente scorretta ed impropriamente allusiva, persino i fatti riguardanti il delitto di Simonetta Cesaroni in Roma, a via Poma (ove abitava anche l’ex Procuratore generale), sottolineandosi il fatto che uno dei magistrati che si occupò dell’indagine sia stato il dott. Settembrino Nebbioso, “che risulta avere contatti d’interesse con magistrati con riferimento all’inchiesta Toghe Lucane” (pag. 1274).

Con la stessa tecnica fuorviante e delegittimante, si sono rappresentati rapporti istituzionalmente tenuti dal dott. Vito D’Ambrosio - sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione che ha sostenuto in udienza disciplinare l’accusa nei confronti del dott. De Magistris - all’epoca in cui era Presidente della Regione Marche e, in particolare, provvedimenti atti a favorire lo sviluppo della cooperazione, settore in cui opera la Compagnia delle Opere della quale è responsabile per la Regione Calabria Antonio Saladino. Anche in questo caso si è gettato inutilmente discredito su un magistrato che si è occupato in via giurisdizionale del dott. De Magistris, con relativa e fortissima delegittimazione delle alte funzioni giurisdizionali svolte, senza che i fatti menzionati fossero pertinenti rispetto alle finalità di perquisizione e sequestro disposti con il provvedimento del 26 novembre 2008 (pag. 439 ss., 442, 1273 s., 1287 s. e 1301 ss.).

Nel provvedimento di perquisizione e sequestro si è gettato poi forte discredito - sempre con la recezione acritica delle dichiarazioni del dott. De Magistris - anche nei confronti di altro sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, il dott. Pasquale Ciccolo, solo perché egli aveva proceduto alla contestazione ed all’interrogatorio del dott. De Magistris in sede disciplinare. Si è fatto improvvido, gravissimo ed inconferente riferimento ad una attività di “persecuzione” ordita ai danni del dott. De Magistris “anche all’interno della Procura generale della Corte di cassazione” (pag. 1276 ss.) ed alla “parzialità di comportamento di magistrati addetti alle procedure disciplinari” (pag. 1279 e ancora a pag. 1282, 1284). In altro passo del provvedimento si è giunti a definire - attraverso le parole del dott. De Magistris - un’ulteriore iniziativa disciplinare nei confronti di quel magistrato come una “condotta di favore nei confronti dell’on. Avv. Giancarlo Pittelli”, “iscritto ad una importante loggia massonica” e si è detto che quell’iniziativa è stata volta a danneggiare l’attività professionale e la persona del dott. De Magistris (pag. 1289). In altro passo ancora si è parlato di “condotte criminose messe in atto … attraverso la Procura generale della Cassazione e taluni componenti dello stesso CSM” (pag. 1290) e si sono coinvolte gratuitamente in critiche sconsiderate persino le massime Autorità dello Stato (pag. 1290).

Parimenti, è stato rappresentato in modo scorretto, gravemente allusivo e, comunque, non pertinente rispetto alla finalità del provvedimento di perquisizione e sequestro il contatto personale avuto con alcuni magistrati di Catanzaro, durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura, dal Cons. Giulio Romano, relatore nel processo disciplinare a carico del dott. De Magistris (pag. 935 s., 1273 e 1308 ss.).

Circostanza davvero incomprensibile, nell’esame della fattispecie disciplinare ed alla luce di quanto si è detto, è allora rappresentata dall’atteggiamento tenuto in sede di audizione presso la Prima Commissione dal dott. Apicella, il quale ha ribadito che egli ritiene tutto il contenuto del provvedimento pertinente rispetto all’obiettivo specifico degli atti di perquisizione e sequestro (pag. 55). Secondo il Procuratore Apicella, dunque, il richiamo nel provvedimento alle condotte di moltissimi magistrati che si sono accidentalmente trovati a decidere su questioni attinenti al dott. De Magistris e che, comunque, non risultano indagati, per stessa dichiarazione dell’odierno incolpato (pag. 69 della richiamata audizione), era strettamente pertinente alle finalità del provvedimento giudiziario da lui vistato. Evidentemente, il Procuratore Apicella non si è reso conto, nemmeno successivamente all’esecuzione del provvedimento, dopo il fortissimo clamore mediatico e le immediate reazioni del mondo della politica, che hanno determinato l’intervento inusuale e del tutto eccezionale del Capo dello Stato, che il coinvolgimento di quei magistrati non era affatto pertinente alle finalità di perquisizione e sequestro che intendeva realizzare.

Ai dottori Apicella, Verasani e Nuzzi è addebitato anche  il comportamento gravemente scorretto nei confronti di numerosi magistrati menzionati nel provvedimento giudiziario, senza che la menzione dei loro nominativi sia risultata avere alcuna pertinenza rispetto alle finalità di perquisizione e sequestro e senza che sia stata esplicitata la ragione dell’indicazione stessa. Con ciò ingenerando anche il mero dubbio di un loro comportamento poco lineare, sulla base di una esposizione non verificabile di illazioni, congetture, sospetti, “collegamenti” ed incontri del tutto occasionali (artt. 1 e 2, primo comma, lett. d) del d.lgs. n. 109/2006).

In particolare, sono stati riportati (pag. 411) i nominativi di sette magistrati per il solo fatto di risultare nella rubrica telefonica contenuta nel palmare di Antonio Saladino. Di questi sette, almeno cinque non risultano indagati e, comunque, la loro menzione non ha alcuna pertinenza rispetto alle finalità di perquisizione e sequestro.

E’ stato gratuitamente riportato - senza che vi fosse alcun collegamento con l’oggetto del sequestro - il nominativo del Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, solo perché nominato dall’ex Ministro Mastella e legato ad altro magistrato (che in ogni caso non risulta indagato), ricoprente un ruolo apicale nel Ministero stesso, con presunti rapporti diretti con Antonio Saladino (pag. 215, 428 e 430). Nello stesso modo, è stato in maniera inconferente coinvolto nel provvedimento l’ex Capo Dipartimento dell’Organizzazione giudiziaria del Ministero della giustizia solo perché interlocutore accidentale in una conversazione telefonica intercettata sull’utenza di altro magistrato del Ministero della giustizia, indagato nell’inchiesta Toghe Lucane (pag. 442). Così, anche l’ex Capo di gabinetto del Ministro della giustizia (pag. 598).

Al pari, sono stati menzionati nel provvedimento i nominativi di magistrati, anche della Procura Nazionale Antimafia, per aspetti del tutto inconferenti e, comunque, estranei alle finalità di perquisizione e sequestro (pag. 403, 440, 1097 e 1126 ss.).

Altri magistrati - ex componenti del Consiglio superiore della magistratura o posti al vertice della struttura di segreteria dell’organo del governo autonomo – sono stati coinvolti in maniera scorretta ed allusiva nel provvedimento per il solo fatto di aver partecipato a convegni in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la giustizia (pag. 441).

Viene riportato un incontro che sarebbe avvenuto (pag. 463 s.) tra l’ex Presidente dell’A.N.M., l’ex Ministro Mastella ed Antonio Saladino che non ha alcuna rilevanza ai fini del provvedimento di perquisizione e sequestro. Viene riportata integralmente e sempre in maniera del tutto inconferente la deposizione dell’ex Presidente dell’A.N.M., contenente anche informazioni sui costumi sessuali degli appartenenti ad una associazione cattolica (Memores Domini), sollecitate dal magistrato inquirente (pag. 474 s.).  

Altri magistrati ancora - tra cui un componente del C.S.M. - sono stati menzionati in maniera inconferente ed allusiva nel provvedimento nell’ambito della lunga deposizione dell’ex presidente dell’A.N.M. (pag. 497, 1273, 1279 e 1282), per il solo fatto di essere amici e colleghi di persone che conoscono indagati.

Sono stati menzionati a sproposito, sempre con venature allusive, diversi magistrati, anche ex componenti del C.S.M. che, direttamente o indirettamente, hanno sostenuto la nomina del dott. Murone, indagato nell’odierno procedimento, a procuratore aggiunto di Catanzaro (pag. 1027 s.).

Sono stati ritenuti inadempienti magistrati della Procura della Repubblica di Roma in relazione a richieste di copie di atti e di un procedimento penale istruito dal dott. De Magistris e poi da questi trasmesso per competenza (pag. 926 s.).

Vengono pesantemente criticati i magistrati dell’Ispettorato del Ministero della giustizia, tra l’altro, con l’asserzione che “da gennaio 2006 … hanno messo le ‘tende’ a Catanzaro .. mettendo ancora di più a rischio” l’incolumità del dott. De Magistris (pag. 1172 ss.).

Ed ancora, è stato coinvolto nella serie di denigrazioni di magistrati che si sono occupati della vicenda del dott. De Magistris, anche il difensore di questi in sede disciplinare, ora eletto giudice della Corte Costituzionale, la cui condotta è stata definita “censurabile”  in un passo del provvedimento di perquisizione e sequestro che ha riportato acriticamente le dichiarazioni del medesimo dott. De Magistris (pag. 1277 e, poi, pag. 1283).

Viene infine menzionato nel provvedimento, in maniera scorretta ed inutilmente allusiva, altro magistrato della Corte di cassazione, direttore della rivista Cassazione Penale, solo perché “parente stretto” di un avvocato, difensore di un indagato nel procedimento Why not (pag. 1282).   

In tutti questi casi ci si trova di fronte ad un comportamento da ritenere allo stato degli atti gravemente scorretto, tenuto dai dottori Apicella, Verasani e Nuzzi nei confronti dei molti magistrati non indagati e coinvolti a sproposito nel provvedimento giudiziario in questione, tutti riuniti loro malgrado in un gran “polverone”, difficilmente diradabile, dove ciascun lettore può dare come meglio ritiene la sua personale interpretazione delle migliaia e migliaia di tessere di un mosaico più adatto ad una  inchiesta giornalistica. Pure in relazione alle predette fattispecie disciplinari tipizzate, il dott. Apicella ed i suoi sostituti non si sono resi conto, nemmeno successivamente, della inconferenza di tutti quei richiami nell’economia dell’atto di perquisizione e sequestro e della conseguente, gravissima lesione del prestigio dell’ordine giudiziario nel suo complesso, resa più facile dall’indubbio richiamo mediatico della vicenda processuale.

 

Ai tre magistrati della Procura di Salerno si contesta anche di aver riprodotto integralmente, nel provvedimento di perquisizione e sequestro, gli atti dei procedimenti penali Poseidone e Why not, nonché di altri procedimenti, ancora coperti da segreto o comunque da divieto di pubblicazione, non essendo concluse le correlative indagini preliminari (artt. 1 e 2, primo comma, lett. u) del d.lgs. n. 109/2006).

Si è detto della riproduzione integrale nel provvedimento in esame, mediante la tecnica del copia-incolla, di numerosi atti dei procedimenti penali Poseidone e Why not. Nella nota del Ministro della giustizia si fa riferimento anche ad altri episodi, pure richiamati nel provvedimento giudiziario (alle pagine 611, 623, 717, 725 ss., 1152, 1155, 1255, 1256 e 1259).

Pur tuttavia, si osserva in questa sede che, di per sé, anche il provvedimento in esame era coperto da segreto e che, quindi, i dati e le informazioni processuali coperte dal segreto o comunque da divieto di pubblicazione non possono ritenersi divulgati, direttamente, dai dottori Apicella, Verasani e Nuzzi. Invero, non è possibile affermare che la divulgazione degli atti obiettivamente verificatisi, anche attraverso Internet, sia dipesa da una grave negligenza dei magistrati salernitani, pur se - tenuto conto del forte interesse mediatico della vicenda - questo poteva ritenersi prevedibile.  Invero, sul punto deve convenirsi con la difesa degli incolpati secondo cui una discovery anticipata non implica automaticamente anche la divulgazione degli atti “disvelati”, resi cioè conoscibili solo agli indagati ed ai loro difensori (cfr. Sez. Disc. CSM, n. 71 del 27 luglio 2008). 

Solo il segreto di Stato non è recessivo dinanzi al primario interesse della giurisdizione. Il problema deontologicamente rilevante, si ripete, non è connesso alla divulgazione di atti coperti da segreto o comunque da divieto di pubblicazione, ma è legato principalmente alla impertinenza ed alla assoluta irrilevanza, nel contesto delle perquisizioni e dei sequestri che i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi hanno ritenuto di disporre, di una serie sterminata di dati sensibili, atti, documenti, dichiarazioni, notizie riservate, comportamenti di magistrati e di altre persone non indagate, del tutto estranei alle finalità del provvedimento giurisdizionale ed in questo inseriti in maniera scorretta e con grave ed inescusabile negligenza.

Nessuna rilevanza ai fini cautelari si rinviene, poi, con riferimento alle modalità di perquisizione ed al denunciato spiegamento di forze dell’ordine che ha prodotto, inevitabilmente, un forte clamore ed un inusitato risvolto mediatico per l’indubbio interesse giornalistico e dell’opinione pubblica proprio di una vicenda che, a ben ragione e per diversi, evidenti profili, può catalogarsi come una delle più gravi ed intricate della storia giudiziaria italiana, sulla quale non può certo pretendersi che faccia luce l’odierno intervento settoriale di questa Sezione disciplinare, all’evidenza limitato ai profili deontologici eventualmente rinvenibili nelle condotte dei soli magistrati incolpati.

Infine, al solo dott. Apicella è addebitata la grave violazione di legge, determinata da negligenza inescusabile, che sarebbe consistita nell’aver omesso, tramite l’apposizione del visto al provvedimento di perquisizione e sequestro, l’effettivo controllo idoneo ad assicurare il corretto esercizio dell’indagine ed il rispetto delle norme sul giusto processo da parte del suo ufficio (artt. 1 e 2, primo comma, lett. g) del d.lgs. n. 109/2006).

Questa ipotesi sembra invero assorbita dalle altre più gravi fattispecie disciplinari contestate e dalla circostanza che il dott. Apicella si sia dichiarato, in tutto e per tutto, coassegnatario e diretto responsabile del procedimento in esame. Essa non può dunque essere valutata ai fini della emissione della richiesta cautelare.

 

Le condotte dei magistrati di Catanzaro.

 

Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha iniziato l’azione disciplinare nei confronti dei dottori Iannelli, De Lorenzo, Garbati e Curcio redigendo i provvisori capi di incolpazione e non chiedendo misure cautelari. Il Ministro della giustizia ha a sua volta formulato provvisori capi di incolpazione ed ha chiesto le misure cautelari del trasferimento d’ufficio per tutti i magistrati catanzaresi incolpati.

Vengono in buona sostanza addebitate ai quattro magistrati in servizio o applicati presso la Procura generale di Catanzaro condotte collegate alla adozione, il 4 dicembre 2008, del provvedimento di urgenza ai sensi dell’art. 321, comma 3 bis, c.p.p., con il quale essi hanno disposto il sequestro preventivo degli atti del procedimento Why not ed oggetto, per l’appunto, del provvedimento di sequestro due giorni prima eseguito dai magistrati di Salerno, dopo aver ipotizzato, nei confronti dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi i delitti di abuso in atti di ufficio ed interruzione di pubblico servizio (artt. 1 e 2, primo comma, lett. c), e), g) e ff) del d.lgs. n. 109/2006).

Anche in relazione a queste contestazioni va ripetuto per il Procuratore generale Iannelli quanto si è detto a proposito del Procuratore Apicella, e cioè che il dott. Iannelli ha mostrato di conoscere e condividere integralmente il contenuto del provvedimento di sequestro preventivo, non solo per averlo vistato nella qualità di Procuratore generale della Repubblica, ma anche in quanto ne ha seguito personalmente l’iter di formazione e predisposizione, condividendone la paternità e la responsabilità con i suoi sostituti, dottori De Lorenzo, Garbati e Curcio.

Sicché, il dott. Iannelli, al di là dell’apposizione del mero visto in calce al provvedimento di sequestro, deve considerarsene a pieno titolo coautore e giuridicamente responsabile, al pari dei dottori De Lorenzo, Garbati e Curcio.

Per il primo profilo della contestazione, va osservato che i quattro magistrati della Procura generale di Catanzaro erano tutti indagati dalla Procura di Salerno proprio in relazione, come si è visto, a reati connessi alle indagini Why not e, dunque, esistevano obiettive ragioni che avrebbero loro imposto di astenersi, ai sensi dell’art. 52, primo comma, c.p.p., dall’adottare il predetto provvedimento di sequestro in danno dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi, previa iscrizione dei medesimi nel registro degli indagati.

Invero, alla luce di una giurisprudenza più che consolidata della Corte di legittimità (da ultimo, Cass., Sez. Un. Civ., n. 25815 dell’11 dicembre 2007), deve ribadirsi in questa sede che, ancorché l'art. 52 c.p.p. preveda che “il magistrato del pubblico ministero ha la facoltà di astenersi ...”, il magistrato del pubblico ministero, svolgendo nel processo penale funzioni di parte pubblica, tenuta ad agire esclusivamente per il perseguimento dei fini istituzionali di giustizia ad essa assegnati dall'ordinamento, ha il dovere, sul piano deontologico e disciplinare, di fare formale istanza di astensione a norma dell’art. 52 c.p.p. tutte le volte che nel processo in cui interviene si manifestino situazioni obiettivamente suscettibili di far ipotizzare che la sua condotta possa essere ispirata a fini diversi da quelli di istituto e, in particolare, al conseguimento di obiettivi e al soddisfacimento di interessi personali (cfr. anche Cass., Sez. Un. Civ., n. 1821 del 29 gennaio 2007; Cass., Sez. Un. Civ., n. 1088 del 24 gennaio 2003; Cass., Sez. Un. Civ., n. 106 del 26 febbraio 1999; Sez. Disc. CSM, n. 47 del 3 maggio 2007; Sez. Disc. CSM, n. 127 del 16 settembre 2004).

Più in particolare, si è anche affermato che:

- la mancata astensione del magistrato può determinare responsabilità disciplinare anche quando l’astensione stessa non sia imposta dalla legge, ma risulti solo consigliata dalle circostanze del caso concreto, che rendano prevedibili sospetti di compiacenza o parzialità nell’esaminare e decidere una determinata causa, sì da compromettere il prestigio suo e dell’ordine giudiziario (Cass., Sez. Un. Civ., n. 2584 del 25 marzo 1988, cit.);

- in presenza di illeciti disciplinari del magistrato integranti inequivocabilmente violazione di regole basilari della deontologia professionale nello svolgimento dell’attività giudiziaria, la lesione del prestigio giudiziario è “in re ipsa” e deve essere ravvisata sulla base dell’accertamento della violazione (Cass., Sez. Un. Civ., n. 1088 del 24 gennaio 2003, cit.);

- la responsabilità disciplinare del magistrato può conseguire anche ad una condotta meramente inopportuna ed avventata, non necessariamente dolosa (Cass., Sez. Un. Civ., n. 1088 del 24 gennaio 2003, cit.);

- il fondamento dell’istituto dell’astensione - sia per il giudice che per il pubblico ministero - risiede essenzialmente nella doverosa necessità di preservare il valore della imparzialità e di impedire che influenze personali possano alterare il corso della giustizia, così salvaguardando il prestigio della funzione giudiziaria di fronte alla pubblica opinione (Sez. Disc. CSM, n. 138 del 25 febbraio 2003).

Del resto, questi precedenti giurisprudenziali sono del tutto in linea con il generale principio del nemo iudex in causa propria, applicabile all’evidenza anche al pubblico ministero, sancito sia nella nostra Costituzione e, particolarmente, nelle norme poste a tutela dei valori dell’imparzialità del giudice e del giusto processo (artt. 24, 25 e 111), sia nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (art. 6). Non può mai confondersi l’interesse privato con l’interesse pubblico.

La difesa dei magistrati della Procura generale di Catanzaro ha rimarcato che l’orientamento giurisprudenziale richiamato si è formato nella vigenza dell’abrogato sistema disciplinare e dell’art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 e che non può essere adattato in relazione al nuovo sistema disciplinare ed alla fattispecie tipica di illecito, prevista dalla lett. c) dell’art. 2 d.lgs. n. 109/2006, che fa riferimento alla “consapevole inosservanza dell’obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge”. Nel caso di astensione del pubblico ministero la previsione dell’art. 52 c.p.p. non potrebbe dunque essere completata, con il ragionamento ermeneutico sin qui pacificamente seguito, perché si è passati da una fattispecie atipica (art. 18 r.d.lgs. n. 51171946) ad una fattispecie tipica (art. 2 lett. c) d.lgs. n. 109/2006). Ritiene il Collegio di non condividere l’impostazione della difesa degli incolpati in quanto l’interpretazione estensiva viene operata non con riferimento alla fattispecie tipica disciplinare, ma con riferimento alla norma del codice del rito penale che impone, come precedentemente ribadito e pacificamente riconosciuto, l’obbligo per il pubblico ministero di astenersi dal compiere qualsiasi atto processuale nei casi in cui egli sia direttamente investito da un interesse personale quale, indubbiamente, si configura nel caso in cui si trovi in condizione di indagato in procedimento istruito proprio dai magistrati che egli stesso ipotizza, successivamente, quali autori di reato nei suoi confronti. Se così non fosse, l’art. 52 c.p.p. sarebbe all’evidenza incostituzionale in quanto norma lesiva proprio di quei valori costituzionali e sovranazionali sopra richiamati, posti a presidio del più elementare principio che vieta a ciascun cittadino e, in particolare, ad un magistrato della Repubblica, la possibilità di farsi ragione da sé.  

Gli incolpati hanno addotto l’intento di ripristinare la funzionalità del proprio Ufficio, a loro giudizio compromessa dal sequestro disposto dai colleghi salernitani e di evitare la dispersione e diffusione dell’imponente materiale probatorio e, segnatamente, dell’archivio di informazioni raccolto dal consulente tecnico Gioacchino Genchi, contenente dati sensibili sui traffici telefonici di una moltitudine di soggetti.

Le loro difese, invero, hanno più volte cercato di collegare le predette condotte con quelle dei magistrati di Salerno al fine di giustificare l’adozione di un sequestro, dagli stessi assistiti definito eccezionale e giustificabile solo in presenza di un atto, ritenuto abnorme e costituente possibile ipotesi delittuosa. Tali difese hanno anche richiamato l’art. 27 c.p.p. che consente l’adozione di misure cautelari da parte del giudice incompetente.

Ritiene questa Sezione - pur nei limiti cognitivi propri di questa sede (fumus boni iuris) - che detta previsione normativa non può, di per sé, giustificare l’adozione di un provvedimento che scardina i predetti principi Costituzionali e sovranazionali posti a base dell’esercizio di ogni funzione giurisdizionale e che non possono venir meno, peraltro, nemmeno in ipotesi eccezionali quali quelle ritenute dai magistrati di Catanzaro.

I dottori Iannelli, De Lorenzo, Garbati e Curcio, non osservando il dovere deontologico di astensione di cui all'art. 52 c.p.p., hanno pertanto violato il generale divieto di piegare la giurisdizione ad un interesse proprio in relazione ad un preteso torto subito ed hanno conseguentemente violato i doveri di correttezza ed imparzialità, arrecando un ingiusto danno ai magistrati di Salerno, indebitamente iscritti nel registro degli indagati della Procura generale di Catanzaro e determinando, sia pure per un breve periodo, come a loro volta avevano fatto i dottori Apicella, Verasani e Nuzzi, il blocco della giurisdizione.

Né può a buon diritto affermarsi, come traspare dalle memorie difensive dei magistrati calabresi, che il buon fine giustifica i mezzi, perché - a prescindere dal fatto che, in questa sede cautelare, il buon fine è ancora tutto da verificare - nella giurisdizione il buon fine non giustifica mai i mezzi, se questi non sono conformi al sistema e si concretano in atti giudiziari non rispettosi delle regole e dei principi fondamentali.

Ai magistrati di Catanzaro viene addebitata un’altra grave violazione di legge, sempre determinata da negligenza inescusabile, per la mancata osservanza dell’art. 11 c.p.p., che come noto regola la competenza funzionale per i procedimenti penali riguardanti i magistrati.

Detta norma, per giurisprudenza pacifica, si applica anche all’ipotesi che il magistrato sia la persona danneggiata dal reato (Cass., I Sez. Pen., n. 5464 del 22 ottobre 1996, dep. 12 novembre 1996; Cass., VI Sez. Pen., n. 9413 del 25 maggio 1994, dep. 31 agosto 1994; Cass. I Sez. Pen., n. 4244 del 22 novembre 1990, dep. 16 gennaio 1991) e vale sin dalla fase delle indagini preliminari (Cass. I Sez. Pen., n. 6183 del 9 dicembre 1998, dep. 22 gennaio 1999; Cass. I Sez. Pen., n. 1333 del 29 febbraio 1996, dep. 22 marzo 1996; Cass. I Sez. Pen., n. 464 del 4 febbraio 1993, dep. 4 marzo 1993).

Ne consegue che il difetto di competenza funzionale dei magistrati di Catanzaro e, comunque, della Procura generale di Catanzaro si appalesa con riferimento non solo e non tanto ai magistrati di Salerno ed alla loro condotta ipoteticamente criminosa, ma con riferimento agli stessi magistrati di Catanzaro, che non potevano in ogni caso iscrivere nel registro degli indagati i magistrati di Salerno, da essi stessi ritenuti autori di possibili reati di abuso d’ufficio ed interruzione di pubblico servizio. Invero, soggetti danneggiati da una ipotetica indagine illecita e frutto di reato sono proprio i magistrati indagati e non l’ufficio giudiziario al quale appartengono. In ogni caso, avrebbe dovuto essere la Procura della Repubblica, e non la Procura generale, competente all’iscrizione nel registro degli indagati dei magistrati della Procura di Salerno, provvedendo poi del caso alla trasmissione all’autorità giudiziaria competente. Ed invero, emerge in atti che, sebbene il Procuratore generale dott. Iannelli abbia parlato, prima dell’emissione del sequestro preventivo, con il Procuratore della stessa sede, dott. Lombardo, questi si è guardato bene dall’assumere qualsiasi iniziativa processuale (pag. 25 del verbale di audizione del dott. Iannelli dinanzi la Prima Commissione del C.S.M.), né può ritenersi che tale legittimazione, sia pure in via provvisoria e d’urgenza,  sia ricavabile dall’art. 12 c.p.p. non  potendosi rinvenire il nesso teleologico e funzionale  nel rapporto tra il reato commesso dai colleghi salernitani a Catanzaro con l’attività di indagine asseritamente legittimamente svolta dai magistrati di quest’ultimo ufficio.  

Con il c.d. “contro sequestro” i dottori Iannelli, De Lorenzo, Garbati e Curcio hanno in realtà disposto il sequestro preventivo di atti appena sequestrati da un’altra Autorità giudiziaria, con il paradosso dello stazionamento di due Carabinieri a garanzia del sequestro degli stessi atti procedimentali.

Ora, anche a voler prescindere da ogni altra considerazione sulla singolarità della vicenda, deve osservarsi che il provvedimento di sequestro preventivo di un fascicolo processuale e di un’intera attività giudiziaria si appalesa come del tutto abnorme. Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, come si è già detto a proposito dell’esame delle condotte dei magistrati salernitani, il sequestro preventivo non può mai avere ad oggetto una attività, ma soltanto il risultato di una attività, giacché tale misura cautelare non è destinata a svolgere una atipica funzione inibitoria di comportamenti rilevanti sul piano penale (Cass. II Sez. Pen., n. 10437 del 9 marzo 2006, dep. 24 marzo 2006; Cass., IV Sez. Pen., n. 4016 del 14 dicembre 1998, dep. 2 febbraio 1999).

A maggior ragione deve considerarsi abnorme, perché contra ius, un sequestro preventivo finalizzato ad una inibitoria di una funzione giurisdizionale, quali che siano le ragioni perseguite attraverso quel provvedimento di coercizione reale. Invero, un provvedimento di sequestro preventivo di un intero fascicolo processuale finisce, tra le altre cose, con il determinare una sorta di sospensione arbitraria del procedimento giudiziale a quest’ultimo affidato (Cass. II Sez. Pen., n. 10437 del 9 marzo 2006, cit.).

Ne consegue che, difettando ogni competenza da parte dei magistrati catanzaresi incolpati in relazione al disposto sequestro preventivo, essi appaiono responsabili anche della contestata ipotesi di ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria dei magistrati della Procura di Salerno.

L’inusitata reazione dei magistrati catanzaresi è dimostrata, inoltre, anche dalla circostanza che il dott. Iannelli, in data 3 dicembre 2008, ha rilasciato gravi dichiarazioni nel corso di una conferenza stampa in cui ha qualificato l’azione della Procura di Salerno come un atto “istituzionalmente inammissibile”, nonché “scandaloso ed eversivo”, a cui rispondere con tempestive iniziative “idonee al ripristino dei principi di legalità, indipendenza ed autonomia che hanno da sempre costituito il patrimonio culturale e morale dell’Ordine giudiziario”. Questa condotta del dott. Iannelli si è prestata a considerazioni dei mass media quali “guerra tra Procure” e “scontro tra magistrati”. Anche queste dichiarazioni, impulsive ed irresponsabili, hanno indubbiamente contribuito alla lesione del prestigio dell’ordine giudiziario (per questo al solo dott. Iannelli è addebitata la violazione anche degli artt. 1 e 2, primo comma, lett. v) del d.lgs. n. 109/2006).

In sintesi, pertanto, sussistono gravi elementi di fondatezza delle incolpazioni, che consentono di ritenere, allo stato degli atti (fumus boni iuris), che l’adozione del sequestro preventivo da parte dei magistrati incompetenti di Catanzaro, attraverso le modalità sopra descritte e, in particolare, la mancata astensione degli stessi, sebbene indagati dai magistrati di Salerno e sebbene parti danneggiate nella loro stessa prospettazione accusatoria, abbia leso nel caso concreto l’interesse alla imparzialità e terzietà del magistrato, cui corrisponde il diritto soggettivo alla corretta amministrazione della giustizia, determinando, soprattutto nell’ambiente degli uffici giudiziari catanzaresi, che possa impunemente violarsi il generale principio del nemo iudex in causa propria ogni qualvolta ci si convinca - non importa se a torto o a ragione - di aver subito una ingiustizia giudiziaria. Come tale, questa condotta si appalesa come gravemente lesiva dell’immagine della giurisdizione, idonea a compromettere il prestigio dell’Ordine giudiziario e, comunque, a recare pregiudizio alla credibilità della Magistratura, che va salvaguardata anche sotto il profilo della mera apparenza.

 

Le misure cautelari.

 

A parere della Sezione disciplinare si deve quindi concludere, sul versante della Procura di Salerno, per la sussistenza dei richiesti “gravi elementi” di responsabilità a carico dei dottori Apicella, Verasani e Nuzzi in ordine alle fattispecie  disciplinari di cui agli artt. 1 e 2, primo comma, lett. g), l), m), ff), d) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, come ritenuto nelle note del Procuratore generale presso la Corte di cassazione e del Ministro della giustizia.

I tre incolpati della Procura di Salerno risultano aver violato, in misura particolarmente grave, i doveri di correttezza, equilibrio ed imparzialità, nell’adozione del provvedimento di perquisizione e sequestro probatorio, in relazione a fattispecie tipizzate di illecito disciplinare, alcune delle quali (i comportamenti di cui alla lett. d) dell’art. 2 d.lgs. n. 109/2006) sanzionabili in misura non inferiore alla censura (art. 12, lett. e) del d.lgs. n. 109/2006).

In particolare, l’adozione - non necessitata e, comunque, sproporzionata, per forma e modalità di realizzazione - di un provvedimento giudiziario così eclatante ha avuto l’effetto di paralizzare l’attività giudiziaria di un altro ufficio giudiziario, quello della Procura generale di Catanzaro, con un inusitato vulnus, mai prima d’ora verificatosi nella storia repubblicana in termini così drammatici, della funzione giurisdizionale, fondamentale nel nostro Stato democratico e di pari dignità - secondo la nostra Costituzione - rispetto alle altre fondamentali funzioni, legislativa ed esecutiva.

La prevedibile pubblicazione in Internet di un provvedimento di perquisizione e sequestro così eclatante ha avuto l’effetto di diffondere nell’universo mondo atti destinati a restare riservati e notizie allarmistiche ed impertinenti riguardanti personaggi estranei ai procedimenti penali per cui si è proceduto e, particolarmente, le più alte cariche Istituzionali, magistrati, politici e personaggi pubblici nei confronti dei quali si sono insinuati dubbi di correttezza - senza la benché minima prova e, soprattutto, per quel che in questa sede maggiormente interessa - senza alcuna attinenza con le finalità proprie delle perquisizioni e dei sequestri disposti con il provvedimento giudiziario del 26 novembre 2008. Il provvedimento giudiziario reso dai dottori Apicella, Verasani e Nuzzi, costruito nel tempo e posto in essere con la piena consapevolezza degli effetti, si è quindi rivelato idoneo a ledere fortemente il prestigio, non solo dell’ordine giudiziario, ma delle intere Istituzioni e dei più rilevanti organi dello Stato.

La lunghissima esperienza professionale del dott. Apicella, entrato in magistratura con D.M. 1° agosto 1963, oggi dell’età di settantadue anni, nonché la sua posizione di vertice della Procura della Repubblica di Salerno e titolare esclusivo dell’azione penale  rappresentano ulteriori profili di gravità nelle condotte poste in essere dall’odierno incolpato. Peraltro, l’art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 106 del 20 febbraio 2006 demanda proprio al capo dell’ufficio giudiziario il “corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo” e, quindi, l’attenta vigilanza sulle attività che si svolgono nell’ufficio al quale è preposto. Non solo nessuna generica vigilanza ha posto in essere il dott. Apicella sui suoi sostituti, ma ha omesso del tutto di esercitare un controllo idoneo ad assicurare lo svolgimento corretto dell’indagine ed il rispetto delle norme da parte del suo ufficio, tale da impedire i comportamenti scorretti e gravemente negligenti, dei quali è stato invece egli stesso protagonista.

Pertanto, si concorda con la diversa valutazione, in termini di gravità, delle condotte deontologicamente rilevanti in questa sede cautelare, del Capo dell’ufficio e dei suoi sostituti, già effettuata - con conseguenze diverse in termini di richieste cautelari - sia dal Procuratore generale, sia dal Ministro della giustizia. Ne consegue che, mentre per il dott. Apicella - nei confronti del quale la richiesta è di sospensione dalle funzioni e dallo stipendio - la condotta deve ritenersi di tale gravità da imporre una prognosi, allo stato degli atti, di definitivo allontanamento dalle funzioni giudiziarie, per i dottori Verasani e Nuzzi - nei confronti dei quali la richiesta è di trasferimento provvisorio dalla sede e dalle funzioni - la condotta deve ritenersi di minor gravità rispetto a quella del loro Capo dell’Ufficio e tale da imporre allo stato una prognosi di sanzione grave (per legge, non inferiore alla censura), ma non di definitivo allontanamento dall’ordine giudiziario.

Anche sul versante della Procura generale di Catanzaro si deve concludere per la sussistenza dei richiesti “gravi elementi” di responsabilità a carico degli autori del provvedimento di sequestro preventivo in ordine alle fattispecie  disciplinari di cui agli artt. 1 e 2, primo comma, lett. c), e), g), ff) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, come ritenuto nella nota del Ministro della giustizia.

Gli incolpati della Procura generale di Catanzaro risultano aver violato, come i colleghi della Procura di Salerno in misura particolarmente grave, i doveri di equilibrio ed imparzialità, nell’adozione del provvedimento di sequestro preventivo, in relazione a fattispecie tipizzate di illecito disciplinare, alcune delle quali (i comportamenti di cui alle lett. c) ed e) dell’art. 2 d.lgs. n. 109/2006) sanzionabili in misura non inferiore alla censura (art. 12, lett. b) ed e) del d.lgs. n. 109/2006).

Quanto alla possibile diversa valutazione, in termini di gravità, delle singole condotte deontologicamente rilevanti dei magistrati calabresi, deve anzitutto osservarsi che, come per il dott. Apicella, per il dott. Iannelli, entrato in magistratura con D.M. 16 ottobre 1969, oggi dell’età di sessantaquattro anni, la lunghissima esperienza professionale, nonché la sua posizione apicale nella Procura generale della Repubblica di Catanzaro rappresentano ulteriori profili di gravità nelle condotte poste in essere dall’odierno incolpato. Anche qui deve osservarsi che l’art. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 106 del 20 febbraio 2006 demanda proprio al capo dell’ufficio giudiziario il “corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo” e, quindi, l’attenta vigilanza sulle attività che si svolgono nell’ufficio al quale è preposto. Ed anche in questo caso deve dirsi che non solo nessuna generica vigilanza ha posto in essere il dott. Iannelli sui suoi sostituti, ma ha omesso del tutto di esercitare un controllo idoneo ad assicurare il rispetto delle norme da parte del suo ufficio, tale da impedire i comportamenti gravemente negligenti, dei quali è stato invece assoluto protagonista.

Invero, emerge in atti che il dott. Iannelli ha avuto un ruolo fondamentale nella vicenda della emissione del provvedimento di sequestro preventivo, che - a differenza del provvedimento della Procura di Salerno - è atto impulsivo, non meditato e frutto di mancata ponderazione. Il ruolo centrale del dott. Iannelli si evince dalle missive inviate il giorno stesso dell’esecuzione delle perquisizioni e dei sequestri al Capo dello Stato, al Ministro della giustizia ed al Consiglio superiore della magistratura (con le quali informava i destinatari di fatti “gravissimi, eversivi delle istituzioni” e chiedeva “le iniziative più opportune per ripristinare con la massima tempestività le basi fondanti dell’Ordine Giudiziario”), dalle dichiarazioni rilasciate nel corso della conferenza stampa inopportunamente tenuta il giorno successivo (ove parla di atto “istituzionalmente inammissibile”, “scandaloso ed eversivo”, con riferimento al provvedimento della Procura di Salerno) e dalle missive successive al proprio provvedimento di sequestro preventivo, pure inviate a diverse Autorità. Peraltro, proprio l’aver coinvolto tempestivamente le predette Autorità mal si concilia con il sequestro in questione, adottato senza nemmeno attendere un segnale di risposta dagli stessi destinatari delle missive (segnale che è poi puntualmente intervenuto, sia da parte del Capo dello Stato, sia da parte del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, sia da parte del Consiglio superiore della magistratura). L’omesso ricorso alle legittime forme di contestazione consentite dall’ordinamento, da parte di un magistrato di qualifica ed esperienza come il dott. Iannelli, deve ritenersi particolarmente grave ed indice della incapacità di operare con equilibrio in condizioni di tensione ed in un ufficio “di frontiera” quale quello di Catanzaro.

In particolare, l’adozione - in violazione dei più elementari principi posti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo a tutela della imparzialità della giurisdizione - del provvedimento giudiziario a tal punto eclatante da essere impropriamente denominato contro sequestro ha avuto l’effetto di paralizzare l’attività giudiziaria di un altro ufficio giudiziario, quello della Procura di Salerno, con lo stesso inusitato vulnus, evidenziatosi in relazione alla condotta dei magistrati salernitani.

Come per il dott. Iannelli, anche per il dott. Garbati si individuano elementi tali da imporre, allo stato degli atti, una valutazione in termini di particolare gravità del comportamento negligente e di determinante contributo causale all’emissione del provvedimento di sequestro preventivo. Egli infatti svolge le funzioni di sostituto procuratore generale a Catanzaro sin dal 1993, ha ricoperto, sia pure per un breve periodo prima dell’arrivo a Catanzaro del dott. Iannelli, le funzioni di Procuratore generale f.f. (v. audizione dell’interessato dinanzi la Prima Commissione del C.S.M., pag. 4), è stato per un certo periodo l’unico magistrato a svolgere le indagini Why not, è dai primi di agosto 2008 il coordinatore del pool delegato alla trattazione delle stesse (pag. 39 del citato verbale di audizione) ed è stato particolarmente attivo, nei rapporti con la Procura di Salerno, prima, durante e dopo le operazioni di perquisizione e sequestro (pag. 11 ss. del verbale di audizione dinanzi la Prima Commissione del C.S.M.).

Più sfumato, allo stato degli atti, appare il contributo causale fornito all’emissione del sequestro preventivo da parte dei dottori De Lorenzo e Curcio, che non hanno mai rivestito incarichi apicali, dirigenziali o anche di semplice coordinamento sia nella Procura generale di Catanzaro che nelle indagini Why not. Il dott. De Lorenzo, in particolare, è semplice coassegnatario del procedimento in questione dal mese di dicembre 2007 (pag. 4 del verbale della sua audizione in Prima Commissione), mentre il dott. Curcio (che è entrato in magistratura con D.M. 7 giugno 1989 e che è assai meno anziano rispetto agli altri autori del sequestro), non è nemmeno un magistrato della Procura generale di Catanzaro, essendo un sostituto della locale Procura della Repubblica, applicato all’ufficio requirente di secondo grado soltanto dal 16 giugno 2008 e solo per l’indagine Why not (pag. 3 del verbale della sua audizione dinanzi alla Prima Commissione). Certo, sottoscrivendo il provvedimento di sequestro preventivo, i dottori De Lorenzo e Curcio se ne sono pienamente assunti la paternità e di questo se ne deve tenere conto. Quel che si evidenzia però è la circostanza, rilevante sotto il profilo dell’esame della gravità delle singole condotte e del fumus boni iuris - che pur sussiste anche in relazione all’operato dei dottori De Lorenzo e Curcio - che il contributo causale dei quattro magistrati catanzaresi può ritenersi diverso, soprattutto in considerazione della impulsività e della mancata ponderazione del disposto sequestro, da imporne in questa sede una diversa valutazione in termini di maggiore o minore gravità.

Ad ogni buon conto, poiché la richiesta della misura cautelare del Ministro è, per tutti gli incolpati della Procura generale di Catanzaro, quella del trasferimento provvisorio dalla sede e dalle funzioni, è sufficiente osservare in questa sede che, per tutti e quattro i magistrati, la condotta contestata è di minor gravità rispetto all’ipotesi di sospensione facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio, ma comunque tale da comportare, per legge, una sanzione non inferiore alla censura.

Su un piano più generale, deve poi osservarsi che in questa sede cautelare disciplinare non è in gioco l’attribuzione delle eventuali ragioni sostanziali agli uni o agli altri magistrati incolpati che in altre, competenti sedi saranno oggetto di doverosa valutazione. E’ per giunta evidente che l’adozione delle misure cautelari della sospensione di un magistrato e del trasferimento d’ufficio di altri magistrati, ai sensi del d.lgs. n. 109/2006, non concretando l'irrogazione di una sanzione disciplinare, non richiede un approfondito accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti (riservato al giudizio di merito sull’illecito disciplinare), ma presuppone esclusivamente una valutazione della rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, con la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (Cass., Sez. Un. Civ., n. 28046 del 25 novembre 2008; n. 25815 dell’11 dicembre 2007, cit.; Cass., Sez. Un. Civ., n. 14212 del 6 luglio 2005; Cass., Sez. Un. Civ., n. 13602 del 21 luglio 2004; Cass., Sez. Un. Civ., n. 12949 del 19 dicembre 1995). Una tale valutazione nel presente provvedimento non è affatto mancata e la stessa conduce a ritenere, appunto, la sussistenza in concreto di “gravi elementi” di responsabilità, a carico dei sette incolpati.

Quanto al “periculum in mora” assumono poi particolare rilevanza nella odierna valutazione, sia il breve lasso di tempo trascorso dall’epoca dei fatti per i quali i magistrati sono stati perseguiti in sede disciplinare (appena un mese e mezzo fa), sia il brevissimo periodo di tempo trascorso tra i fatti stessi e le richieste di misure cautelari (circa un mese), sia la loro risonanza nazionale ed anche locale, sia infine la circostanza che i comportamenti addebitati ai magistrati incolpati sono strettamente connessi con l’esercizio dell’attività giurisdizionale, sì da considerarsi minata la loro affidabilità e credibilità e da impedire loro di poter continuare a svolgere con sufficiente prestigio le proprie funzioni (Sez. Disc. CSM, ord. n. 47 del 3 maggio 2007; Sez. Dic. CSM, ord. n. 88 del 27 giugno 2001). Come già richiamato, devono poi essere considerati sia il pericolo della  protrazione e reiterazione di comportamenti analoghi a quelli passibili di sanzione che l’ulteriore deterioramento della situazione.

Nell’esame in concreto del “periculum in mora”, deve osservarsi anzitutto che, per il dott. Apicella, l’estrema gravità delle condotte contestate determina, allo stato degli atti, una valutazione di incompatibilità con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

Per i dottori Verasani, Nuzzi, Iannelli e Garbati emerge fortemente la caduta di autorevolezza, prestigio, credibilità dentro e fuori dei loro uffici giudiziari di appartenenza e, rispettivamente, a Salerno e Catanzaro, ambienti in cui alcuni di essi operano da anni e dove sicuramente - più di ogni altro ambiente giudiziario - si è determinato un forte disagio, anche a causa della rilevanza eccezionale che la vicenda giudiziaria ha assunto sul piano nazionale e delle inevitabili generalizzazioni operate dai mezzi di comunicazione, con inevitabili ricadute negative in punto di delegittimazione della giurisdizione in genere e di quella salernitana e catanzarese in particolare. L’enorme gravità del loro operato,  sintomatica anche di una loro inidoneità a svolgere in misura adeguata indagini investigative, ne determina anche l’incompatibilità con le funzioni requirenti in qualsiasi altro ufficio. In particolare risulta adeguata la misura cautelare del trasferimento funzionale e di sede in ragione della accertata necessità di rimuovere i suddetti dalle funzioni monocratiche di pubblico ministero che attribuiscono poteri esclusivi di indagine e, in presenza di taluni presupposti, anche fortemente invasivi della sfera personale. Inoltre, per i magistrati salernitani, il cattivo uso degli strumenti di indagine così come plausibilmente prospettato nella contestazione da un lato evidenzia la loro inadeguatezza   professionale e dall’altro impone di superare, a fronte di una così macroscopica caduta di equilibrio e terzietà, la remora al ricorso a provvedimenti cautelari in sede disciplinare che comporteranno necessariamente una diversa titolarità delle indagini.

In ordine al provvisorio allontanamento dalle funzioni esercitate, deve anche osservarsi che la condotta dei dottori Iannelli e Garbati, rivelatrice di non adeguata attenzione al rispetto di regole di particolare rilievo, nonché di insufficienti doti di diligenza e correttezza, si palesa incompatibile con l’esercizio delle funzioni requirenti in quanto evidenzia mancanza di serenità al momento di decisioni delicate quali quelle dell’iscrizione di un soggetto nel registro degli indagati, incapacità di distinguere il proprio interesse personale di indagati con l’interesse pubblico connaturato all’esercizio dell’azione penale, incapacità di gestire frigido pacatoque animo una situazione eccezionale e di obiettiva difficoltà per il proprio ufficio giudiziario. La condotta tenuta dai due sostituti salernitani, si palesa incompatibile con l’esercizio delle funzioni di pubblico ministero, che si caratterizzano per la loro autonoma ed immediata incidenza sui diritti fondamentali dei cittadini (cfr. Sez. Disc. CSM, n. 3 del 18 gennaio 2008, cit.), in quanto rivelatrice anch’essa di non adeguata attenzione al rispetto di regole di particolare rilievo, nonché di insufficienti doti di diligenza, correttezza e rispetto della dignità delle persone, in relazione però ad un provvedimento giudiziario non impulsivo, ma complesso, meditato e redatto in un arco temporale non breve (non meno di due mesi, come si evince dalle dichiarazioni rese dal dott. Verasani in sede di audizione dinanzi la Prima Commissione del C.S.M.).  

Per i dottori De Lorenzo e Curcio, invece, proprio tenuto conto del più limitato contributo causale all’emissione del provvedimento di sequestro abnorme ed il ruolo più defilato da loro rivestito nel corso dei pregressi contatti con l’autorità giudiziaria di Salerno e nella determinazione all’assunzione dell’abnorme provvedimento di contro-sequestro, si ritiene che non sussistono motivi di particolare urgenza che ne determinino l’immediato allontanamento dalla sede e dalle funzioni. Il disagio provocato anche dalla loro condotta, certo, è conseguente all’emissione di un atto grave e destabilizzante. Tuttavia, anche per le descritte modalità di redazione, precipitose e non meditate, l’ambiente giudiziario ove svolgono le funzioni è verosimilmente portato ad identificare i veri artefici dell’atto nelle persone dei dottori Iannelli e Garbati, che rivestono funzioni direttive o, comunque, di maggiore responsabilità nell’indagine. Per quanto riguarda, in particolare, il dott. Curcio deve aggiungersi, inoltre, che, come si è già detto, egli è solo provvisoriamente applicato alla Procura generale di Catanzaro e, a breve, tornerà a svolgere le sue funzioni nella stessa sede, ma presso altro ufficio giudiziario, la locale Procura della Repubblica. 

Pertanto, per il buon andamento della giustizia nei luoghi di cui si tratta, é particolarmente urgente provvedere, in parziale accoglimento della richiesta del Ministro della giustizia, disponendo in via cautelare che, ai sensi dell’art. 22, primo comma, d.lgs. n. 109/2006, il dott. Apicella deve essere sospeso dalle funzioni e dallo stipendio ed i dottori Verasani, Nuzzi, Iannelli e Garbati devono essere provvisoriamente trasferiti dalle rispettive sedi e dalle funzioni requirenti.

Per i dottori De Lorenzo e Curcio, invece, allo stato degli atti va rigettata la richiesta di trasferimento cautelare.

A conclusione di questa complicata vicenda cautelare, un’ultima considerazione si impone. Nessuno degli incolpati, salernitani e catanzaresi, nel corso delle diverse udienze camerali, ha dimostrato minimamente di essersi reso conto della eccezionale gravità del proprio comportamento deontologico che, violando fondamentali regole procedurali, ha determinato il concreto rischio di una vera e propria implosione della giurisdizione. Anche il comportamento processuale dei magistrati della Procura di Salerno, che hanno abbandonato l’aula di udienza dopo aver letto una dichiarazione, dimostra che essi hanno inteso difendersi “dal processo” e non “nel processo”.

L’essenza stessa della giurisdizione, invero, fonda sul rigoroso rispetto delle regole da parte di chi ne rappresenta il centro ed il cuore, e cioè il magistrato. Non vi è una giurisdizione credibile se non vi è rispetto delle regole da parte dei suoi protagonisti. Senza una giurisdizione credibile si pone in crisi una delle funzioni fondamentali di uno Stato democratico e si scivola via verso uno Stato di polizia, che è la negazione del moderno Stato di diritto ed è di ostacolo alla realizzazione di quel principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale, secondo cui la legge è uguale per tutti.

 

P.Q.M.

 

            La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura,

            visti gli artt. 13, secondo comma e 22, primo comma del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109;

            in parziale accoglimento delle richieste del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione e del Ministro della giustizia,

 

dispone

 

la sospensione cautelare facoltativa dalle funzioni e dallo stipendio nonché il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura del dott. Luigi Apicella, con corresponsione al medesimo di un assegno alimentare nella misura indicata nell’art. 10, secondo comma, del d.lgs. n. 109 del 2006;

            - il trasferimento cautelare e provvisorio dei dottori Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, sostituti procuratori della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, dalla attuale sede e dalla funzione requirente;

            - il trasferimento cautelare e provvisorio dei dottori Enzo Iannelli, procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro, e Alfredo Garbati, sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro, dalla attuale sede e dalla funzione requirente;

 

rigetta

 

la richiesta di trasferimento cautelare e provvisorio dei dottori Domenico De Lorenzo, sostituto procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro e Salvatore Curcio, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, applicato alla Procura generale presso la Corte di appello di Catanzaro.

            Manda alla Terza Commissione del Consiglio superiore della magistratura per i provvedimenti di competenza.

           

Roma, 19 gennaio 2009

 

 

     Il Relatore ed Estensore                                                     Il Presidente

              (Mario Fresa)                                                           (Nicola Mancino)

 

 

 

     Il Magistrato Segretario                                     Depositato in Segreteria

             (Antonio Corbo)                                          Roma,

                                                                                  Il Direttore della Segreteria

                                                                                       (Vincenzo Palumbo)

 

 

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