Proc. n. 114/2009 – Sentenza del 29.9.2009 - Presidente Mancino – Estensore Berruti.
Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali – Attività del pubblico ministero – Prosecuzione delle indagini dopo il rigetto della richiesta di proroga delle indagini preliminari – Grave violazione di legge – Sussistenza.
Costituisce illecito disciplinare configurante una grave violazione di legge determinata da negligenza la condotta dei magistrati dell’ufficio del pubblico ministero che, nonostante l’intervenuto rigetto da parte del g.i.p. della richiesta di proroga delle indagini preliminari a carico di indagati noti, diano inizio ad un nuovo procedimento penale (a carico di ignoti) per proseguire le indagini sulla medesima vicenda. (Fattispecie inerente a procedimento penale a carico di magistrato in servizio presso altro ufficio giudiziario ai sensi del’art. 11 c.p.p.).
i n c o l p a t i
dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. g) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109. In particolare, il primo, nella qualità di procuratore capo della Repubblica di ........ e, quindi, tenuto ad assicurare il corretto esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme processuali sul giusto processo (art. 1 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106); il secondo ed il terzo nelle loro qualità di sostituti procuratori assegnatari del procedimento penale n. 11972/06, pendente a ........ ai sensi dell’art. 11 c.p.p., nell’ambito del quale erano indagati i dottori °°°°°° e °°°°°°°, magistrati in servizio presso -------, nonostante il Gip di ........ avesse respinto la richiesta di proroga delle indagini preliminari, con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, hanno iniziato un nuovo procedimento penale (n. 9724/07), contro ignoti, per proseguire le indagini sulla stessa vicenda; ciò sull'assunto, meramente ipotetico, che la pubblicizzazione di atti riservati dell'inchiesta di cui erano titolari i suddetti dott.ri °°°°°°°° e °°°°°°°°, fosse da ascrivere ad ignoti magistrati …. Con tale condotta gli incolpati, da un lato, hanno eluso arbitrariamente il provvedimento del Gip, che aveva negato la proroga delle indagini preliminari (e, conseguentemente, le disposizioni sulla loro durata) proseguendole in ordine agli stessi fatti e, di fatto, nei confronti dei medesimi indagati; dall'altro hanno violato l’art. 11 c.p.p. non tenendo conto che lo stesso richiede, per la sua operatività, la formale assunzione da parte di un magistrato della qualità di persona indagata o di persona offesa dal reato, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
Notizia circostanziata dei fatti acquisita in data 5 giugno 2008.
Conclusioni delle parti
Il Procuratore Generale conclude chiedendo l’irrogazione della sanzione dell’ammonimento nei confronti di tutti e tre gli incolpati.
La Difesa conclude chiedendo l’assoluzione per insussistenza degli addebiti disciplinari.
Svolgimento del procedimento
Ferdinando °°°°°°°° e Armando °°°°°°°°, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano il primo, e Procuratore aggiunto presso lo stesso ufficio il secondo, si rivolgevano al Procuratore Generale presso la Cassazione, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei Magistrati ordinari, con esposto in data 5 giugno 2008.
Precisavano di essere stati a suo tempo formalmente indagati presso la Procura della Repubblica di ........, competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p., in due distinti procedimenti (nn. ….. RGNR), di cui erano titolari il Procuratore Capo dott. ********, ed i sostituti ********* e *****.
Le ipotesi di reato per le quali detta Procura procedeva nascevano da un procedimento presso….. del quale essi esponenti erano titolari, relativo a ………….(omissis) …... Gli esponenti precisavano che i procedimenti presso la Procura ........ si erano entrambi conclusi con decreto di archiviazione, adottati su conforme parere del Pubblico Ministero, rispettivamente in data 4 dicembre 2007 e 14 gennaio 2008.
Esponevano quindi, tra l’altro, che i predetti pubblici ministeri ........... avevano richiesto la proroga dei termini delle due indagini, ai sensi dell’art.406 c.p.p., e che tale richiesta era stata respinta dai due Gip competenti.
Ad onta di tali provvedimenti di rigetto, tuttavia, era accaduto che quanto al procedimento n. …, nato da due denunce-querele proposte da …., i quali all’epoca erano indagati entrambi per ……, la Procura ........, nelle persone del suo capo e dei due sostituti innanzi menzionati, aveva aperto un fascicolo contro ignoti a carico di magistrati, per l’appunto, da identificare, ma facenti parte degli uffici giudiziari ….., al fine espresso “della prosecuzione delle indagini volte a ricostruire i percorsi della fuoriuscita dagli ambienti della Autorità Giudiziaria di ----” degli atti processuali di cui si trattava. E detenuti, è il caso di precisare, dalla giornalista “”””””””, per l’appunto imputata.
La conclusione dei due esponenti, dottori °°°°°°°° e °°°°°°°°, era dunque per la strumentalità della nuova iscrizione a carico di ignoti, tendente a loro avviso a superare la disposta archiviazione, ovvero e prima ancora, la rigettata richiesta di proroga dei termini delle indagini. La conclusione è tra l’altro fondata sulla considerazione della natura eccezionale della deroga alla competenza del giudice naturale, di cui all’art. 11 c.p.p.
Quanto, ancora, allo stesso procedimento n. …, quindi, i due esponenti precisavano anche che la richiesta di proroga, respinta dal GIP come si è detto, per inesistenza della giusta causa voluta dalla legge, era stata motivata dagli inquirenti ........ con la necessità di attendere la decisione della Corte di Cassazione relativamente al ricorso presentato dalla stessa Procura avverso l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame di ........ aveva annullato il sequestro di atti disposto presso il giornalista #####, in tesi destinatario della fuoriuscita del materiale riservato dagli uffici ….. Invece, rilevano i due esponenti, poiché la Cassazione aveva rigettato già in data 16 febbraio 2007 il ricorso della Procura ........ avverso la predetta ordinanza del Tribunale del Riesame, non vi era alcuna possibilità di effettuare le acquisizioni documentali pretese. Peraltro la notizia della decisione della Corte Suprema doveva essere nota anche alla Procura anche perché pubblicizzata dai mezzi di comunicazione.
L’esposto quindi si trattiene nell’esame di circostanze di fatto che a dire dei due firmatari, correttamente valutate, avrebbero dovuto escludere la loro responsabilità quanto alla pretesa illecita diffusione dei documenti milanesi.
Quanto al procedimento n. ….., iniziato a seguito di una esposto a firma di ………, gli esponenti allegano la genericità delle affermazioni in esso contenute che in alcun modo avrebbero giustificato l’esercizio dell’azione penale.
Il Procuratore generale presso la corte di cassazione ha esercitato l’azione disciplinare nei confronti dei tre inquirenti ........ formulando la incolpazione in rubrica.
All’odierna udienza la causa è stata trattata come da verbale e decisa come da allegato dispositivo.
Motivi della decisione
1. Il collegio osserva preliminarmente che la vicenda deve essere inquadrata, per trarne le necessarie conclusioni disciplinari, anzitutto sullo sfondo dell’art. 11 del codice di procedura penale.
Tale norma, contrariamente a ciò che sostengono gli incolpati in una opinione più volte sottolineata dalle loro difese, è considerata dalla costante giurisprudenza della Corte Suprema, e con il conforto della altrettanto pacifica ricostruzione effettuata in più occasioni dalla Corte Costituzionale, portatrice di una disposizione eccezionale, applicabile dunque alle sole fattispecie cui è espressamente dedicata (cass. nn. 390 del 1991, 1276 del 1997, 26998 del 2007.Vedi quindi corte cost. sent nn.390 del 1991 e 432 del 1998 tra le altre).
Ciò vuol dire, dal punto di vista della disamina deontologica, che, indiscussa la premessa circa lo stato della giurisprudenza in tema di valutazione dell’art. 11 come eccezionale, ben sono possibili i dissensi dalla medesima purché essi non siano accompagnati o seguiti da comportamenti processuali del magistrato per l’appunto dissenziente diretti ad aggirare l’ostacolo costituito dalla interpretazione dominante. Qualunque interpretazione da chiunque provenga può essere disattesa, purché , e soprattutto quando si tratta della interpretazione della Corte Suprema, o del giudice delle leggi, in modo non puramente ripetitivo oppure ignaro della funzione nomofilattica o di quella di sistemazione costituzionale. Il magistrato che dissente pertanto ha l’obbligo, anzitutto deontologico, di esprimere consapevolezza della opinione che non condivide e dunque delle ragioni per le quali ritiene comunque di andare in avviso contrario.
2. Ciò premesso osserva il collegio che il processo penale è attività diretta ad accertare una responsabilità individuale nelle forme e secondo le competenze stabilite dalla legge.
Il magistrato che é competente “in deroga”, ovvero, come nel caso che ne occupa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 c.p.p., può ben ritenere, ad onta della opinione dominante, di poter agire come fosse titolare di una competenza naturale, ma attraverso mezzi processuali che tale sua opinione particolare facciano emergere in quanto diretta, ad esempio, ad ottenere un mutamento di orientamento, e mai invece utilizzando gli strumenti del processo fuori della loro funzione, come essa emerge dal diritto vivente.
Il collegio non ignora la portata di una simile affermazione, dal momento che essa comporta di valutare la esenzione dalla responsabilità, che è costituita dall’esercizio della attività interpretativa. Ritiene peraltro che questa non si possa identificare in ogni possibile percorso mentale del giudice, ma che invece debba essere intesa, per risultare tale da dare vita alla detta esenzione, conforme ai protocolli della professione magistratuale. Leggibile, dentro il singolo processo, come frutto di una scelta interpretativa autentica, opinabile in quanto tale, ma attendibile anche in quanto vada oltre la mera ripetitività assertiva di una opzione già non condivisa.
La libertà interpretativa del giudice non è identificabile con l’esercizio di una volontà: la decisione giudiziaria in un sistema basato sulla fedeltà del giudice alla legge è, anzitutto atto di cognizione del comando della legge. Spetta dunque al giudice della deontologia di accertare, nel contesto del singolo processo, se il percorso decisionale di ogni scelta attuativa della legge abbia rappresentato legittimo esercizio della giurisdizione, ovvero invece abbia dato luogo ad una caduta di professionalità grave ed inescusabile.
Ritiene il collegio che il rango del principio del giudice naturale e la evidente conseguenza dell’uso arbitrario della deroga di cui all’art. 11 c.p.p. rappresentato dalla moltiplicazione delle indagini nelle quali siano coinvolti magistrati con conseguente perdita di credibilità della funzione giudiziaria e proliferare di conflitti , impongano un primo esame degli istituti processuali coinvolti nelle singole vicende della cui rilevanza disciplinare si discute.
2.a. La proroga dei termini delle indagini di cui all’art. 406 c.p.p. è istituto di delicata ricaduta processuale già nella sua naturale espressione, ovvero nel caso di richiesta avanzata dal giudice naturalmente competente. Essa in quanto è strumento che si pone in qualche misura in contrasto con la definizione più rapida del procedimento. Si giustifica pertanto solo in ragione di una riscontrabile esigenza di giustizia,prevista dalla legge e non può collegarsi ad una mera esigenza investigativa, peraltro genericamente intesa.
La proroga, inoltre, benché possibile anche nei confronti di ignoti, come rilevano le difese degli incolpati, é concessa pur sempre per le stesse ragioni per le quali è autorizzabile nei confronti di incolpati noti (vedi cass. n. 28700 del 2005). Dunque se è possibile che un’ indagine che deve terminare nei confronti di imputati noti per scadenza del termine ,possa essere prorogata nei confronti degli stessi ed altresì di imputati ignoti, ben diverso è il caso di un’indagine dalla quale sono usciti gli imputati noti, ovvero è certo che debbano uscire con la archiviazione nei loro confronti, ma invece si ritenga,da parte del P.M. di indagare nei confronti di altri possibili e per ora ignoti colpevoli. In tal caso solo al P.M. naturalmente competente è consentito di chiedere la proroga nei confronti dei soli ignoti. Non invece al P.M. eccezionalmente competente, giacché si tratterebbe di ulteriore deroga alla competenza naturale, non giustificata dal presupposto della stessa. Ed è ben chiaro che tale presupposto deve essere sussistente, e non meramente ipotizzato, e pertanto da accertare nella sua eventualità. Altrimenti si perverrebbe alla incontrollabilità assoluta delle deroga, e dunque all’annullamento del principio del giudice naturale.
Infine, tutto ciò per trasmodare dalla irregolarità processuale, alla quale reagire con i mezzi delle impugnative, a quella deontologica che metta in campo il sistema disciplinare, deve anzitutto dimostrarsi come conseguenza di una strumentalizzazione, consapevole o colpevole, del proprio potere, da parte del giudice competente ex art. 11 c.p.p..
3. Alla stregua di tali premesse il collegio ritiene anzitutto frutto di grave negligenza l’iscrizione di un procedimento a carico di ignoti magistrati …… (RG n. 11972 del 2006) avvenuta a seguito ed ad onta del rigetto dell’ istanza di proroga che, come sostengono gli esponenti in un’ argomentazione di cui si è dato conto in narrativa,e come la motivazione pure richiamata della istanza esprime, mostra in realtà l’intento di pervenire allo stesso risultato cui si tendeva con l’istanza di proroga dei termini dell’indagine, già rigettata dal GIP.
In altri termini al rigetto della istanza i PM ........ni reagirono con una richiesta che ampliava la deroga alla competenza del giudice naturale, fino ad includere nella previsione dell’art. 11 cpp il caso di una indagine per la quale la presenza di magistrati del distretto milanese era data per certa in modo assertivo. Essa era in realtà solo ipotizzata per fornire all’istanza una formale giustificazione giuridica. Tant’è che essa era formulata senza la allegazione di alcun fatto che facesse ritenere la presenza di un ignoto, ovvero di un autore reale ancorché da individuare. Era infatti basata sugli stessi fatti oggetto del procedimento n.11972 del 2006 per i quali le indagini non erano più possibili. Dunque si chiedeva di indagare su fatti che in quanto relativi a due magistrati noti, non erano ancora in quanto tali indagabili. Assurdamente, in questo modo si tendeva a conferire al giudice competente per deroga, poteri più ampi di quelli in teoria spettanti, al giudice naturale. Giacchè questi, allorquando chiede di vedersi prorogare i termini nei confronti di ignoti agisce dentro la sua competenza e fornisce la ragione investigativa della sua richiesta. Allegando, il Pm in deroga ex art 11, gli stessi fatti riguardanti soggetti oramai non indagabili, finisce con il pretendere il riconoscimento di un “potere di indagine” a tutto campo.
A parere del collegio l’invocazione di uno strumento processuale fuori dei casi di legge ma solo in quanto dotato di una forza giuridica capace di assecondare un disegno personale di indagine attinente al suo merito, comporta, per la grave caduta di professionalità che sottintende, la non inescusabilità della negligenza. (Vedi per qualche riferimento a contrario la sentenza di questa Sezione n. 88 del 2008 nella quale viene esclusa la consapevole violazione dell’art. 11 c.p.p., e dunque la irregolarità deontologioca, nel caso in cui l’inquirente incolpato non abbia potuto in alcun modo dedurre dagli atti il coinvolgimento di un magistrato).
4. Completa e rafforza la diagnosi appena fatta la considerazione della motivazione con la quale gli odierni incolpati sostennero la domanda di proroga dei termini della indagine di cui si tratta. Si considerò giusta causa la necessità di attendere la decisione della Corte di Cassazione che come si è detto in narrativa riassumendo l’ istanza dei dottori °°°°°°°° e °°°°°°°°, al momento era stata già emessa e comunque era conoscibile. Anzi una elementare diligenza professionale avrebbe dovuto indurre i tre magistrati ad informarsi, prima di inoltrare l’istanza di proroga, circa l’eventuale avvenuta pubblicazione della decisione stessa..
5. Il Collegio ritiene provata l’accusa disciplinare relativamente a tutti i tre incolpati. E’ ben vero che il dottor ***** in quanto capo dell’ufficio era titolare esclusivo della iniziativa penale ma i dottori ****** e **** ove avessero in quanto contitolari inteso dissentire dalle scelte di cui si tratta avrebbero avuto ogni mezzo. Inclusa la rinuncia alla contitolarità. Al contrario la vicenda,prima ancora della leale condivisione espressa dai sostituti, fa ritenere che essi furono del tutto compartecipi delle scelte in questione.
Quanto alla graduazione delle responsabilità ai fini della determinazione delle sanzioni il collegio ritiene, conformemente alla richiesta del Pubblico Ministero, di infliggere la sanzione minima dell’ammonimento.
P.Q.M.
La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura,
Visti gli artt. 18 e 19 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109
dichiara
i dottori *********** ******* e *****, responsabili della incolpazione loro ascritta e infligge loro la sanzione disciplinare dell’ammonimento.
Roma, 29 settembre 2009
Il Relatore ed Estensore Il Presidente
(Giuseppe Maria Berruti) (Nicola Mancino)