I ritardi nell’attività giudiziaria e la responsabilità disciplinare
di Mario FRESA
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Incontro di studio sul tema
LA RESPONSABILITA’ DISCIPLINARE DEI MAGISTRATI
Firenze 6-8 ottobre 2014
I ritardi nell’attività giudiziaria
e la responsabilità disciplinare
Relatore:
Dott. Mario Fresa sostituto Procuratore generale
della Corte di cassazione
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. I ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni (lett. q d.lgs. 109/2006). - 3. L’art. 3 bis ed i ritardi nel compimento degli atti relativi alle funzioni. - 4. Il ritardo non reiterato nell’adempimento delle funzioni (lett. g e/o a d.lgs. 109/2006) ed il ritardo nella fissazione delle udienze (lett. g o q d.lgs. 109/2006 e art. 81 bis disp. att. c.p.c.). - 5. I doveri specifici a carico dei titolari di incarichi direttivi o semidirettivi e le relative omissioni (lett. dd d.lgs. 109/2006) - 6. Conclusioni - 7. Appendice giurisprudenziale.
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Premessa
Il tema di questa relazione, nel quadro delle patologie inerenti la lentezza della Giustizia italiana, riguarda specificamente le conseguenze disciplinari dei ritardi dei singoli magistrati nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, tema al quale è inevitabilmente collegato quello dei difetti organizzativi e nel controllo dei ritardi da parte dei dirigenti degli uffici giudiziari.1
La problematica deve necessariamente essere inserita, dunque, in un più ampio contesto, nel quale le cennate patologie devono essere lette e interpretate anche tenuto conto della complessiva situazione e della crisi di credibilità in cui versa, da anni, la Giustizia italiana, sicché può dirsi che le ragioni delle negative ricadute sulla efficienza e sulla funzionalità dei processi e, in definitiva, sul principio di legalità e di uguaglianza dei cittadini dinanzi la legge, soltanto in parte possono essere ricercate e riscontrate nei ritardi dei magistrati nell’adempimento delle loro funzioni.
Si assiste pertanto nel nostro ordinamento ad un paradosso. Per un verso, il 48% degli illeciti disciplinari individuati nel 2013 sono costituiti dal “Ritardo nel deposito di provvedimenti” e dalla “Tardiva o mancata scarcerazione” e, per altro verso, i magistrati italiani sono stati riconosciuti dalla Cepej, organo del Consiglio d’Europa, tra i più produttivi, al punto che, dati statistici alla mano, la magistratura italiana si pone in Europa al primo posto per produttività nella materia penale ed al secondo posto in quella civile, dopo la Russia.2
Non è certamente questa la sede per compiere un’analisi politica e sociologica sulle ragioni di questo apparente paradosso, ma senza dubbio l’analisi tecnico-giuridica sui ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni non può non partire dalla negativa considerazione che, negli ultimi anni, lo Stato italiano è stato ripetutamente e costantemente condannato dalla C.E.D.U. per la violazione dei termini di ragionevole durata del processo (art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) e la c.d. legge Pinto (legge 24 marzo 2001 n. 89 e successive modifiche) nulla ha risolto in merito al gravissimo problema dell’enorme arretrato tuttora esistente nelle nostre Aule di Giustizia.
La c.d. legge Pinto, invero, considera rispettato il termine ragionevole di durata del processo se esso “non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità” (art. 2-bis). La stessa disposizione di legge considera iniziato il processo, ai fini del computo della durata, “con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell'atto di citazione”. Inoltre, “considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni”. Infine, considera iniziato il processo penale “con l'assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l'indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari”.
Ai sensi del comma 2-ter “considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni” e, ai sensi dell’art. 2-quater, ai fini del computo, prevede che non si tenga conto del “tempo in cui il processo è sospeso e di quello intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l'impugnazione e la proposizione della stessa”.
Per quel che riguarda l’eventuale responsabilità disciplinare del magistrato ordinario, la stessa legge, all’art. 5, quarto comma - nel testo originario, entrato in vigore nel sistema abrogato di cui all’art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946, così come in quello attuale, modificato dal decreto legge 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 - prevede che “il decreto che accoglie la domanda è altresì comunicato (…) ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento”.
Si tratta di una norma rivelatasi di scarsa applicazione pratica per i profili delle sanzioni disciplinari, sia nel sistema disciplinare abrogato, ove l’azione disciplinare del Procuratore generale della Corte di cassazione era facoltativa, sia nel sistema disciplinare vigente, che - pur nella obbligatorietà dell’azione disciplinare da parte del Procuratore generale - prevede illeciti tipizzati, non coincidenti tout court con la violazione della c.d. legge Pinto.
Pur tuttavia, essa è sintomatica del fatto che la legge Pinto richiede anche una metodologia di verifica di eventuali condotte negligenti di singoli magistrati, causative di irragionevoli ritardi processuali, suscettibili di dare origine a procedimenti disciplinari.
In effetti, dall’intervento del Procuratore generale della Corte di cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario 20143 è emerso l’incremento del numero di decreti che sono pervenuti alla Procura generale (si è passati dagli 8913 del 2010 ai 10629 del 2011, ai 10917 del 2012 e, infine, agli 11069 del 2013, con un costante, progressivo aumento).
Si è cercato di razionalizzare il lavoro in questo settore e si è deciso di elaborare un modulo unico, consistente in una richiesta di informazioni standard basata su dati oggettivi e sintomatici dai quali si renda agevole trarre elementi di valutazione ai fini disciplinari. Questo metodo ha consentito di trasmettere al competente settore pre-disciplinare della Procura generale non poche istruttorie di procedimenti con magistrati segnalati ai sensi della legge Pinto a titolo di probabile condotta negligente, ma con scarse conseguenze perché le informazioni ricevute ai sensi della legge Pinto, nella grande maggioranza dei casi, sono inidonee al fine di iniziare un’azione disciplinare per ritardi nell’adempimento delle funzioni.
Innanzitutto vi è il fattore tempo, il che significa che, a parte i non infrequenti casi di magistrati usciti dall’ordine giudiziario o deceduti (circostanze non rare, trattandosi di procedimento presupposto che si è snodato per un considerevole numero di anni, cui si aggiunge quello del rimedio pecuniario), occorre considerare il termine decennale di improcedibilità dell’azione disciplinare (art. 15, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 109 del 2006), il quale decorre dal giorno del fatto, con la conseguenza che molte condotte negligenti non risultano perseguibili.
In secondo luogo, l’esame delle procedure comporta l’emersione di una serie di vicende che generalmente non posseggono alcuna attitudine ad integrare illeciti disciplinari: essendo passati, con il decreto legislativo n. 109 del 2006, da un sistema disciplinare atipico ad un sistema di tipizzazione degli illeciti, la gestione negligente del procedimento - quella appunto censurata dalla legge Pinto - è di per sé quasi sempre inidonea a configurare un illecito disciplinare.
Dall’esame dei decreti è emerso talvolta - ed è stato opportunamente segnalato - il deposito della sentenza con ritardo superiore all’anno, ma non si tratta per definizione di un ritardo “reiterato” e, comunque, per acquisire la conoscenza di tale tipologia di negligenza appare più agevole ricorrere alle periodiche comunicazioni del capo dell’ufficio.
Rimarrebbe uno spazio di verifica per quanto riguarda la possibilità di attribuire rilevanza disciplinare a talune condotte abitualmente desumibili dai decreti: i ripetuti e ingiustificati rinvii di udienze istruttorie ad intervalli superiori ai 15 giorni (art. 81 disp. att. c.p.c.), o i rinvii dell’udienza di discussione per più di una volta (art. 115, secondo comma, disp. att. c.p.c.), possono in via astratta integrare un illecito disciplinare, ma in concreto ciò si è rivelato arduo alla luce della reale situazione esistente negli uffici giudiziari e della stessa giurisprudenza disciplinare.
Per altro verso, non è stato ancora possibile verificare - attraverso i circuiti informativi implicati dalla legge n. 89 del 2001 - l’incidenza della violazione del c.d. calendario del processo (art. 81-bis disp. att. c.p.c.), anche in ragione della introduzione (ad opera del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) della relativa ipotesi disciplinare ora prevista nel secondo comma della norma di attuazione, applicabile solo per le cause introdotte dopo la sua entrata in vigore.4
Per quel che in questa sede rileva, le conseguenze della violazione della c.d. legge Pinto in materia disciplinare, si riverberano, in via esclusiva, nelle norme che disciplinano l’attività del magistrato nell’esercizio delle funzioni.
In particolare, esse rilevano, anzitutto, in quanto espressione della violazione dei fondamentali doveri di diligenza e laboriosità di cui all’art. 1 del d.lgs. 109 del 2006 e, conseguentemente, in quanto violino le disposizioni di cui all’art. 2, primo comma del medesimo d.lgs. n. 109, non soltanto nelle ipotesi più frequenti previste dalla lett. q), ma anche nelle ipotesi, che pure si esamineranno in questa sede, della lett. g), della lett. a) e della lett. dd), nonché dell’art. 18-bis disp. att. c.p.c..
Con una precisazione che, a mio parere, si rende opportuna in tema di interpretazione delle suindicate norme secondo i parametri dell’art. 111, secondo comma, Cost. e dell’art. 6, terzo comma, Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo. “La nostra Costituzione, all’art. 111, vede il processo come espressione di una funzione dello Stato. La Convenzione europea, invece, vede il processo - il giusto processo - come diritto dell’uomo: diritto fondamentale ed inviolabile. E’ una prospettiva straordinaria, segno della civiltà dei popoli”.5
La nuova visione euro unitaria del diritto, che dà maggior peso ai principi della correttezza processuale e dell’uniforme applicazione della legge,6 ha determinato una evoluzione che riguarda anche la figura e le funzioni magistrato italiano, teso oggi ad assicurare non soltanto l’osservanza e l’interpretazione della legge in generale ma, nei casi concreti, la sua corretta applicazione, onde rimuovere o limitare quelle situazioni che determinano una situazione, grave, di diseguaglianza ed una violazione evidente dei principi di prevedibilità e di certezza del diritto, in una nuova prospettiva, che travalica le frontiere degli Stati.7
Prima di passare all’esame specifico delle menzionate fattispecie ed all’esame dei più importanti arresti giurisprudenziali in materia, credo sia utile partire dall’esame delle statistiche della Sezione disciplinare nell’ultimo quadriennio consiliare.
Risulta che nel quadriennio 2010-2014 (dal 1° settembre 2010 al 24 settembre 2014) sono stati definiti complessivamente 662 procedimenti. A fronte di questo dato generale risulta in particolare che nello stesso quadriennio sono stati definiti, in relazione all’illecito disciplinare del ritardo nel deposito di sentenze o altri provvedimenti, 215 procedimenti, pari al 32,47% del totale (quasi un terzo del totale dei procedimenti disciplinari).
I 215 procedimenti in materia di ritardo nel deposito di provvedimenti si sono conclusi con:
n. 103 condanne: pari al 47,90% del totale;
n. 52 assoluzioni: pari al 24,18% del totale;
n. 60 non luogo a procedere: pari al 27,90% del totale (percentuale in cui sono ricomprese anche le estinzioni per cessata appartenenza all’ordine giudiziario).
Ancor più specificamente, le condanne hanno riguardato:
- in 1 caso ritardi inferiori all’anno ma relativi ad una percentuale del 74% sul numero totale di sentenze depositate all’anno (circa 60 sentenze l’anno in un triennio);
- in 31 casi ritardi con punte superiori all’anno (caratterizzati nella maggior parte dei casi da numerosissime reiterazioni, o da recidiva o da scarcerazione dell’imputato);
- in 27 casi ritardi con punte superiori ai 2 anni (anche questi caratterizzati da numerosissime reiterazioni, recidiva o scarcerazione degli imputati);
- in 21 casi ritardi con punte superiori ai 3 anni (ancora caratterizzati da numerosissime reiterazioni, o scarcerazione dell’imputato);
- in 8 casi ritardi con punte superiori ai 4 anni;
- in 6 casi ritardi con punte superiori ai 5 anni;
- in 8 casi condanne per ritardi con punte superiori ai 6 anni.
- in 1 caso condanna per ritardi con punte superiori agli 8 anni (che ha comportato la sanzione della perdita di anzianità per anni uno).
Come si vede, le condanne riguardano - ad eccezione di un solo caso - ritardi superiori all’anno e, sovente, superiori ai due o più anni.
Non va dimenticato, in questo quadro, la imponente opera di “filtro” delle innumerevoli notizie di illecito disciplinare e, in particolare, di illecito per ritardi, che compie da tempo la Procura generale della Corte di cassazione, già nella fase c.d. predisciplinare - che è fase amministrativa8 e non giurisdizionale - al fine di stabilire se sussistano o meno le condizioni per esercitare l’azione disciplinare.
Il filtro operato in questa sede si è rivelato efficacissimo.9 Nel corso del 2013 sono pervenute complessivamente 1373 notizie di illecito disciplinare (il 4% in più rispetto all’anno precedente ed il trend è in continuo aumento); le richieste di archiviazione - che come noto non vengono comunicate se non al Ministro della giustizia - sono state 1317 ed hanno riguardato circa 95% delle notizie di illecito. Negli anni passati, le archiviazioni hanno sempre costituito oltre il 90% delle notizie di illecito pervenute.
Nelle sommarie indagini preliminari, che caratterizzano la fase c.d. predisciplinare, la Procura generale della Corte di cassazione ha adottato un protocollo specifico, utile ad acquisire, prima dell’eventuale inizio dell’azione disciplinare, tutte quelle notizie utili a valutare la sussistenza di una possibile responsabilità del magistrato ritardatario.
Sicché il magistrato assegnatario del fascicolo predisciplinare si relaziona con i Capi di Corte titolari dei poteri di Sorveglianza sui magistrati del distretto ai sensi dell’art. 16 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 (il presidente della Corte d’appello per i magistrati giudicanti ed il Procuratore generale presso la Corte d’appello per i magistrati requirenti) onde poter acquisire con completezza ogni dato utile alle determinazioni circa l’inizio dell’azione disciplinare.
Specificamente, ai presidenti di Corte d’appello viene generalmente richiesto di trasmettere:
a) i prospetti statistici relativi al lavoro svolto dal magistrato destinatario del rapporto o dell’esposto contenenti la notizia di illecito disciplinare e dai magistrati che svolgono funzioni analoghe per il periodo attinto dalle suindicate relazioni;
b) il prospetto riguardante i soli provvedimenti depositati in ritardo di oltre il triplo nel medesimo periodo (calcolato al netto del periodo di decorrenza del termine di legge per il deposito dei provvedimenti); per ciascuno di essi si chiede di indicare il numero di R.G. del procedimento, il tipo di provvedimento emesso, la data di scadenza del termine previsto dalla legge per il deposito, il ritardo complessivo maturato (calcolato in giorni, a partire dalla data di scadenza del termine di legge);
c) il prospetto riguardante i provvedimenti per i quali è scaduto il termine per il deposito e che, alla data odierna, non risultino, in ipotesi, depositati (con indicazione del numero di R.G. e del tipo di provvedimento da emettersi);
d) una dettagliata relazione indicante l’esistenza di eventuali situazioni idonee ad escludere che i ritardi siano dovuti ad un’effettiva violazione dei doveri del magistrato (quali, indicativamente, il numero di udienze tenute nell’arco temporale considerato, l’impegno straordinario in processi di eccezionale importanza, il numero dei processi dei quali il magistrato è assegnatario ove sproporzionato in eccesso rispetto a quelli attribuiti ad altri magistrati) nonché ogni altra informazione ritenuta utile ai fini della valutazione della Procura generale in relazione alle determinazioni riguardanti l’inizio dell’azione disciplinare.
Ai Procuratori generali viene formulata analoga richiesta, naturalmente adattata alla peculiarità dei ritardi potenzialmente imputabili al pubblico ministero (ritardi nelle iscrizioni nel registro degli indagati, nelle indagini preliminari, nelle richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione, nelle richieste di scarcerazione, ecc.).
Ove le risposte dei Capi di Corte siano rassicuranti, si assiste a decreti di archiviazione che sono, sovente, provvedimenti molto articolati, in fatto e in diritto. A volte essi sono articolati come e quanto una sentenza della Sezione disciplinare, e ciò è fatto non solo al fine di evitare ingolfamenti processuali e procedimenti lunghi ed inutili, nella prospettiva assolutoria, ma anche allo scopo di evitare, quando è possibile, al magistrato oggetto di esposti o denunce, anche l’onta della semplice pendenza del procedimento disciplinare che, come noto, è già di per sé pregiudizievole per la carriera magistratuale, se non altro per i ritardi nella valutazione di professionalità, per eventuali conferimenti di uffici direttivi o semidirettivi, per le limitazioni in tema di incarichi extragiudiziari, ecc.
Nelle archiviazioni si ricorre sovente anche a motivazioni finalizzate ad evidenziare l’irrilevanza del fatto ex art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006, pur in presenza di fattispecie disciplinare integrata per gli aspetti oggettivi e soggettivi. Ed a volte essi vengono trasmessi al CSM affinché l’organo se ne occupi ai diversi fini delle valutazioni di professionalità.
In rarissimi casi, nell’arco dell’ultimo quadriennio, il Ministro della giustizia ha dissentito dal provvedimento di archiviazione del Procuratore generale, chiedendo al Presidente della Sezione disciplinare la fissazione dell’udienza di discussione orale.
Rispetto alla fase delle indagini successive all’esercizio dell’azione disciplinare, che richiedono un’attività non meno complessa, nel 2013 il numero dei procedimenti sopravvenuti è stato pari a 161, di cui 75 per iniziativa del Ministro e ne sono state definite 154. Va sottolineato che le azioni disciplinari del Ministro sono aumentate più del doppio rispetto all’anno precedente, nel quale erano state 33. Correlativamente, le azioni disciplinari per iniziativa del Procuratore generale sono passate dal 78% del 2012 al 53% del 2013.
Anche in questa fase giurisdizionale, si è rivelata efficace l’opera di filtro, spesso agevolata in questa fase dalle memorie difensive. Invero, nel 2013, a fronte di 154 procedimenti definiti, vi sono state richieste di rinvio a giudizio pari al 59%, richieste di non luogo a procedere pari al 34% e provvedimenti di riunione ad altro procedimento pari al 7%.
Concordo con l’orientamento dell’Ufficio giudiziario al quale appartengo. Sarebbe fuorviante trasferire completamente sull’iniziativa disciplinare il peso della riaffermazione dei principi deontologici di comportamento alla cui violazione rinviano molti di quegli esposti che vengono rivolti contro i magistrati.10
La magistratura - come spesso ha dimostrato di saper fare - deve essere esigente e rigorosa in primo luogo nei confronti di sé stessa, ma il principale presidio dei valori di indipendenza, imparzialità, correttezza, diligenza, professionalità, riserbo ed equilibrio, che fondano il corretto esercizio della giurisdizione, consiste nella condivisa assunzione di tali valori come parametri quotidiani ispiratori della propria condotta e metro reciproco di valutazione del comportamento tra gli stessi colleghi.
Prima della caduta patologica, che impone l’intervento degli organi ai quali è affidato il controllo disciplinare dei magistrati, rileva il costante rispetto del codice etico da parte di ciascuno. Non deve trarre in inganno la intrinseca imperfezione di una norma, come quella del codice etico, priva di sanzione. La tipizzazione del 2006 ha attuato un’osmosi non sempre felice tra norme deontologiche e alcune fattispecie disciplinari elaborate dalla precedente giurisprudenza e tra le due materie vi è indubbiamente una certa contiguità. Pur tuttavia, non bisogna confonderle tra loro e non è la giustizia disciplinare il solo, o il primo, terreno sul quale i valori della giurisdizione devono essere difesi.11
La formazione iniziale e permanente, affidata alla Scuola superiore della magistratura, le valutazioni di professionalità, l’esercizio della discrezionalità consiliare nella scelta dei dirigenti vengono prima e hanno forse maggiore importanza. Gli organi disciplinari intervengono dopo, quando tutti gli altri presìdi sono stati travolti e il danno è già stato fatto.
Non si può chiedere ad essi qualcosa di diverso e non devono essere caricati di funzioni ulteriori rispetto a quelle, già gravose, che l’ordinamento attribuisce loro.
Per quanto riguarda i ritardi, si osserva anzitutto che i dati allarmistici sovente diffusi non trovano riscontro nelle statistiche evidenziate, né in termini assoluti, né in termini relativi. È peraltro interessante rilevare che negli ultimi anni vi è stato un trend costante verso la riduzione delle azioni disciplinari esercitate per ritardi nel deposito dei provvedimenti, con la sola eccezione dell’anno appena decorso, che ha tratto origine da un consistente aumento di quelle esercitate dal Ministro della giustizia12 e delle conseguenti incolpazioni.
Queste ultime sono passate da 85 su un totale di 196 (pari al 43%) nel 2009, a 62 su 186 nel 2010 (33%), a 45 su 169 nel 2011 (27%), a 46 su 200 nel 2012 (23%), per risalire a 64 su 192 nel 2013 (33%).
In particolare, le incolpazioni relative a violazioni del dovere di diligenza, nell’anno decorso, sono state pari al 68%, ma ciò è dovuto soprattutto ad un incremento delle azioni iniziate dal Ministro, pari al 57% nel 2013.
Nel 2013, i due principali tipi di illecito individuati sono costituiti dal “Ritardo nel deposito di provvedimenti” e dalla “Tardiva o mancata scarcerazione”. Da soli rappresentano - come detto - il 48% del totale delle incolpazioni del 2013. In particolare, diminuiscono tutti gli altri tipi di illeciti, ma si registra un aumento significativamente rilevante del numero di incolpazioni per “Tardiva o mancata scarcerazione” dal 6% nel 2012 al 15% nel 2013, e ciò soprattutto per le intensificate ispezioni ordinarie concernenti questo tipo di illecito.
Tali dati - tenuto anche conto che solo in parte i relativi procedimenti si sono conclusi con sentenza di condanna - evidenziano che talune preoccupazioni inerenti un particolare rigore da parte della Procura generale della Corte di cassazione in materia non hanno ragion d’essere, risultando l’aumento delle incolpazioni legato a fattori contingenti, quali il numero delle ispezioni ministeriali effettuate e le dimensioni degli uffici che ne sono stati oggetto.
In altri termini, l’opinione secondo la quale la repressione dei ritardi nel deposito dei provvedimenti costituirebbe una priorità per la Procura generale è tanto diffusa quanto infondata. L’Ufficio - pur non sottovalutando il fenomeno in esame, nel rigoroso rispetto della obbligatorietà dell’azione disciplinare e secondo quanto imposto dal principio della ragionevole durata del processo entrato a far parte della Carta costituzionale - rivolge la sua vigile attenzione, soprattutto, a quelle condotte, funzionali ed extrafunzionali, realizzate anche da magistrati posti ai vertici di uffici giudiziari, lesive del prestigio e dell’autorevolezza dell’amministrazione della giustizia e, quindi, della sua credibilità ovvero denotanti patologiche cadute di professionalità e difetto di consapevolezza delle funzioni di cui si è investiti.
La Procura generale, in questa delicata materia, ormai da tempo si muove su ambiti valutativi ben definiti, operando un significativo filtro delle segnalazioni pervenute; ad esempio evitando, in linea tendenziale, di perseguire ritardi infra-annuali, valutando attentamente le condizioni soggettive e oggettive, facendo ricorso, anche nella fase delle sommarie indagini preliminari, all’applicazione dell’art. 3-bis del decreto legislativo n. 109 del 2006, in relazione al successivo art. 16, comma 5-bis, che consente di non procedere disciplinarmente per fatti di “scarsa rilevanza”.
Si è detto dell’apposita modulistica per la richiesta ai dirigenti degli uffici di informazioni che includano tutti gli aspetti personali e organizzativi dell’attività del magistrato cui sono addebitati i ritardi. Tale modus operandi ha trovato di recente autorevole avallo da parte delle Sezioni unite, che hanno valorizzato, ai fini della valutazione della “giustificabilità” dei ritardi, sia le situazioni familiari sia quelle organizzative dell’ufficio, con particolare riguardo alla adozione o meno degli opportuni rimedi ad opera del capo dell’ufficio, rendendo anche doveroso, da parte della Sezione disciplinare, l’esame della motivata richiesta di verifica della scarsa rilevanza del fatto, ai sensi dell’art. 3-bis.13
In tema di ritardi merita fin d’ora di essere segnalato un dato per alcuni versi preoccupante, che peraltro necessita di ulteriori approfondimenti: da un’indagine statistica fatta dalla competente Direzione generale del Ministero della giustizia, su richiesta della Procura generale, è emerso che il maggior numero di essi si concentra negli uffici giudiziari con minore scopertura di organico per quanto concerne il personale di magistratura.
Di qui, un’ulteriore importante considerazione, a corollario della precedente e delle riportate statistiche: non vi è alcun nesso causale tra il problema dei carichi di lavoro esigibili ed il problema dei ritardi nell’adempimento delle funzioni rilevanti ai fini disciplinari, che - come detto - vengono perseguiti e sanzionati solo in presenza di violazioni del dovere di diligenza che prescindono dall’esigibilità dei carichi di lavoro e che si rivelano in concreto di non scarsa rilevanza.
2. I ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni (lett. q d.lgs. 109/2006).
L’art. 2, primo comma, lett. q) prevede l’illecito consistente nel reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni e presume che sia non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto.
Il termine di adempimento del dovere del magistrato (sia giudice che pubblico ministero, nell’ambito delle rispettive attribuzioni) di emissione dei provvedimenti o di deposito delle relative motivazioni è fissato, di regola, da specifiche disposizioni di legge.
Nel settore civile, l’art. 275 c.p.c assegna al collegio, per la pronuncia della sentenza, termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine di deposito delle memorie di replica che le parti hanno facoltà di trasmettere ai sensi dell’art. 190 dello stesso codice; l’art. 281 quinquies c.p.c. assegna al giudice monocratico, nei casi di trattazione scritta o mista della causa civile, termine di trenta giorni per il deposito della sentenza della scadenza del termine per il deposito della memoria di replica; nei casi in cui il giudice civile, nella fase di trattazione della causa, riserva la pronuncia sulle richieste delle parti, il termine entro il quale deve sciogliere la riserva è di cinque giorni (art. 186 c.p.c.); nel procedimento di ingiunzione, la decisione deve intervenire entro trenta giorni dal deposito del ricorso (art. 641 c.p.c.).
Il termine per il deposito della sentenza civile della Corte di appello è pure di sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica (art. 352 c.p.c.); nessun termine è stabilito per il deposito della sentenza della Corte di cassazione, per la quale si ritiene applicabile per analogia il termine fissato per le sentenze della Corte di appello.14
Nel settore del lavoro e della previdenza e, comunque, nelle materie soggette al rito del lavoro (ad esempio, locazioni urbane, affitto di azienda) il termine è di quindici giorni dalla lettura del dispositivo in udienza, termine prorogabile dal giudice in casi di particolare complessità (artt. 430 e 429 c.p.c.). In grado di appello il termine ugualmente di quindici giorni dalla lettura del dispositivo in udienza (artt. 438 e 430 c.p.c.).
In sede di opposizione ad ordinanze ingiunzioni (legge n. 689 del 1981) il termine è di trenta giorni (art. 22 bis), mentre in grado di appello è di sessanta giorni (art. 23).
In materia fallimentare, in sede di impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo, il termine è di sessanta giorni (art. 99, undicesimo comma, L.F.); avverso il decreto di omologazione del concordato preventivo la decisione deve intervenire entro sei mesi (prorogabili una sola volta per sessanta giorni) dalla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura (artt. 161, 181 L.F.); avverso la dichiarazione di insolvenza delle grandi imprese il termine per la decisione è di quindici giorni dalla comunicazione del decreto del Ministro delle attività produttive che ammette alla procedura di amministrazione straordinaria (art. 4, primo comma, del decreto legge n. 347 del 2003, convertito in legge 39 del 2004). In tema di controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, bancaria e creditizia il termine è di trenta giorni dalla discussione orale (art. 16, quinto comma, del d.lgs. n. 5 del 2003).
In materia di provvedimenti sulla protezione dei dati personali il termine è di trenta giorni dalla lettura del dispositivo in udienza (art. 152, decimo comma, del d.lgs. n. 196 del 2003). In tema di equa riparazione per durata non ragionevole del processo, la decisione deve intervenire entro quattro mesi dal deposito del ricorso (art. 3, sesto comma, legge n. 89 del 2001).
Nel settore penale, il termine per il deposito della sentenza, ove non sia stata pronunciata sentenza con motivazione contestuale, è di quindici giorni (art. 544 c.p.p.) a meno che non si tratti di motivazione complessa per la quale il giudice abbia stabilito un termine diverso, che non può essere comunque superiore ai novanta giorni. Per i provvedimenti emessi in sede di udienza preliminare, ove non sia possibile la redazione immediata, il termine per il deposito è di trenta giorni (art. 424 c.p.p.). Per gli altri provvedimenti del giudice il termine per il deposito in cancelleria è di cinque giorni dalla deliberazione (art. 128 c.p.p.).
Nessun termine è esplicitamente previsto per il deposito delle sentenze di appello, ma si applica, per analogia, il termine previsto per le sentenze di primo grado. La motivazione delle sentenze emesse dalla Corte di cassazione deve essere depositata entro trenta giorni dalla deliberazione (art. 617 c.p.p.).
Parimenti, nessun termine è previsto in relazione all’emissione del decreto di condanna, o del proscioglimento dell’imputato a seguito di opposizione, nello speciale rito previsto dagli artt. 459 ss. c.p.p.. Invero, in un solo caso il giudice disciplinare si è occupato di ritardi nell’emissione di decreti di condanna (che avevano determinato la prescrizione dei reati), o dei relativi proscioglimenti, ritenendo l’insussistenza dell’illecito in esame, a causa della particolare e gravosa situazione dell’ufficio giudiziario di appartenenza dei GIP incolpati.15
Termini vari sono previsti anche per le attività del pubblico ministero che, ad esempio, è tenuto, salvo quanto previsto nell’art. 415 bis c.p.p., a chiedere il rinvio a giudizio entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato; il termine è di un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell’art. 407, secondo comma, lett. a) c.p.p. (art. 405, secondo comma c.p.p.). Il termine è prorogabile, su autorizzazione del giudice per un tempo non superiore a sei mesi e, in taluni specifici casi, la proroga non può essere concessa più di una volta (art. 406 c.p.p.). La durata massima delle indagini preliminari non può essere in ogni caso superiore a diciotto mesi e, per taluni reati specifici, a due anni (art. 407 c.p.p.). Entro gli stessi termini deve essere richiesta l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato (art. 408 c.p.p.).
Sul tema la Sezione disciplinare ha affermato che “Posto che il ritardo del magistrato del pubblico ministero nella definizione dei procedimenti penali, una volta scaduti i termini per le indagini, si traduce in una condotta a carattere omissivo collegata al permanere del dovere di provvedere all’adempimento omesso, e, dunque, cessa soltanto per il sopravvenire, in alternativa, del contegno attivo dello stesso magistrato, consistente nella definizione dei procedimenti, ovvero della contestazione dell’infrazione in sede disciplinare, in questa seconda ipotesi, siccome la formalizzazione dell’addebito non elimina il dovere di adempiere al compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, insorge, con decorrenza dalla data considerata nel precedente atto di incolpazione, una nuova condotta omissiva, che costituisce fatto diverso da quello esaurito a tale data” e che “Qualora il magistrato sia responsabile dell’illecito disciplinare determinato da reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, perché, ripetutamente negli anni, ometta di definire un numero elevatissimo di procedimenti penali dopo che siano da molto tempo scaduti i termini per le indagini preliminari, e dia invece priorità ad altri procedimenti oggettivamente più complessi, il successivo adempimento, nelle more del procedimento disciplinare, del dovere di provvedere in ordine a tutti i procedimenti in contestazione rende adeguata l’irrogazione della sanzione della censura, essendo la stessa quella minima prevista dalla legge”.16
Tale comportamento - secondo il giudice disciplinare qualificabile ai sensi della lett. q) - da un lato, implica una scelta di trattazione degli affari improntata non a criteri oggettivi e predeterminati, bensì assunta, tra l’altro, in violazione del criterio cronologico, il cui rispetto permette di evitare l’accumulo di ritardi di eccessiva ed irragionevole durata, contrastanti con i parametri fissati nella Costituzione italiana,17 come nella Convenzione europea per i diritti dell’uomo, e, quindi, la discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, nonché, dall’altro, per la sua valenza di diniego di giustizia lungamente protratto, incide negativamente tanto sull’interesse delle parti, quanto sull’interesse pubblico al controllo dell’operato del pubblico ministero da parte del giudice.18
Nel settore disciplinare, il termine per il deposito della sentenza è di trenta giorni (art. 19, secondo comma, d.lgs. n. 109 del 2006). E’ applicabile al procedimento disciplinare, in quanto non incompatibile, la norma del rito penale che consente al giudice di stabilire un termine diverso, non superiore ai novanta giorni. Certamente, il ritardo nel deposito della sentenza disciplinare può essere fonte di responsabilità disciplinare per il magistrato ordinario estensore (non certo per il componente laico estensore).
Tutti i termini di legge previsti per il compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni devono porsi in relazione anche ai principi sul giusto e rapido processo sanciti dalla Costituzione (art. 111, secondo comma) e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6, terzo comma).
Le norme sulla sospensione dei termini feriali (artt. 1 ss. legge 7 ottobre 1969 n. 742) non sospendono, secondo la giurisprudenza prevalente e comunque più recente, i termini per il compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni.19
Il tema è tornato particolarmente di attualità con l’entrata in vigore del decreto legge 12 settembre 2014 n. 132 (“Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”) che, con l’art. 16, introduce l’art. 8 bis, a modifica della legge n. 742 del 1969, il quale riduce a trenta giorni le ferie ai magistrati ordinari (oltre che ad altre categorie).
Sul punto, non sembra fuor d’opera richiamare un vecchio intervento giurisprudenziale,20 il quale esamina, “nel coacerbo indifferenziato dei ritardi, quelli che troppo a lungo protratti, grosso modo vengono a scavalcare l'anno e quindi il periodo feriale parte del quale, per legge è appunto riservato all'esaurimento del lavoro pendente”.
Afferma nell’occasione il giudice disciplinare: “Nelle ottimistiche previsioni del legislatore, prima di concedersi il meritato riposo, il magistrato dovrebbe esaurire le pendenze. Più realisticamente peraltro riesce inaccettabile che il magistrato parta per le vacanze senza avere quantomeno provveduto a redigere le sentenze introitate un anno prima (o peggio in epoca ancor più remota). Qui s'innesta, nel quadro della laboriosità, l'elemento della diligenza. Vuol dirsi cioè che anche il magistrato laborioso che accantona cause risalenti nel tempo è censurabile non perché lavora poco, ma perché lavora "male", incorrendo nella negligenza sanzionabile di apparire parziale a favore di taluno dei cittadini cui è chiamato a rendere giustizia, rendendola in tempi ragionevoli a lui solo o ad altri pochi o molti che siano fortunati come lui”.
E’ pacifico quindi che il periodo feriale dei magistrati, nel sistema in vigore antecedentemente il citato decreto legge n. 132/2014, era riservato all’esaurimento del lavoro pendente. Con la riduzione del periodo feriale a 30 giorni si pone ora il problema di specificare espressamente che durante le ferie dei magistrati è sospeso qualsiasi termine per il compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni.
Resta da vedere se questa sospensione dei termini relativi non solo al deposito dei provvedimenti, ma anche al compimento di qualsiasi atto relativo all’esercizio delle funzioni, possa essere valutata semplicemente sul piano giurisprudenziale o, come a me pare più opportuno, con circolare del Consiglio superiore della magistratura. Non ritengo necessario, invece, un ulteriore intervento legislativo in materia, attesa la previsione costituzionale di cui all’art. 36, ultimo comma, Cost.21
Il ritardo nel deposito di provvedimenti giurisdizionali, contestato al magistrato in sede disciplinare, si traduce in una condotta a carattere omissivo collegata al permanere del dovere di provvedere all'adempimento omesso e cessa per il sopravvenire, in alternativa, del contegno attivo dello stesso magistrato, consistente nella redazione e deposito dei provvedimenti riservati, ovvero della contestazione della infrazione nella predetta sede disciplinare. Nella seconda ipotesi, siccome la formalizzazione dell'addebito non elimina il dovere di emettere il provvedimento riservato, insorge (con decorrenza dalla data considerata nell'atto di incolpazione, ovvero, in ipotesi di incolpazione suppletiva formulata in dibattimento, sulla quale l’incolpato accetti il contraddittorio, dalla data della sentenza resa nella medesima udienza) una nuova condotta omissiva, che costituisce fatto diverso da quello a tale data esaurito. Ne consegue che il procedimento instaurato in relazione a questo nuovo fatto e l'eventuale nuova sanzione non comportano la violazione del divieto di reiterazione di procedimenti e di sanzioni (ne bis in idem).22
Sul punto, il giudice disciplinare è costante nel ritenere che si tratti di una infrazione permanente.23
Di qui l’inapplicabilità dell’art. 32 bis, secondo comma, del d.lgs. 109 del 2006 (“Per i fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore delle disposizioni del presente decreto continuano ad applicarsi, se più favorevoli, gli articoli 17, 18, 19, 20, 21, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37 e 38 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511”) nei casi di ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali), protrattisi prima e dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 109 del 2006 per i quali l’azione disciplinare sia iniziata dopo il 19 giugno 2006.24 Invero, laddove l’art. 32 bis sancisce il principio di ultrattività della legge anteriore più favorevole, intende per “fatto commesso” la condotta posta in essere e compiutamente esaurita prima del 19 giugno 2006. Alle condotte successive, quand’anche iniziate nel vigore della precedente disciplina ma protrattesi nel vigore della normativa vigente, si applicano esclusivamente le nuove disposizioni, senza alcuna possibilità di scissione, quanto all’apprezzamento della gravità del fatto, dell’unica condotta permanentemente lesiva dell’interesse tutelato.25
In casi di tal genere, infatti, per le condotte antecedenti la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 109 del 2006, pur tenuto conto del relativo art. 32 bis, non può porsi un problema di trattamento più favorevole della disciplina abrogata perché l’applicazione ad esse dell’art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 determinerebbe per l’incolpato, nella ipotesi di affermazione di responsabilità, l’irrogazione, nel procedimento disciplinare, di due sanzioni distinte, quella ai sensi della norma abrogata per le condotte antecedenti il 19 giugno 2006 e quella prevista dal nuovo sistema disciplinare per le condotte successive alla predetta data.26
La Corte di cassazione ha affermato che, ove il magistrato sia stato ritenuto responsabile, con sentenza passata in giudicato, dell’illecito disciplinare in esame, avendo posto in essere, in un determinato arco di tempo, la condotta di reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, è preclusa - in ragione del generale principio del ne bis in idem - la possibilità dell’esercizio dell’azione disciplinare per il medesimo illecito con riferimento ad un ulteriore ritardo ricadente nel medesimo arco di tempo.27
La preclusione non si estende, tuttavia, alle porzioni di detti ulteriori ritardi successive alla data di riferimento temporale dell’incolpazione, ancorché si tratti di ritardi cessati anteriormente alla pronunzia, passata in giudicato, sull’incolpazione medesima.28
La Sezione disciplinare si è ormai attestata costantemente su questi principi ed ha precisato che vi è la preclusione del giudicato soltanto quando il precedente giudizio disciplinare abbia avuto ad oggetto ritardi rilevati nel medesimo arco temporale e nel medesimo contesto funzionale cui si riferisca una nuova incolpazione, elevata a carico dello stesso magistrato per ulteriori episodi di ritardo riconducibili all'unitario illecito oggetto del precedente giudizio. Non vi è preclusione da giudicato, invece, quando le nuove contestazioni attengano ad un arco temporale successivo a quello oggetto della precedente contestazione.29
Deve ritenersi perciò superato un diverso indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale l’illecito permanente in esame si ritiene oggetto di contestazione c.d. "aperta", per cui il termine ultimo della protrazione della permanenza coincide con la pronuncia della sentenza di primo grado.30 Tale orientamento richiamava la giurisprudenza di legittimità in sede penale, secondo la quale in presenza di un reato permanente nel quale la contestazione sia effettuata, sotto il profilo temporale, con una formula aperta (ad esempio: “sino alla data odierna”, ma anche “notizia acquisita il ....”) il giudice può prendere in esame i fatti avvenuti successivamente alla data indicata nell'incolpazione senza la necessità di contestazioni suppletive.31
In ogni caso, non vi è violazione del diritto di difesa nel caso in cui il pubblico ministero in udienza, con contestazione suppletiva, estenda l’incolpazione a ritardi successivi a quelli in precedenza addebitati.32
La Corte di legittimità ha pure precisato che la circostanza che un segmento di una condotta protrattasi nel tempo sia stato ritenuto inidoneo a giustificare l’esercizio dell’azione disciplinare non comporta che di quel ritardo, ove si protragga nel tempo, non possa più tenersi conto ai fini della configurazione della fattispecie di cui all’art. 2, primo comma, lett. q), del d.lgs. n. 109 del 2006. Ne deriva che il provvedimento di archiviazione, ove riferito ad una condotta consistente nel ritardato deposito dei provvedimenti, preclude l’esercizio dell’azione disciplinare in un momento successivo soltanto nel caso in cui la permanenza dell’illecito disciplinare venga meno prima dell’adozione del provvedimento di archiviazione. In tutti gli altri casi in cui permanga, pur dopo il provvedimento di archiviazione, il ritardo nel deposito di provvedimenti già considerati in sede predisciplinare senza che sia stato ritenuto di dar corso all’esercizio dell’azione disciplinare, deve invece ritenersi che la condotta mantenga la sua unitarietà e che non si possa individuare una cesura nella condotta disciplinarmente rilevante per effetto dell’archiviazione, come se dal momento dell’adozione di questo provvedimento potesse iniziare a decorrere un nuovo termine per il deposito di quei provvedimenti.33
L’art. 12, primo comma, lett. g) del d.lgs. 109 del 2006 stabilisce che per il reiterato o (rectius: “e”)34 grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni si applica una sanzione non inferiore alla censura. Il relativo accertamento svolto dalla Sezione disciplinare ha natura valutativa e si sottrae al sindacato in sede di giudizio di legittimità ove la relativa motivazione non risulti incongrua o del tutto carente.35
La circostanza che il ritardo nel deposito di provvedimenti possa essere dipeso dalla gravosità e varietà dei compiti affidati al magistrato, o dal suo stato di salute, o da carenze organizzative dell'ufficio, o da altre cause che possano comunque giustificarlo, viene in rilievo ai fini della qualificazione del comportamento come illecito, ma non incide sulla sanzione minima, che il legislatore ha voluto - come è stato detto - che sia la “censura” quante volte il ritardo, apparendo, ad un tempo, reiterato, grave e ingiustificato, integri la fattispecie tipica.36
Più volte la Sezione disciplinare ha affermato37 che vi è qualcosa di burocratico nella irrogazione della sanzione della censura (e non di quella minore in assoluto dell’ammonimento, non più applicabile alle violazioni in esame) ad un magistrato che risulti comunque apprezzato nell’ambiente lavorativo e nei suoi precedenti, spiegati nell’abrogato sistema disciplinare, il giudice della deontologia ha sempre dimostrato di agire e di sentire all’unisono con l’ambiente ed il foro locale, non inasprendo il giudizio al cospetto di una mancanza dal significato comunque parziale.
Ora però la legge vieta quel che in taluni casi avrebbe potuto essere considerato opportuno, e cioè l’irrogazione della sanzione minima dell’ammonimento, in considerazione - ad esempio - del completo esaurimento dell’arretrato, della stima che ancora il magistrato può vantare nel suo ambiente giudiziario, del corretto comportamento processuale e della funzione anche rieducativa propria del processo disciplinare.
Nessun dubbio si pone la giurisprudenza disciplinare in ordine all’applicabilità dell’art. 3 bis (irrilevanza disciplinare del fatto) anche ai ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, ma la tematica sarà approfondita nel prosieguo della relazione.38
Tuttavia, a mio parere, potrebbe porsi una questione di legittimità costituzionale della norma in esame, laddove i ritardi, pur non essendo di scarsa rilevanza, e pur gravi e reiterati, non siano sintomatici di un particolarmente disvalore deontologico per il profilo della condotta materiale o anche per il profilo dell’elemento soggettivo, o infine in relazione alle particolari circostanze di tempo e di luogo che, pur non assurgendo a cause di giustificazione, possono essere prese in considerazione dal giudice ai fini del rispetto del principio di gradualità della sanzione. L’automatismo rigido nell’applicazione del minimo della sanzione, che non può essere inferiore alla censura pur in presenza di casi in cui sarebbe giusto ed equo irrogare la sanzione dell’ammonimento, fa apparire non manifestamente infondata la tesi della violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.
La norma richiamata vieta l’applicazione della sanzione dell’ammonimento pur in presenza di comportamenti che, in violazione del fondamentale dovere di diligenza di cui all’art. 1, siano sintomatici di un disvalore deontologico non particolarmente grave.
Dunque essa, così come è formulata, comporta l’equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, di un ampio ventaglio di comportamenti, che sono sì accomunati dai requisiti della gravità e della reiterazione, oltre che dalla mancanza di giustificazione, ma possono risultare di diversa rilevanza deontologica. Nella norma vi sono infatti inclusi comportamenti, meramente colposi, che consistono nella inosservanza di un dovere non sempre di particolare rilievo. Al giudice disciplinare è conseguentemente impedito di tener conto di volta in volta di queste differenze e di verificare se l’inflizione della sanzione minima dell’ammonimento sia sufficiente per il conseguimento dello scopo che le è proprio, cioè evitare il ripetersi di comportamenti del magistrato forieri di disagi per le parti processuali.
Pare pertanto vulnerato il principio della indispensabile gradualità sanzionatoria attraverso l’irrazionalità di ogni automatismo, pur parziale (come nella specie), enunciato più volte dalla Corte costituzionale con riferimento a norme in materia disciplinare analoghe a quella presa ora in considerazione.
Si deve rilevare che una analoga questione di legittimità costituzionale è stata già sollevata, sia dalla Corte di cassazione,39 sia dalla Sezione disciplinare del C.S.M.,40 in relazione primo comma dell’art. 13 del medesimo decreto legislativo il quale, dopo aver stabilito che la Sezione disciplinare, nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento d’ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, dispone poi che il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’art. 2, primo comma, lett. a), limitando appunto il principio della gradualità nell’applicazione della sanzione.
2.1 L’evoluzione giurisprudenziale in materia ed il principio del giusto processo.
Come più volte sancito dalla Suprema Corte - nel sistema disciplinare abrogato, come in quello vigente - il ritardo nel deposito dei provvedimenti, soprattutto se reiterato, sistematico e prolungato, in una misura che per quantità dei casi ed entità dei tempi del deposito è tale da violare la soglia della ragionevolezza e giustificabilità, comporta, di per sé, la lesione del prestigio dell’ordine giudiziario e, implicando la violazione di specifiche norme che impongono al riguardo l’osservanza di tempi precisi, vale ad integrare gli estremi obiettivi dell’illecito. Sicché, in tale prospettiva tradizionale, la difficile situazione dell’ufficio giudiziario di appartenenza, la inesigibilità dei carichi di lavoro, così come in genere le altre prospettazioni difensive, possono costituire causa di giustificazione o attenuante solo se i ritardi non superino i predetti limiti, in quanto l’efficacia scriminante di detti carichi cessa quando quel ritardo finisca per assumere la valenza di un diniego di giustizia lungamente protratto che la coscienza sociale percepisce come sintomo di inefficienza intollerabile, specie alla luce dell’obbligo di rispetto dei tempi processuali, necessario per assicurare “la ragionevole durata” legale del processo imposta dall’art. 111 Costituzione.41
La dottrina, invero, non ha mancato di rilevare come sia stata proprio la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata dei processi ad incidere in maniera profonda sull’illecito disciplinare concernente i ritardi nel compimento di atti relativi all’esercizio delle funzioni, con ciò diversificando sensibilmente la fattispecie tipica in esame dall’illecito atipico prima genericamente configurabile per la violazione dei doveri di diligenza del magistrato ai sensi dell’art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946.42
Sempre la dottrina non ha poi mancato di rilevare come la pregressa normativa fosse più favorevole rispetto a quella ora vigente.43
Del resto, è principio più volte affermato dalla Sezione disciplinare in applicazione del regime transitorio quello per cui le nuove norme fissano in maniera più puntuale e rigorosa i limiti dell’illecito deontologico per i ritardi nel deposito di provvedimenti e limitano indubbiamente la discrezionalità del giudice, più ampia nella vecchia normativa nella effettuazione del concreto apprezzamento della lesione del prestigio dell’ordine giudiziario e della credibilità della funzione giudiziaria esercitata. Inoltre, ai sensi della nuova normativa (art. 12), i comportamenti previsti dall'art. 2, primo comma, lett. q) comportano - come si è detto - una sanzione non inferiore alla censura.44
In particolare, con riferimento all’eventuale “onerosità” dei carichi di lavoro, la giurisprudenza di legittimità45 ritiene che essa possa assumere valore esimente del ritardo nel deposito dei provvedimenti solo nei limiti della ragionevolezza, sicché, ove, per numero dei casi ed entità dei tempi di deposito, detti limiti risultino superati, la lesione del prestigio dell'ordine giudiziario è di per sé integrata, senza possibilità alcuna di giustificazione (o con possibilità di giustificazione del tutto eccezionali e legate al concetto di inesigibilità).
Sempre con riferimento ai carichi di lavoro è stato ancora ribadito46 che il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari integra l'illecito in esame qualora risulti, oltre che reiterato e grave, anche ingiustificato, come tale intendendosi in ogni caso il ritardo che leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, mentre la scarsa laboriosità del magistrato, che è indice di non giustificabilità del ritardo, non costituisce “condicio sine qua non” ai fini della configurabilità dell'illecito.
Perché la fattispecie tipica di illecito disciplinare sia integrata, diversamente da quanto avveniva sotto la vigenza dell'art. 18 del r.d.lgs. 31 maggio 1946 n. 511, non occorre una indagine in ordine alla compromissione del prestigio dell'ordine giudiziario o sul venir meno della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere, atteso che tali aspetti non fanno più parte del fatto tipico che dà corpo alla violazione disciplinare.
La giurisprudenza formatasi in relazione alla previsione dell’art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 configurava l'illecito disciplinare nel comportamento del magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga in ufficio o fuori una condotta tale, che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario. La genericità di tale previsione consentiva di qualificare come illecito il ritardo nel deposito dei provvedimenti giudiziari solo subordinatamente alla condizione che ciò facesse venir meno la fiducia e la considerazione di cui il magistrato deve godere o compromettesse il prestigio dell'ordine giudiziario.
Il quadro normativo ha subito un mutamento radicale con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 109 del 2006 che ha eliminato ogni elemento di valutazione discrezionale della idoneità della condotta tipizzata a ledere il bene tutelato dalla norma abrogata.
Di qui plurime cassazioni di sentenze della Sezione disciplinare che - in sede di prima applicazione della normativa vigente - non hanno tenuto conto di questa decisiva novità ed hanno inserito nel fatto tipico previsto dalla legge elementi ad esso estranei, condizionando la sussistenza dell'illecito all'accertamento della scarsa laboriosità o negligenza dell'incolpato e richiedendo la valutazione della complessiva organizzazione dell'ufficio di appartenenza e di tutte le funzioni espletate dal magistrato, oltre a quelle interessate dal ritardo del deposito.
La Corte di cassazione ha così affermato ripetutamente che il ritardo nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari integra l'illecito in esame qualora risulti reiterato, grave e ingiustificato, prescindendo dall’esame della laboriosità del magistrato e da ogni altro criterio di valutazione.
Laddove poi non ricorra l'ipotesi contemplata nella seconda parte della disposizione - per cui si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto - la gravità del ritardo reiterato e non altrimenti giustificato non richiede una specifica dimostrazione. Circostanze di fatto quali l'eccessivo carico di lavoro possono bensì valere da causa di giustificazione, ma, fermo restando che esse devono essere adeguatamente dimostrate dall'incolpato,47 la soglia di giustificazione deve, di regola, ritenersi sempre superata in concreto, quando il tempo di ritardo leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, di cui alle norme costituzionali e sovranazionali vigenti, esponendo lo Stato italiano ad una possibile condanna per opera della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.48
Deve quindi ritenersi definitivamente superata la meno recente giurisprudenza formatasi nel vigore del sistema disciplinare abrogato.49
Peraltro, non sembra confliggere con il suddetto orientamento di legittimità, la considerazione che, quando il ritardo non è di per sé “irragionevole”, ancorché sia sistematico, non può da solo integrare un illecito disciplinare del magistrato dal momento che occorre anche stabilire se il ritardo in questione sia sintomo di mancanza di operosità oppure trovi giustificazione in situazioni particolari (che l'incolpato deve tempestivamente dedurre in sede di procedimento disciplinare attivando così il potere-dovere della Sezione disciplinare di accertarne la veridicità probatoria) collegate alla situazione di lavoro complessiva del magistrato tenendo presenti i profili qualitativi e quantitativi nonché gli aspetti inerenti la complessiva organizzazione dell'ufficio e le funzioni (ordinarie e, eventualmente, straordinarie) svolte dal magistrato.50
Sul punto, ad esempio, è stato affermato dalla Corte di legittimità - in un caso di annullamento della sentenza di condanna pronunciata in sede di merito - che la valutazione circa l’assenza di giustificazioni, quale requisito costitutivo della condotta, richiede un confronto, per ciascun anno contestato, tra i provvedimenti depositati in ritardo e quelli depositati regolarmente nei termini sì da potersi desumere, in relazione alla tipologia degli stessi, la percentuale dei provvedimenti depositati in ritardo grave rispetto al totale.51
E’ stato pure affermato - in un caso in cui la Suprema Corte ha viceversa cassato una sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice disciplinare - che il giudice del rinvio, nel valutare l'esistenza di circostanze che abbiano determinato in concreto un giustificato ritardo nel deposito dei singoli provvedimenti, costituite dall'eccessivo carico di lavoro, potrà anche utilizzare criteri comparativi, mettendo a confronto il numero dei provvedimenti depositati dall’incolpato con quelli depositati da altri magistrati dello stesso ufficio che abbiano operato in condizioni comparabili, beninteso con il rispetto del limite di giustificazione costituito dal carattere ragionevole del ritardo.52
Dunque, le prospettazioni difensive, generalmente attinenti al deficit di organico e di personale amministrativo dell’ufficio giudiziario di appartenenza, al personale impegno di lavoro ed anche ad impegni extragiudiziari obbligatori per legge,53 potrebbero assumere rilievo soltanto nella misura della “ragionevolezza” dei ritardi. Invero, il ritardo nel deposito dei provvedimenti, se prolungato in una misura che per quantità dei casi ed entità dei tempi del deposito è tale da violare la soglia della ragionevolezza e giustificabilità, implicando la violazione di specifiche norme che impongono al riguardo l’osservanza di tempi precisi, vale ad integrare - come si è visto - gli estremi obiettivi dell’illecito di cui alla lett. q). Sicché, i ritardi potrebbero essere giustificabili soltanto se non superino tali limiti di ragionevolezza e non assumano la valenza di un diniego di giustizia lungamente protratto, con riferimento ai parametri sanciti sia dalla nostra Costituzione (art. 111),54 sia dalla Convenzione europea per la salvaguardia per i diritti dell’uomo (art. 6).
Questo orientamento è stato anche confermato e precisato dalla Corte Suprema che, in relazione inizialmente ad attività giudiziaria nel settore civile, ha affermato che “In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati, ai fini dell'integrazione della fattispecie prevista dall'art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, la durata di un anno nel ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali rende ingiustificabile la condotta dell'incolpato, se non siano allegate da quest'ultimo e accertate dalla sezione disciplinare circostanze assolutamente eccezionali che giustifichino l'inottemperanza del precetto sui termini di deposito. Tale termine, infatti, è superiore alla soglia della ragionevolezza perché è ritenuto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo sufficiente, in materia civile, a completare l'intero giudizio di legittimità e, quindi, la stesura di qualsiasi provvedimento ed il suo deposito non possono in genere richiedere tempi superiori a quelli del processo di cassazione che comprende, con gli adempimenti procedurali e lo studio del caso, anche l'ascolto della difesa”.55
Successivamente, la Corte di legittimità ha più volte ribadito che, in tema di ritardi, il termine di un anno rappresenta un limite comunque invalicabile, salvi i casi eccezionali; si tratta di un termine assoluto, che già contiene in sé e assorbe il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto. La tempestività è richiesta nell’interesse dell’ordinamento, sicché è ininfluente che la sua mancanza eventualmente non comporti pregiudizio per le parti.56
In particolare, secondo la giurisprudenza europea in tema di ragionevole durata del processo, solo situazioni eccezionali e transitorie possono esimere lo Stato da responsabilità per la violazione del dovere di organizzare con efficienza l'amministrazione della giustizia.57
Nel settore penale sono mancati interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo altrettanto specifici e puntuali in relazione al termine di durata dei processi in genere e del giudizio di legittimità in particolare. Ciononostante, si è fatta strada in tema disciplinare, anche con riferimento a ritardi attinenti al settore penale, lo stesso indirizzo giurisprudenziale che fa riferimento al termine annuale come termine limite di “ragionevolezza” del ritardo.
Pertanto, oggi si ritiene che, anche nel settore penale, il comportamento del magistrato che ritardi il deposito dei provvedimenti in misura tale che, per quantità di casi ed entità dei ritardi, sia tale da violare la soglia della ragionevolezza, è di per sé espressione di una colpa, quanto meno in relazione ad un’errata organizzazione del proprio lavoro, pur nell’ambito del complesso delle condizioni soggettive e oggettive nelle quali il magistrato opera.58
In buona sintesi - e con le precisazioni che seguiranno - l’orientamento molto rigoroso del giudice di legittimità si puntualizza in relazione a due aspetti ben precisi: (a) ai fini della integrazione dell’illecito di cui all’art. 2, primo comma, lett. q, del d.lgs. n. 109 del 2006, diversamente da quanto avveniva nella vigenza dell’art. 18 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, non rilevano la sussistenza di scarsa laboriosità o di negligenza del magistrato, dovendosi piuttosto porre l’accento sul dato obiettivo della lesione del diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., e all’art. 6, paragrafo 1, della C.E.D.U.; lesione che è di per sé idonea ad incidere anche sul prestigio della funzione giurisdizionale;59 (b) la individuazione di una soglia di ritardo rispetto alla quale la scriminante, per poter operare, deve attingere il livello della inesigibilità non viola il principio di colpevolezza, neanche sotto il profilo della non prevedibilità della sanzionabilità della condotta;60 (c) i ritardi infrannuali non vengono più sanzionati61 e, di fatto, nemmeno perseguiti, se non - sporadicamente - su iniziativa del Ministro.
2.2 Il requisito della gravità.
Come si è già detto, il ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni è caratterizzato dalla concomitante presenza dei requisiti positivi della “reiterazione”, cioè della ripetizione nel tempo, in riferimento ad atti diversi, e della “gravità”, da qualificarsi in tal modo secondo i criteri stabiliti dal secondo periodo della disposizione in esame, nonché (ma, come si vedrà, solo per il giudice disciplinare e non per il giudice di legittimità) dalla “non giustificazione” dei ritardi stessi.62
Il concetto di gravità va riferito all'entità in termini temporali dei ritardi reiterati, oltre che eventualmente all'importanza dei procedimenti interessati.63 Può accadere, infatti, che la particolare rilevanza degli interessi in gioco o le possibili conseguenze del ritardo (ad esempio, in tema di libertà personale) siano tali anche da superare la presunzione normativa di non gravità.64
La disposizione normativa pone, dunque, una presunzione di non gravità nella ipotesi in cui, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo non ecceda il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto.
La deroga alla presunzione di non gravità del ritardo che non superi il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto non risulta essere stata mai applicata dalla Sezione disciplinare, anche se, in alcuni casi nei quali il ritardo era commisurato al compimento di atti per i quali la legge non stabiliva un termine per il deposito, il giudice di merito ha comunque effettuato in concreto e senza presunzioni di sorta una valutazione in ordine alla (non) gravità dei ritardi stessi.
Al contrario, non ogni ritardo che superi il triplo dei termini previsti dalla legge può definirsi, di per sé, grave. Se il legislatore ha previsto una presunzione di non gravità per i ritardi che non superino il triplo dei termini previsti dalla legge, non ha previsto l’automatica sussistenza del requisito della gravità per i ritardi che superino il triplo dei termini medesimi.
A tal proposito si è chiesto se sia configurabile l’illecito nei casi in cui per il compimento dell'atto la legge non prevede un termine entro il quale esso debba essere adottato (ad esempio, la fissazione dell'udienza camerale di discussione a seguito della presentazione di una richiesta di archiviazione opposta dalla persona offesa e la decisione di rigetto della richiesta di archiviazione, adottata con grave ritardo,65 i decreti penali di condanna, le misure di prevenzione, ecc.). L'assenza di un termine non può significare che l'atto possa essere adottato indipendentemente da qualsiasi riferimento temporale e che il relativo ritardo non sia mai qualificabile come grave. Che così sia lo dimostra, appunto, la definizione normativa di gravità, di cui alla seconda parte della lettera q), secondo la quale si presume non grave il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento, con la precisazione salvo che sia diversamente dimostrato. Il che significa che anche ritardi inferiori al triplo del termine di deposito possono assumere carattere di gravità. Se ne può correttamente desumere che anche nel caso di atti per cui la legge non preveda un termine per il compimento, il ritardo può integrare l'illecito disciplinare in esame ove se ne dimostri la gravità nella specifica vicenda processuale.66
Sulla interpretazione della dizione normativa (“ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto”) non è univoca l’interpretazione giurisprudenziale. In particolare, è controverso se il triplo dei termini vada calcolato, comprendendo o meno il decorso del termine stesso (ad esempio, se il termine per il deposito dell’atto è di trenta giorni, è controverso se il ritardo diventi grave dopo novanta giorni o dopo centoventi giorni). Per un verso, sia pure con un obiter dictum, il giudice disciplinare ha in un caso preso posizione espressa nel senso che debba essere sempre scomputato dai ritardi il termine di deposito;67 in un altro caso ha invece ritenuto di non poter scorporare il cosiddetto termine di tolleranza quando il deposito sia avvenuto dopo la scadenza dello stesso.68
La Procura generale della Corte di cassazione, conseguentemente, si è orientata a contestare il ritardo con riferimento al triplo del termine con decorrenza dalla scadenza del termine stesso (nell’esempio predetto, dopo centoventi giorni) e detta interpretazione appare condivisibile, anche perché in bonam partem.
La previsione di legge non sta a significare che non si possa legittimamente inquadrare sul piano sistematico l’illecito in esame tra gli illeciti di “pericolo presunto”,69 che deve essere però apprezzato sul piano quantitativo, ossia in relazione alla durata più o meno prolungata del ritardo stesso, con riferimento alla tipologia di atto cui si riferisce ed alla relativa disciplina legale del termine del compimento.70 Deve invero osservarsi che maggiore è la durata del termine di legge previsto per il compimento dell’atto funzionale, più rigorosa dovrà essere la valutazione della gravità del ritardo, una volta che questo abbia superato il triplo del termine di legge medesimo. Altro è il superamento del triplo del termine di cinque giorni previsto per una complicata ordinanza cautelare in sede civile, altro è il superamento di un termine già di per sé lungo, fissato in sede penale dallo stesso giudice che ha emesso una sentenza ritenuta complessa.
La gravità dei ritardi va, dunque, di volta in volta valutata in concreto ed un indice sintomatico della sussistenza del requisito in esame può rinvenirsi anche nel danno che l'incolpato abbia cagionato alla credibilità della giurisdizione e che lo abbia reso immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato (né più, né meno, di come previsto dall’abrogato art. 18 r.d.lgs. n. 511 del 1946).
Altro indice sintomatico della gravità del ritardo può rinvenirsi nella esposizione dello Stato italiano alla concreta possibilità di essere censurato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione al principio della durata ragionevole dei processi.
Ancora, i ritardi addebitati possono costituire grave violazione dei doveri del magistrato anche per effetto delle conseguenze che ne siano derivate sul piano giurisdizionale, in particolare con riferimento all'avvenuta scarcerazione di imputati di gravissimi reati per decorrenza dei termini massimi di durata della custodia cautelare.71
Di fatto, il ripensamento del criterio della gravità oggi va commisurato, nella quasi totalità dei casi portati al vaglio del giudice disciplinare, al parametro quantitativo dell'inutile decorso del termine di un anno dal momento in cui l'atto avrebbe dovuto essere compiuto, secondo una valutazione esterna, recepita dal giudice di legittimità e fornita dalla CEDU secondo un orientamento ormai risalente ma consolidato di integrazione del parametro costituzionale inerente il giusto processo (articolo 111) di fonte sub costituzionale, ma proprio del tema dell'equa riparazione (di quantificazione per relationem della durata secondo la scansione temporum dei tre anni in primo grado, due anni in appello ed uno in cassazione). La giustificazione concettuale di siffatta impostazione, e la nuova diversa lettura, vanno ascritte al principio del giusto processo, inteso anche come diritto ad ottenere una decisione in tempi ragionevoli, alla fine costituzionalizzato nell'articolo 111 della Carta Fondamentale, di recepimento, per quanto di interesse, dell'articolo 6 della Convenzione dei Diritti dell'Uomo.72
“Ulteriore, immediata conseguenza è che il bene tutelato è costituito dal giusto processo spostandosi, in attuazione del principio del carattere di interesse generale e solidaristico della giurisdizione, l'obiettivo della tutela dell'immagine dell'Ordine giudiziario a quello della collettività. Nello sviluppo logico dell'argomento si perviene alla conclusione che l'illecito è grave e decisivo ai fini della responsabilità quando l'attività richiesta era compiuta dopo l'anno dal momento in cui l'obbligo era sorto. La portata innovativa dell'orientamento recente trova definitiva esplicazione nella nuova ed affatto diversa lettura della giustificabilità della condotta omissiva con conseguenze sostanziali e processuali assolutamente palingenetiche rispetto al passato".73
2.3 Il requisito della reiterazione.
Nel sistema abrogato dell’illecito disciplinare atipico, anche un singolo episodio di violazione di doveri deontologici nello svolgimento dell’attività giudiziaria consistente nella mancata adozione di un provvedimento da pronunciare d’ufficio, poteva dar luogo a responsabilità, qualora denotasse la mancanza di una qualsiasi, pur minima, diligenza professionale, purché risultasse compiutamente accertata l’esistenza di tutti i presupposti che ne avrebbero imposto il compimento.74
L’illecito di cui alla lett. q) del d.lgs. n. 109 del 2006 ora prevede quale requisito di configurabilità della responsabilità la reiterazione dei ritardi (che deve essere considerato dal giudice disciplinare separatamente dagli altri concorrenti elementi della “gravità” e della “non giustificatezza”, tutti rilevanti per integrare la responsabilità, sia pure con funzione diversa). Il ritardo nel compimento di un solo atto dovuto nell’esercizio delle funzioni non può comportare responsabilità ai sensi della fattispecie in esame ma, semmai, quando la condotta omissiva abbia i connotati di un fatto diverso dal ritardo stesso, diverse fattispecie di illecito, quali, ad esempio, quella di cui alla lett. g) (nel caso in cui l’omissione integri una grave violazione di legge dovuta ad ignoranza o negligenza inescusabile), oppure (o anche) quella prevista dalla lett. a) (nel caso in cui la condotta omissiva arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti).75
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che “In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati, la fattispecie prevista dall'art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 richiede quale presupposto per la punibilità del ritardo nel deposito dei provvedimenti che esso sia oltre che grave ed ingiustificato anche reiterato, requisito quest'ultimo sussistente quando il ritardo si sia verificato più di una volta”.76
Non è quindi necessario che il ritardo sia “abituale”, essendo punibile un ritardo ove ripetuto, indipendentemente da qualsiasi tendenza personale ai ritardi evidenziata dalla pluralità delle infrazioni. Per la sussistenza del requisito della reiterazione, pertanto, non è necessario che i ritardi siano espressione di una negligenza costante e duratura del magistrato incolpato, essendo sufficiente che i tardivi depositi siano solo ripetuti.
Non è necessaria quindi una sistematicità del ritardo, ma occorre comunque che si tratti di reiterazioni significative.
La Sezione disciplinare è invece intervenuta più volte, anche di recente, nel senso che il ritardo - per essere sanzionato - debba essere “abituale”, affermando che, proprio ai fini dell’accertamento della significatività delle reiterazioni è determinante il rapporto tra l’arco di tempo considerato ed il numero di condotte reiterate, perché la frequenza dei ritardi è certamente il principale indice di abitualità. Del resto, poiché la dottrina e la giurisprudenza penali77 definiscono abituale l’illecito che richiede la reiterazione intervallata di condotte omogenee, è illecito abituale la condotta caratterizzata anche solo da due condotte le quali, isolatamente considerate, potrebbero non costituire delitto, ma che rinvengono la ratio dell’antigiuridicità nella loro reiterazione e nella persistenza dell’elemento intenzionale.78 Sicché, la rilevanza della reiterazione va valutata non soltanto con riferimento al numero delle condotte, ma considerando anche l'arco di tempo nel quale esse si inscrivono. Non sarebbe ragionevole equiparare due ritardi consumati a distanza di un quinquennio a due ritardi succedutisi nel giro di pochi mesi.79
Il problema, con riferimento al requisito della reiterazione richiesto dalla lett. q) del d.lgs. n. 109 del 2006 è allora di vedere se l’occasionalità di condotte episodiche sia o meno idonea ad integrare l’illecito disciplinare. L’interpretazione letterale della norma in esame sembra far propendere per la possibile configurabilità dell’illecito anche in relazione ad almeno due ritardi, pur occasionali ed episodici, salvo in questo caso la possibile irrilevanza disciplinare ex art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006.80
La non configurabilità del requisito in esame in termini di abitualità rende, tra l’altro, possibile che una serie di ritardi già sanzionati, ove non esauritisi con il deposito dei relativi provvedimenti o con la contestazione disciplinare degli stessi, possa essere oggetto di una ulteriore incolpazione in riferimento al periodo di tempo successivo alla data della precedente contestazione, ove esso sia naturalmente apprezzabile in termini di gravità e non giustificato. Tutto ciò, sempre che nel precedente giudizio disciplinare gli ulteriori ritardi non abbiano formato oggetto di estensione del capo di incolpazione sino alla data della sentenza disciplinare. In tal caso, se i ritardi oggetto della sentenza si protraggano ulteriormente, essi possono essere contestati per il periodo successivo alla sentenza, sempre che sussistano gli ulteriori requisiti della “gravità” e della “non giustificatezza”.81
Del resto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato (nel nuovo come nell’abrogato sistema disciplinare) che il giudicato assolutorio, formatosi per i ritardi nel deposito di sentenze nei quali l'incolpato sia incorso in relazione ad un certo arco temporale (ad esempio, nel periodo in cui il magistrato svolgeva funzioni di giudice di tribunale), non spiega effetto con riguardo ad altra incolpazione, riferita sempre al ritardo nel deposito di sentenze, ma in un periodo successivo (ad esempio, a periodo in cui il medesimo magistrato svolgeva funzioni di appello). Ciò in quanto la preclusione da giudicato opera soltanto nell'ipotesi di identità soggettiva e oggettiva e dunque non ricorre in caso di mutamento, anche solo parziale, di uno di tali elementi.
Nell’ipotesi in cui debba essere esclusa l'identità oggettiva dei ritardi, invece, non opera il divieto del ne bis in idem, tenuto conto del diverso arco temporale cui si riferiscono le diverse incolpazioni.82
E’ bene precisare, a questo proposito, che, nell’ambito del medesimo arco temporale contestato, il numero maggiore o minore non altera la nozione di reiterazione dei ritardi, né vale ad identificare distinti illeciti disciplinari: se è vero che il magistrato che sia incorso in gravi e reiterati ritardi può certo commettere altri illeciti di ritardo, è pur vero che diversi debbono essere gli intervalli di tempo all’interno dei quali cadono le distinte condotte di reiterazione. Pertanto, ulteriori ritardi che si collochino all’interno dello stesso intervallo di tempo già considerato in una prima contestazione non valgono ad identificare un diverso fatto di reiterati ritardi.83
Al contrario, nei più gravi casi di ritardo nel deposito di provvedimenti protratto per un ulteriore e consistente periodo anche dopo una prima contestazione, sono state adottate anche le misure cautelari della sospensione dalle funzioni e dallo stipendio, nella convinzione che la protratta condotta omissiva non può più essere sintomo di sola difficoltà nell’organizzazione del lavoro, ma costituisce un chiaro segnale di un atteggiamento indolente e superficiale, oltre che caratterizzato da grave negligenza.84
Si è anche affermato che in questi casi i ritardi “possono denotare carenze strutturali del magistrato in esame che accusa incapacità organizzative stratificatesi nel tempo tali da aver assunto una modalità quasi congenita del suo modo di operare”.85
La più recente giurisprudenza di legittimità apre, per così dire, al concetto di illecito, nella sua dimensione “orizzontale”, di “abitualità propria”, sia pur nella sua forma minimale della “reiterazione necessaria”, e cioè ad un concetto di condotte che, considerate isolatamente, non costituiscono illecito.86
Vero è che, da un punto di vista pratico, la questione così posta della riferibilità al concetto di “abitualità”, che è concetto inteso dalla Suprema Corte in senso diverso rispetto a quello penalisticamente rilevante, è priva di ricadute concrete in relazione alla verifica della sussistenza o meno del requisito della reiterazione.
Tra l’altro, in vicende in cui al requisito della plurima reiterazione dei ritardi, anche sotto il profilo del diverso arco temporale, si era unita la particolare gravità degli stessi, la Sezione disciplinare ha proceduto ad irrogare in almeno quattro casi la sanzione massima della rimozione.87
Le prime tre sentenze risultano tutte confermate in sede di legittimità (l’ultima è recentissima, depositata qualche giorno fa). In particolare, con i suoi plurimi interventi, le Sezioni unite hanno dapprima affermato che “In tema di procedimento disciplinare a carico dei magistrati, la valutazione della gravità dell'illecito, anche in ordine al riflesso del fatto oggetto dell'incolpazione sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell'istituzione, e la determinazione della sanzione adeguata - nel caso di specie, la rimozione - rientrano negli apprezzamenti di merito attribuiti alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi logico-giuridici”.88
Successivamente, la Corte di legittimità ha affermato che il d.lgs. n. 109 del 2006 non impedisce alla Sezione disciplinare di punire con la sanzione massima della rimozione il ritardo, grave e reiterato, nel deposito dei provvedimenti (nella specie, relativo al 90% dei provvedimenti depositati, con punte di circa sei anni), quando il magistrato già sia stato censurato per analogo illecito, e ciò in quanto l’applicazione della rimozione non è subordinata alla previa inflizione di una sanzione intermedia.89
2.4 Il requisito della mancata giustificabilità.
Secondo il costante orientamento della Sezione disciplinare l'eventuale giustificazione del ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni90 non è esterna alla fattispecie, come avviene quando un fatto, pur corrispondente alla fattispecie illecita, risulti tuttavia in concreto privo di antigiuridicità per il concorso di una tipica causa di giustificazione, come lo stato di necessità (art. 54 c.p.) o l'esercizio di un diritto (art. 51 c.p.).
Secondo il suddetto indirizzo la fattispecie in esame costituisce una ipotesi di antigiuridicità speciale, interna alla fattispecie tipica, come per gli illeciti penali avviene quando è la stessa norma incriminatrice ad esigere che il fatto venga per esempio commesso “abusivamente”, “arbitrariamente” o “illegittimamente”.91
Il giudice disciplinare afferma che sarebbe contraddittorio riconoscere che per l'esistenza dell'illecito sia necessaria “la concomitante presenza dei requisiti positivi della ‘reiterazione’ ... e della ‘gravità’ ... nonché del requisito negativo della ‘non giustificazione’”92 e poi negare che la “non giustificazione” sia elemento costitutivo della fattispecie.
La conseguenza pratica di questo orientamento è che l’onere di provare l'assenza dei fatti giustificativi allegati dal magistrato incolpato incombe comunque al Procuratore generale della Corte di cassazione, secondo i principi generali del processo penale, compatibili in sede di processo disciplinare.
Possono dunque venire in rilievo tutte le situazioni idonee ad escludere che il ritardo sia
dovuto ad una effettiva violazione dei doveri del magistrato. Deve trattarsi perciò di circostanze che risultino in rapporto di causalità specifica con il ritardo, come ad esempio, la situazione particolarmente difficile dell’ufficio di appartenenza, il numero delle udienze tenute nell'arco di tempo considerato o l'impegno straordinario in processi di eccezionale importanza (sempre che i contestati ritardi non abbiano negativamente inciso, per la loro particolare rilevanza, sul principio costituzionale ed eurounitario della ragionevole durata del processo).
La giurisprudenza di legittimità si è invece costantemente pronunciata nel senso che “In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati, la fattispecie prevista dall'art. 2, comma 1, lett. q) dell'art. 2 del d.lgs 23 febbraio 2006 n. 109 punisce il ritardo grave e reiterato nel deposito delle sentenze e dei provvedimenti, mentre l' "assenza di giustificazioni" non configura un elemento della condotta sanzionata, ma una causa di esclusione della punibilità disciplinare che richiede, per essere integrata, l'inesigibilità, da verificare in concreto, di una condotta diversa e, quindi, la dimostrazione dell'inevitabilità del ritardo grave, malgrado il magistrato abbia fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per evitarlo. In tale prospettiva, quindi, anche una lodevole laboriosità non può costituire una causa di giustificazione utile ad escludere la sussistenza dell'illecito in questione”.93
In effetti - come si è detto - non è più rilevante nel sistema vigente la considerazione della laboriosità personale del magistrato, perché non si tratta di valutare la persona ma i suoi comportamenti determinati. Lo stesso numero di processi di cui il magistrato è assegnatario non rileva di per sé, se non se ne dimostri l'incidenza specifica sui tempi disponibili per il compimento degli atti in discussione.
Pur a seguito di questi interventi della Suprema Corte, la Sezione disciplinare ha avuto modo di tornare sull’argomento, assumendo che il riferimento alla categoria della inesigibilità deve essere inteso come esplicativo della ratio della fattispecie e non come ricognitivo di una autonoma esimente non codificata.94 Secondo il giudice di merito, l’idea che il criterio della inesigibilità possa operare come clausola generale di esclusione della colpevolezza aveva avuto qualche riconoscimento in passato, ma è ormai contestata dalla dottrina e dalla giurisprudenza penalistiche prevalenti, in nome del principio di legalità e della certezza del diritto.
Viene richiamata, in particolare, la giurisprudenza penale, che ha da tempo affermato che “il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla ‘ratio’ della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui ‘umanamente’ pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla ‘ratio’ dell'antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l'’analogia juris’”.95
Ancora, viene richiamata la Corte costituzionale, secondo la quale le formule normative che esigono l’assenza di giustificazioni “fungono da valvola di sicurezza del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione scatti anche allorché l'osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile”.96 E tuttavia esse trovano lo specifico fondamento pur sempre nelle norme positive, “il cui carattere ‘elastico’ si connette - come di frequente nella valutazione legislativa - alla impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a "giustificare" l'inosservanza del precetto”.97
Aggiunge poi il giudice disciplinare che la struttura normativa della fattispecie, che esplicitamente include l’esigenza della mancanza di giustificazione, impone di fare riferimento a situazioni oggettive che abbiano avuto una specifica incidenza causale sui ritardi. Sarebbe proprio la specialità del requisito della antigiuridicità della condotta, quale requisito interno alla fattispecie illecita, a rendere tendenzialmente ingiustificabili ritardi superiori ad un anno che - come ha precisato la Corte di cassazione98 - violano anche i termini del giusto processo. In realtà, il generico concetto di inesigibilità, quale eventualità esterna alla fattispecie, potrebbe giustificare anche ritardi eccedenti i limiti della ragionevole durata del processo, ma a costo di vanificare la “garanzia di un trattamento uniforme di situazioni analoghe e della prevedibilità della sanzione”. Invece, in una fattispecie ad antigiuridicità speciale, il requisito della mancanza di giustificazione, in quanto interno alla fattispecie, va posto in relazione con il requisito della gravità del ritardi e può perciò risultare tendenzialmente e gradualmente recessivo a fronte di ritardi tanto gravi da assumere i connotati di una propria specifica antigiuridicità.
Deve esservi quindi un rapporto di proporzionalità tra la gravità dei ritardi e le esigenze di giustificazione, perché è evidente che soltanto un rapporto di ragionevole proporzione tra le circostanze addotte e l’entità dei ritardi può autorizzare la conclusione che questi ne furono la conseguenza.
Orbene, quando il ritardo è tanto grave da risultare di per sé antigiuridico, la giustificazione può derivare solo da situazioni eccezionali e transitorie, ma deve pur sempre essere possibile, perché la ragionevolezza è incompatibile con gli automatismi ed esige che la prudenza del giudice possa adeguare le norme alla realtà.99
Il contrasto tra giudice di merito e giudice di legittimità sul tema della mancata giustificabilità del ritardo si è di recente rinnovato e permane tuttora, nel senso che la Corte di cassazione ha confermato il suo indirizzo, attraverso molteplici puntualizzazioni.100
Anzitutto, è stato osservato che la categoria della antigiuridicità speciale, quale elemento costitutivo dell’illecito, necessita per la sua configurabilità di un contrasto della condotta colpevole con altre disposizioni normative poste a presidio di beni giuridici diversi da quelli direttamente tutelati dalla norma incriminatrice, mentre la “giustificazione del ritardo” non evoca altre disposizioni ovvero altri e diversi beni giuridici alla cui stregua valutarne l’eventuale illiceità, ma situazioni di fatto, non previamente catalogabili né enunciabili, cui riconoscere efficacia scriminante sotto il profilo tanto oggettivo quanto soggettivo. La categoria della inesigibilità è indicativa, appunto, di una particolare condizione o situazione fattuale per cui il soggetto, per cause indipendenti dalla propria volontà, si trovi nella impossibilità, oggettiva o soggettiva, di ottemperare al precetto normativo.
In questo ambito la giustificazione del ritardo è dunque una situazione funzionale alla delimitazione degli obblighi giuridicamente determinati sul piano normativo onde temperarne l’immotivato rigore applicativo ogni qualvolta la sanzione potrebbe apparire irrogata non iure, per specifiche circostanze concretamente accertate.
La motivazione delle cause dei ritardi ha pertanto natura di causa di giustificazione non codificata, rilevante sul piano oggettivo (e perciò assimilabile, talvolta, alla forza maggiore: ad esempio, lo stato di salute o il carico di lavoro obiettivamente considerato), ovvero su quello soggettivo, sub specie della mancanza di “riprovevolezza” della condotta (conseguente ad alcune peculiari situazioni di vita personale e familiare), sempre caratterizzata da una indiscutibile “elasticità” applicativa, attesa l’impossibilità, sul piano fattuale non meno che giuridico, di elencare tassativamente e analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare l’inosservanza della norma precettiva. Di qui, l’inevitabile “atipicità” contenutistica della fattispecie.
Il conflitto che si è venuto a determinare tra la Sezione disciplinare e le Sezioni unite sulla natura della mancata giustificazione del ritardo, non sembra superato, atteso che la Corte Suprema ha ancora rigettato ricorsi dei magistrati incolpati, richiamando il proprio consolidato orientamento in materia.101 In un caso, ha rigettato il ricorso dell’incolpato sul rilievo che la Sezione disciplinare ha accertato la sussistenza dei plurimi ritardi ultrannuali contestati ed ha esaminato le circostanze giustificative addotte, negandone la concreta idoneità ad escludere l’antigiuridicità della condotta, con motivazione ritenuta esente da vizi logici, tenuto conto della quantità dei ritardi (in assoluto ed in percentuale rispetto al totale), del numero di quelli di durata superiore all’anno e del tipo di cause di inesigibilità invocate dall’incolpato (che, in particolare, era componente di un consiglio giudiziario).102
La Sezione disciplinare ha continuato, di regola, a ragionare in termini di eventuale giustificazione non esterna alla fattispecie, ma interna alla fattispecie tipica,103 salvo qualche sporadico caso in cui è sembrata allinearsi alla giurisprudenza di legittimità.104
Si ritiene tuttavia che, alla luce dell’indirizzo della Corte Suprema consolidato, il ritardo grave e reiterato integri ex se la fattispecie incriminatrice, attesa la innegabile tipizzazione dei comportamenti illeciti operata dal d.lgs. n. 109 del 2006. Con la conseguenza che non è necessaria la prova, da parte dell’accusa, della violazione dell’obbligo di diligenza, mentre è necessaria la speculare allegazione, da parte dell’incolpato, di circostanze oggettivamente idonee a dimostrare la specifica giustificabilità dell’altrettanto specifico ritardo che, ove caratterizzato dal superamento di ogni limite di ragionevolezza, si sostanzia in una vera e propria ipotesi di denegata giustizia. In tali casi, la condotta del magistrato risulta irrimediabilmente destinata ad integrare gli estremi dell’illecito, ledendo altrettanto irrimediabilmente il diritto delle parti (o, quanto meno, di una delle parti) alla durata ragionevole del processo, diritto sempre più intensamente tutelato da norme tanto costituzionali quanto sovranazionali.
La consapevolezza nella Corte Suprema che non vi possono essere automatismi rigidi nella valutazione, anche comparativa, da un lato, della gravità dei ritardi e, dall’altro, della serietà delle possibili giustificazioni dei ritardi stessi, traspare anche da altri suoi recenti arresti giurisprudenziali.
Pur avendo più volte affermato - come si è detto - che l’eventuale “onerosità” dei carichi di lavoro può assumere valore esimente del ritardo nel deposito dei provvedimenti soltanto nei limiti della ragionevolezza e che la scarsa laboriosità del magistrato non costituisce più una “condicio sine qua non” ai fini della configurabilità dell'illecito, la Corte di cassazione ha poi chiarito che la valutazione circa l’assenza di giustificazioni, quale requisito costitutivo della condotta punibile, richiede un confronto, per ciascun anno contestato, tra i provvedimenti depositati in ritardo e quelli depositati regolarmente nei termini sì da potersi desumere, in relazione alla tipologia degli stessi, la percentuale dei provvedimenti depositati in ritardo grave rispetto al totale.105
In ogni caso, quando i ritardi risultino intollerabili, come può accadere nel caso del superamento del termine di un anno, la possibilità che essi vengano scriminati si restringe ed è, pertanto, richiesto il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità attribuibile alla violazione.106
Va tenuto presente, però, quanto è stato affermato dal giudice disciplinare in fattispecie di ritardi in materia civile, e cioè che la valutazione della condotta deve essere operata tenendo presente che il rispetto della ragionevole durata del procedimento avviene (in ambito civile) mediante:
-
il corretto deposito in termini delle sentenze;
-
una idonea produttività;
-
la definizione stragiudiziale dei fascicoli;
-
lo svolgimento di istruttoria mediante il compimento di udienze.
Dunque, “il dovere del depositare nei termini delle sentenze deve essere contemperato dall'adempimento degli altri doveri tenendo presente in concreto le possibilità lavorative del magistrato. Altrimenti si indurrebbe i magistrati al mero adempimento formale del rispetto dei termini di deposito senza farsi carico della domanda di giustizia inerente al ruolo ricevuto”.107
Non può dunque il magistrato gestire ed organizzare il proprio lavoro senza tenere conto della esigenza di depositare in tempi ragionevoli i provvedimenti introitati, in quanto “le gravi e sistematiche carenze nell'espletamento di uno dei compiti rientranti nelle funzioni del magistrato non possono essere giustificate dalla notevole produttività (anche superiore alla media) riscontrabile in altri settori di attività, ove ciò denoti solo una particolare propensione o predilezione verso questi ultimi a discapito di altri, o, comunque, una non equilibrata ripartizione delle energie lavorative tra le varie incombenze da svolgere”;108 “il giudice non può scegliere di aumentare la produttività o di “incamerare” un numero di sentenze eccessivamente elevato senza tenere presente la necessità di adempiere il dovere, legislativamente previsto, di dare una risposta in termini ragionevoli alle parti in attesa di sentenza dopo la riserva del giudice”.109
L'accertamento relativo alla dipendenza dei ritardi inerenti il deposito dei provvedimenti giudiziari da scelte organizzative del magistrato, finalizzate invero ad accelerare la trattazione delle cause, non può di per sé considerarsi irrilevante ai fini della giustificazione dei ritardi stessi. D’altronde, non sempre tali scelte si rilevano infelici solo per colpa di chi le ha adottate, ben potendo le stesse avere esiti negativi a causa di fattori aleatori od imprevedibili.110 Ad esempio, l'aumento imprevedibile del carico di lavoro, la necessità di prendere in carico ruoli organizzati da altri, il venir meno dell'ausilio della magistratura onoraria, ecc.
L'inesigibilità va pertanto individuata, secondo il citato recente orientamento del giudice disciplinare, tenendo presente:
a) la gravosità del complessivo carico di lavoro, in riferimento a quello mediamente sostenibile dal magistrato a parità di condizioni;
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la consistenza del ruolo e numero delle udienze tenute;
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i dati della laboriosità e dell'operosità, desumibili dall'attività svolta sotto il profilo quantitativo e qualitativo;
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l'organizzazione dell'ufficio giudiziario di appartenenza;
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le funzioni giurisdizionali concretamente svolte ;
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situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo.
La giustificabilità del ritardo nel deposito di sentenze e ordinanze deve assumere il carattere della conferenza, pregnanza, oggettività, idoneità concreta ad escludere l'antigiuridicità della condotta di un magistrato ai fini del giudizio disciplinare.111
Questo più recentemente orientamento del giudice disciplinare, peraltro si rende più consapevolmente conforme, come solo sporadicamente era prima avvenuto, alla giurisprudenza di legittimità, nella convinzione che “il ritardo grave e/o reiterato nel deposito dei provvedimenti da parte del magistrato integra di per sé la fattispecie in esame, attesa l'innegabile tipizzazione dei comportamenti illeciti operata dalla citata norma. Ne consegue che il predetto addebito postula, per la sterilizzazione della sua antigiuridicità, non già la prova, da parte dell'accusa, della violazione dell'obbligo di diligenza, bensì la speculare allegazione, da parte dell'incolpato, di circostanze oggettivamente idonee a dimostrare la specifica giustificabilità dell'altrettanto specifico ritardo che, ove caratterizzato dal superamento di ogni limite di ragionevolezza, si sostanzia in una vera e propria ipotesi di denegata giustizia. La condotta del magistrato, pertanto, integra gli estremi dell'illecito contestato, ledendo il diritto delle parti, o quanto meno di una di esse, alla durata ragionevole del processo”.112
Vero è che, anche successivamente, la Corte di cassazione ha affermato che “non è consentito al magistrato che, per il carico di lavoro, avverta di non essere in condizione di osservare i termini per il deposito delle sentenze, di effettuare autonomamente la scelta di assumere in decisione cause civili in eccesso rispetto alla possibilità di redigere tempestivamente le relative motivazioni, in luogo di rinviarne la discussione a data compatibile col rispetto dei termini, così privilegiando un modello organizzativo suscettibile di ostacolare la possibilità che siano adottati dal capo dell’ufficio rimedi immediati, che sono anche doverosi se necessari e possibili, ovvero che siano individuate alternative carenze o responsabilità”.113
Tra le numerose e diverse cause giustificative dedotte nei procedimenti disciplinari, un discorso a parte si rende tuttavia necessario in relazione a quelle attinenti allo stato di salute che, quando serie e documentate, sono state prese in considerazione sempre con la massima attenzione in sede di merito. D’altra parte, le “gravissime condizioni di salute” di un prossimo congiunto,114 così come il decesso di un familiare,115 se a volte sono stati ritenuti elementi giustificativi impeditivi della configurabilità della fattispecie in esame, in altri casi non lo sono stati e la Corte di legittimità ha affermato che “la grave malattia o lo stato invalidante di un prossimo ascendente costituiscono (…) evenienze normali, anche se dolorose, che tutti o quasi si devono attendere, quali tappe obbligate, dalla vita in particolari stagioni della stessa, la cui sopravvenienza tuttavia, ove riguardi un magistrato, non può consentirgli di anteporre l’adempimento dei propri doveri morali e di solidarietà familiare rispetto a quello dei compiti istituzionali”.116
Si è poi affermato, in sede di merito,117 che la considerazione che i ritardi irragionevoli non trovano mai giustificazione, con riferimento alla configurabilità dell’illecito di cui alla lett. q), trova il suo naturale limite in relazione a problemi di salute, gravi e rigorosamente documentati, che incidano direttamente sulla limitata produttività del magistrato, come avviene ad esempio a causa dello straordinario numero di visite specialistiche, ricoveri ospedalieri e trattamenti terapeutici, spalmati nell’arco temporale attinto dall’addebito, che siano la conseguenza sia della natura della patologia che dei suoi effetti collaterali. Si considera, in questi casi, che i gravi problemi di salute ben avrebbero giustificato eventuali, consistenti congedi straordinari o anche aspettative, a volte evitati dal magistrato per senso del dovere e spirito di servizio in sedi giudiziarie magari gravate da enormi carichi di lavoro. D’altronde, in casi del genere, viene in rilievo il principio fondamentale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), che non può essere compresso da alcun altro valore fondamentale, pure costituzionalmente protetto.
E’ stata conseguentemente ritenuta causa giustificativa dei ritardi una grave encefalopatia, cui era conseguito un grave deficit motorio e comunicativo, protrattosi ben oltre la data in cui il magistrato aveva ripreso il suo lavoro.118 Parimenti giustificativa, è stata ritenuta la patologia consistente in “esiti ormai stabilizzati di pregressa encefalomielite disseminata acuta demielizzante”.119 E’ stata ritenuta causa giustificativa una certificazione medica dalla quale era emerso che l'incolpato era stato sottoposto ad intervento chirurgico per l'asportazione di "una lesione a livello della regione mesiale del lobo temporale sinistro" e che, allo stato, era affetto da "sindrome comiziale secondaria", sindrome che gli ha provocato, nel corso degli anni, numerose crisi epilettiche, nonostante sia sottoposto a intensa terapia farmacologica, e che si aggrava in caso di stress (come ad esempio quello determinato dal trasferimento al nuovo ufficio).120
Non è stato ritenuto invece una causa giustificativa dei ritardi, in quanto non configuri propriamente una seria patologia dello stato di salute, il disagio psicologico che abbia portato ad una terapia specialistica, con conseguenti colloqui psicoterapeutici protrattisi nel tempo.121
E’ stata ritenuta dal giudice disciplinare causa giustificativa dei ritardi lo “stato ansioso-depressivo reattivo” dovuto a “stress lavorativo”, comportante “calo dell'organizzazione e della performance” e che è stato curato con “una terapia con alprazolam ed escitalopram e .... sedute di psicoterapia di sostegno”, terapia che ha avuto effetti riducenti ma non definitivi ed era ancora in corso alla data di rilevazione dei ritardi.122
Anche in questo caso, più restrittivo si è rivelato l’indirizzo della Corte di legittimità che, recentemente, ha negato che lo stato di depressione, pur ampiamente documentato, possa assurgere a causa di giustificazione nell’ipotesi di ritardi gravi e reiteratamente ultrannuali nel settore penale.123
In diverso avviso, anche sul tema dell’esimente della carenza di salute del magistrato, si sono espresse le Sezioni unite della Corte di cassazione, secondo cui i ritardi nel deposito dei provvedimenti, quando per la reiterazione e l’entità superano ogni limite di tollerabilità e ragionevolezza, integrano in ogni caso gli estremi dell’illecito disciplinare. Le vicende familiari del magistrato incolpato non possono valere ad assolvere del tutto o in gran parte, per lunghi periodi di tempo, il magistrato dall’osservanza dei primari doveri di laboriosità e diligenza impostigli dall’art. 1 del d.lgs. n. 109 del 2006 e, pertanto, risolversi in un ostacolo al buon funzionamento del servizio giustizia; ove sussistano ostacoli di tal genere, di natura grave e permanente, tali da non risolversi in tempi ragionevoli, non potendo le negative conseguenze delle stesse ricadere sulla collettività, al magistrato non in grado di svolgere il proprio lavoro in condizioni di accettabile serenità ed efficienza, restano aperte le vie consentite dall’ordinamento giudiziario (congedi straordinari ed aspettative per motivi familiari) per potersi temporaneamente assentare dal servizio, onde consentire che lo stesso prosegua senza intralci derivanti da motivi non istituzionali.124
Anche successivamente, è stato affermato che le gravi ed impellenti esigenze di assistenza familiare del magistrato incolpato non possono risolversi in un ostacolo al buon funzionamento del servizio giustizia, rimanendo aperte, ove il magistrato non sia in grado di svolgere il proprio lavoro in condizioni di apprezzabile serenità ed efficienza, le vie consentite dall’ordinamento per potersi assentare temporaneamente dal servizio, quali congedi ed aspettative.125
Particolarmente apprezzabile, in tema di giustificabilità dei ritardi collegata alla maternità, è un indirizzo di legittimità, secondo il quale, per escludere la ricorrenza della causa di giustificazione dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali di un magistrato che aveva appena preso possesso dell’ufficio, in coincidenza con la nascita della terza figlia, non può omettersi di tener conto dell’apparato primario e secondario posto a tutela della lavoratrice madre e, quindi, di verificare se la organizzazione del lavoro attuata in concreto, presso il Tribunale ove prestava servizio l’incolpata, fosse rispettosa di tale normativa. L’esigenza di un equilibrio tra responsabilità familiari e professionali sotteso a detta normativa, nella peculiare condizione in cui si trovi il magistrato durante e dopo la gravidanza, impone di accertare specificamente se i ritardi non siano correlati anche ad una organizzazione dell’ufficio che non abbia tenuto conto, o non abbia potuto tener conto di tale situazione. In particolare, l'attribuzione di “ruoli aggiuntivi” o di “funzioni nuove” non appare in linea con l'esigenza di tutela della lavoratrice/madre, la cui situazione “postula una organizzazione del lavoro compatibile con le esigenze di famiglia e quindi, esemplificativamente, la unicità dei compiti, la specializzazione, cioè misure che non richiedano ulteriori tempi ed energie per aggiornarsi su più materie contemporaneamente”.126
Dunque, tra le possibili cause di giustificazione dei ritardi rileva anche la “maternità”, intesa non quale mero “fatto episodico”, circoscritto al periodo di astensione obbligatoria, ma quale più generale e complessiva situazione di difficoltà in cui versa la lavoratrice/madre almeno nei primi tre anni di vita del bambino, situazione che impone “un'organizzazione dell'ufficio” tale da garantire alla madre un ragionevole “equilibrio tra responsabilità familiari e professionali”.127
Quanto ai carichi di lavoro “inesigibili”, è stata presa in considerazione “la duplicità dei ruoli e il carico di lavoro in assoluto, pari al doppio dei ruoli assegnati agli altri magistrati addetti alla sede centrale” e la contemporanea assegnazione a sezione distaccata, rilevando “che la condizione di gravità del lavoro dei giudici addetti alle sezioni distaccate di tribunale è circostanza generalizzata e costituisce un dato "notorio" proprio nell'esperienza concreta dei procedimenti disciplinari di questa Sezione”.128 Anche in un caso di ritardi in materia penale con una punta massima di due anni, si è giunti a riconoscere come causa di giustificazione il carico di lavoro del magistrato, definito “abnorme”.129 In un altro e più recente caso, disattendendo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il giudice disciplinare ha assolto un magistrato che, pur con qualche ritardo ultrannuale, si era dimostrato particolarmente laborioso a fronte di un carico di lavoro notevole e scoperture di organico.130
In conclusione, si deve esprimere l’auspicio che il legislatore chiarisca, in sede di una eventuale riforma di una tipizzazione tuttora “imperfetta”, se la mancata giustificazione del ritardo sia elemento intrinseco o estrinseco alla fattispecie, onde superare un contrasto tra la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e le Sezioni unite della Corte di cassazione, non più tollerabile in un sistema di garanzie che deve tendere alla certezza del diritto ed al pari trattamento dei magistrati incolpati.
La soluzione adottata nella maggior parte dei casi dalla Sezione disciplinare, pur prestandosi al fianco delle puntuali critiche espresse in sede di legittimità, sembra essere più garantista e più conforme allo spirito del giusto processo ex art. 111 Cost.
Sembra in ogni caso auspicabile intervenire nel senso di abrogare la lett. g) dell’art. 12, primo comma, del d.lgs. 109 del 2006, che stabilisce che per tale illecito si applica una sanzione non inferiore alla censura, norma della cui costituzionalità si nutrono - come detto - dubbi.
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L’art. 3 bis ed i ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni.
La giurisprudenza, fin dalla prima approfondita pronuncia della Sezione disciplinare che si è occupata dell’art. 3-bis,131 ha ritenuto la norma diretta applicazione, in ambito disciplinare, del principio di offensività, secondo il quale la sussistenza dell'illecito va comunque riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto, effettuato “ex post”.
Dopo iniziali perplessità, l’art. 3 bis è stato ritenuto applicabile a tutte le ipotesi di illecito previste negli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 109, anche, quindi, a quelle nelle quali la gravità del comportamento - come l’illecito di cui alla lett. q) - costituisce elemento costitutivo dell'illecito, e cioè in qualsiasi caso in cui si accerti la mancata compromissione dell'immagine del magistrato non solo nell'ambiente giudiziario in cui egli opera ma anche qualora non abbiano fatto venir meno la fiducia e la considerazione delle parti che subiscono direttamente gli effetti dei ritardi medesimi.132
Dunque, anche in tema di ritardi, la condotta disciplinare irrilevante va identificata, una volta accertata la realizzazione dei requisiti precedentemente descritti e approfonditi “che, per loro natura, implicano un tipico apprezzamento di fatto e che, quindi, sono essenzialmente devolute alla valutazione di merito della Sezione Disciplinare, non censurabile in sede di legittimità ove assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria”.133
Solo se all’esito di tale accertamento di fatto risulta realizzata la fattispecie tipica si pone la questione dell’applicabilità dell’art. 3-bis.
Anche a tal fine, la verifica della scarsa rilevanza del ritardo viene, almeno in linea di principio, sganciata da connotazioni di carattere soggettivo, quali la laboriosità134 o la professionalità del magistrato, ritenendosi necessario fare esclusivo riferimento a circostanze di carattere oggettivo.135 In particolare, deve ritenersi che i parametri della laboriosità e, più in genere, della professionalità, costituiscono aspetti che qualificano la persona del magistrato e non attengono ai profili oggettivi del fatto nella sua interezza, comprensivo di tutte le circostanze che lo connotano.
Se è pacifica l’applicabilità dell’art. 3 bis ai ritardi nell’adempimento delle funzioni, va negativamente rilevata - in quanto non aiuta la certezza del diritto in questa delicata ed incandescente materia - l’eterogeneità dei parametri in concreto utilizzati dalla giurisprudenza per fondare un giudizio di scarsa rilevanza del ritardo.
Un primo gruppo di sentenze, ritenendo la gravità “di già elemento costitutivo dell'illecito”, afferma che “è con riferimento alla reiterazione che può valutarsi l'eventuale scarsa rilevanza del fatto. E poiché (…) anche due ritardi possono integrare gli estremi della reiterazione, non v'è dubbio che, al fine di valutare la rilevanza del fatto, risulti determinante anche l'incidenza percentuale dei reiterati ritardi rispetto al numero di provvedimenti depostati dal magistrato nel periodo di riferimento”.136
In questa prospettiva, la minima incidenza percentuale del ritardo ha fondato l’applicazione dell’art. 3-bis con riferimento:
a) alla condotta del magistrato che depositi o ometta di depositare numerose sentenze ed ordinanze in materia di lavoro con ritardi anche gravi, la cui organizzazione del lavoro non possa definirsi adeguata, laddove lo stesso debba gestire un ruolo congelato da tempo, che richieda la necessità di impadronirsi di questioni in precedenza non approfondite e di condividere, o di mutare, specifici percorsi processuali, ed i suoi sforzi siano coronati nel tempo da successo, con l’eliminazione dell’arretrato, perché dette circostanze sono indicative di una situazione di non rilevante gravità e comportano l’applicazione della norma in esame, secondo cui l’illecito non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza;137
b) alla condotta del magistrato che depositi fuori termine sentenze penali con ritardi gravi per il profilo temporale, quando, per un verso, i provvedimenti contestati rappresentino una percentuale più che residuale rispetto al totale dei provvedimenti depositati e non diano luogo a prescrizioni o scadenze di termini di misure cautelari e, per altro verso, risultino qualità elevata delle motivazioni, apprezzamento generalizzato da parte del foro e dei colleghi, disponibilità alle esigenze dell’ufficio ed una laboriosità notevole anche in termini comparativi da cui derivi un abbattimento consistente dell’arretrato ed una riduzione della durata media dei procedimenti, perché tali circostanze, evitando che il comportamento tenuto diminuisca il credito riscosso dal servizio giudiziario nell’ambito in cui lo stesso è prestato, escludono l’offensività in concreto del fatto;138
c) alla condotta del magistrato caratterizzata da gravi ritardi nel deposito di sentenze civili, monocratiche e collegiali, quando si rilevino le capacità organizzative e l'impegno lavorativo, la produttività e la qualità professionale, riconosciuta dall'ambiente giudiziario e non contestata da alcuna parte processuale.139
Tale impostazione è stata condivisibilmente criticata ritenendosi incongruo che “un ritardo non solo grave, ma anche ingiustificabile, perché superiore all’anno (e non semplicemente ingiustificato) possa considerarsi fatto di scarsa rilevanza perché reiterato solo in un numero limitato di casi”.140
Un secondo gruppo di decisioni, ai fini della valutazione sulla scarsa rilevanza, ha utilizzato i medesimi elementi di fatto in base ai quali, in altri casi, si è ritenuto giustificato il ritardo.
Tale approccio si evince da una decisione del giudice disciplinare141 che ha applicato l’art. 3-bis sulla base di una serie di elementi riconosciuti non rilevanti quali cause di giustificazione, ma prova delle difficoltà ambientali e soggettive in cui il magistrato si era trovato ad operare e specificamente:
a) il tramutamento dalle funzioni penali a quelle civili (la c.d. riconversione che, “necessita di un surplus formativo accelerato ed, al contempo, adeguato alla velocità con cui il legislatore produce novità normative sostanziali e processuali”);
b) le caratteristiche del ruolo assegnato al magistrato in ragione della qualità delle cause e del fatto che lo stesso fosse da tempo “congelato”, con le conseguenti “indubbie difficoltà di rimetterlo in carreggiata”);
c) i buoni risultati raggiunti dopo l’assegnazione del ruolo congelato, testimoniati dalla pubblicazione su riviste specializzate e di rilievo nazionale degli approdi cui era pervenuta la giurisprudenza della sezione cui il magistrato era addetto;
d) la necessità di sostituire il presidente della sezione, assente per malattia;
e) gli impegni professionali concomitanti (membro della commissione per gli esami di avvocato, nonché di commissioni per lo sviluppo di programmi telematici per gli uffici giudiziari e magistrato di riferimento per l'informatica) ed i risultati conseguiti.142
Nella stessa prospettiva, la valutazione di scarsa rilevanza si è basata sulla pluralità di funzioni cui era stato adibito l’incolpato presso una sede distaccata di Tribunale, nella quale gli era stato assegnato sia un ruolo penale, che un ruolo civile, comprensivo delle esecuzioni mobiliari ed immobiliari, unitamente alla volontaria giurisdizione. Si è osservato che “è ormai patrimonio conoscitivo di tutti che le sedi distaccate dei tribunali rappresentano gli avamposti della giurisdizione, gravati da un accumulo di affari eterogenei, molto simili alle vecchie Preture, dove all'impegno di dover trattare materie diverse si aggiunge la difficoltà di concentrazione nell'assolvimento dei doveri quotidiani del giudice. Sempre più spesso, il giudice viene distolto dalla giurisdizione da mille altre incombenze, soprattutto amministrative che, in mancanza di un dirigente, deve affrontare con inevitabili ricadute negative sul fattore tempo che il giudice ha a disposizione per la redazione dei suoi provvedimenti e quindi sulle concrete possibilità di smaltimento dell'arretrato che inevitabilmente si accumula".143
Tale approccio non sembra condivisibile, in quanto tende a sovrapporre due piani diversi (giustificazione del fatto e sua irrilevanza), senza peraltro specificare i parametri in base ai quali dalla maggiore o minore intensità della stessa circostanza possa conseguire l’una o l’altra soluzione.
Un terzo versante è rappresentato dalle decisioni che fondano la valutazione di scarsa rilevanza anche sul significato che la condotta assume in quanto manifestazione della personalità dell'autore, in tal modo recuperando elementi quali la laboriosità e la professionalità del magistrato che, invece, almeno in linea di principio, vengono esclusi tra quelli utilizzabili a tali fini.
In tale prospettiva, è stata esclusa la punibilità a norma dell'art. 3-bis con riferimento ai ritardi accumulati:
a) da un magistrato, descritto dal capo dell'ufficio quale elemento trainante della Corte d'appello “addetto allo spoglio preliminare delle impugnazioni e alla selezione dei processi a rischio di prescrizione”, considerato che si trattava “di una situazione eccezionale, nella quale, pur in presenza di ritardi gravi e non giustificabili, la minima incidenza oggettiva della reiterazione e la personalità del magistrato sono tali da escludere una effettiva lesione all'immagine sociale dell'amministrazione della giustizia”;144
b) da un magistrato di Corte d’appello che era incorso nel ritardo nel deposito di sentenze civili nella misura di una minima percentuale di reiterazione “in un momento particolare di riorganizzazione della sezione di appartenenza dell' incolpato” ed era stato descritto dal Presidente dell’Ufficio quale “ottimo professionista”;145
c) da un magistrato di Corte d’assise d’appello in considerazione: a) delle “capacità organizzative e l'impegno lavorativo” (gestione rapidissima di complessi procedimenti di criminalità organizzata, percentuale di provvedimenti depositati in ritardo non significativa, complessità e qualità dei provvedimenti depositati in ritardo); b) dello sforzo (…) di adempiere al suo dovere di dare risposta in termini ragionevoli alle innumerevoli istanze di giustizia (circostanze, riconosciute nell'ambiente giudiziario); c) della “qualità professionale e organizzativa” pure comprovata dal parere del consiglio; della circostanza che “ i ritardi nel deposito delle sentenze non hanno provocato nessuna scarcerazione per decorrenza termini e quindi non vi è stato nessun ritardo che ha avuto rilevanza processuale”.146
Tale ultima decisione si inserisce, sia pure aggiungendo altri elementi, nel contesto di quelle secondo cui il ritardo scarsamente rilevante sotto il profilo disciplinare è quello che non determina la compromissione o messa in pericolo dell'immagine del magistrato, il che si verifica quando lo stesso è percepito dall'ambiente giudiziario e forense (compresi i difensori e le parti che subiscono direttamente gli effetti, di tali ritardi) come sintomo di un magistrato neghittoso, superficiale, disorganizzato ed incurante dei diritti.147
In tale contesto, la prova dell’assenza di compromissione dell’immagine pubblica del magistrato si fonda su una serie di elementi, quali notizie specifiche raccolte da persone appartenenti all’ambiente giudiziario in cui egli opera,148 ovvero giudizi positivi sulla professionalità e l’impegno del magistrato desumibili dal fascicolo personale;149 non mancano, però, casi in cui si ritiene sufficiente l’assenza negli atti del Consiglio giudiziario di elementi negativi ed in particolare di segnalazioni e/o lamentele da parte del Foro.150
In altri casi ancora, poi, i predetti elementi sono combinati tra loro151 con quello della regolarizzazione nel periodo immediatamente successivo a quello in cui i ritardi sono stati accertati. Così si è affermato che va applicato l’art. 3-bis “quando si è in presenza di un numero esiguo di ritardi (otto di cui cinque superiori all'anno),152 limitati nel tempo e coincidenti con una particolare situazione lavorativa, la situazione si è regolarizzata nel periodo immediatamente successivo ed i ritardi non hanno provocato effetti particolari riguardo ai procedimenti nei quali si sono verificati né hanno danneggiato le parti”.153
In definitiva, quindi, l’applicazione dell’art. 3-bis alla materia dei ritardi si caratterizza per la frequente “non condivisibile sovrapposizione della scarsa rilevanza del fatto con i concetti di laboriosità e giustificazione e più spesso con riferimento alla lesione della credibilità del magistrato e del servizio giudiziario”154 e si connota per la genericità ed ampiezza dei parametri utilizzati.
Una speculare genericità si registra nei casi in cui è stata esclusa la scarsa rilevanza del ritardo (soluzione alla quale, peraltro, la giurisprudenza disciplinare è sovente pervenuta limitandosi a richiamare i principi giurisprudenziali in tema di scarsa rilevanza, senza spiegare le ragioni della loro mancata applicazione alla fattispecie).155
Invero, l’esclusione della scarsa rilevanza del ritardo è stata fondata o sull’incidenza percentuale rispetto al numero dei provvedimenti depositati,156 o sull'elevato rapporto tra numero ed entità dei ritardi e reiterazione degli stessi in un ristretto arco temporale (la c.d “intensità della reiterazione)”157, o sulla durata, in sé, dei ritardi, atteso che “appare particolarmente problematico ritenere non sia tale da compromettere di per sé l'immagine del magistrato che deve, tranne il caso di situazioni eccezionali e transitorie, rendere pronta giustizia a chi la invoca”158 O, ancora, sulla sussistenza di doglianze da parte dei soggetti interessati.159
Inoltre, quando sia raggiunta tale elevata soglia di gravità, una valutazione di scarsa rilevanza del ritardo non è consentita neppure quando il ritardo sia ascrivibile a magistrato di scarsa esperienza, per essere stato nominato da meno di dieci anni, “perché tale circostanza sarebbe stata determinante solo in presenza di un numero limitato di ritardi di entità contenuta e non di fronte ad una grave situazione con ritardi che, per quantità e per durata, superino ogni limite di comprensibile ragionevolezza”.160
Tuttavia, i dati utilizzati per escludere la scarsa rilevanza appaiono vaghi, non essendo indicati i criteri per definire quando sia configurabile una particolare gravità del ritardo o in termini percentuali ovvero sotto il profilo temporale161.
Al fine di restringere l’ampia discrezionalità di cui dispone il giudice disciplinare in tema di scarsa rilevanza dei ritardi, sembra allora da condividere la soluzione di privilegiare la verifica, in concreto, dell’effettiva compromissione del bene tutelato dall’illecito di cui all’art. 2, lett. q), costituito dalla ragionevole durata del processo e dal buon andamento dell'amministrazione della giustizia162 “valori in sé di indubbia rilevanza, addirittura costituzionale, [che] rilevano in questa sede quali elementi sintomatici ai fini della positiva immagine, della fiducia e della considerazione di cui il magistrato deve godere nella collettività in cui opera”.163
In questa più recente ottica, è stato condivisibilmente osservato che, da una parte, i ritardi di notevole gravità ed elevata frequenza, quali quelli di cui qui si tratta, producono indubbi riflessi sull'opinione generale quanto all'efficienza del servizio giudiziario; dall'altra, la compromissione dell'immagine del magistrato e dell'ordinamento giudiziario non può derivare soltanto dalla considerazione del Foro, ma anche da quella delle parti, che subiscono direttamente gli effetti di tali ritardi, senza che la mancanza di gravame o la manifestazione di disagio e protesta nei confronti delle sentenze depositate in ritardo possa, di per se sola, interpretarsi in senso diverso.164
Nell’ipotesi di ritardo nel deposito di sentenze penali, può, altresì, essere presa in considerazione l’assenza di reali conseguenze per le parti qualora tale ritardo non abbia causato alcuna “conseguenza (…) nei relativi procedimenti (es. scarcerazioni, prescrizioni ecc)”.165
La centralità da attribuirsi, nella verifica della scarsa rilevanza del ritardo, all’accertamento, in concreto, delle ricadute sugli interessi delle parti coinvolte dal procedimento, non esclude la possibilità di ricorrere, in via integrativa, anche alle altre circostanze caratterizzanti il fatto nella sua oggettività, così come individuate dalla giurisprudenza.
Va, invece, esclusa la possibilità di fare riferimento:
a) ad elementi relativi alla persona del magistrato in sé, quali la sua laboriosità, in quanto la verifica della scarsa rilevanza del ritardo deve essere sganciata da connotazioni di carattere soggettivo;
b) alla percezione del ritardo nell'ambiente giudiziario e forense in cui opera il magistrato, in quanto trattasi di un dato aleatorio ed eventuale, esterno alla fattispecie, la cui utilizzazione potrebbe portare a risultati contraddittori, potendosi giungere, a parità di ritardo, a conseguenze diverse sotto il profilo disciplinare, a seconda dei riflessi dell’illecito nel contesto lavorativo del magistrato.166
In ogni caso, l’applicazione dell’art. 3-bis dev’essere compiuta con riferimento al fatto unitariamente considerato, “che non può essere frazionato applicando una differente disciplina a seconda delle sentenze che vengono di volta in volta in considerazione. La diversa gravità dei ritardi unitariamente contestati può e deve essere valutata ai fini della complessiva sanzione applicabile senza legittimare una differente misura sanzionatoria a seconda dei singoli ritardi che vengono in considerazione”.167
Vero è che, da quando si è consolidata la giurisprudenza secondo la quale il ritardo infrannuale non è, nei fatti, perseguibile (una sola condanna in ipotesi del genere su 213 procedimenti per ritardi nella consiliatura 2010/2014) e da quando la stessa Procura generale non esercita più l’azione, di norma, per ritardi infrannuali, la possibilità di applicazione dell’art. 3 bis sulla scarsa rilevanza del fatto deve ritenersi ragionevolmente di molto ristretta: se i ritardi non possono ritenersi giustificati in quanto ledono i diritti delle parti ad una durata ragionevole del processo, a rigore, non potrebbe poi ritenersi il fatto, se non giustificato in via eccezionale, di scarsa rilevanza. E potrebbe non essere un caso che la sezione disciplinare ha fatto diverse volte ricorso all’applicazione dell’art. 3 bis in sede di rinvio dopo che la Corte di cassazione aveva annullato la precedente sentenza di assoluzione, non riconoscendo le ragioni giustificative dei ritardi stessi.
D’altra parte, i già indicati limiti del sindacato di legittimità in ordine alla motivazione del giudice di merito, resi ancor più evidenti dal recente intervento nomofilattico - secondo il quale la sentenza della Sezione disciplinare non può essere impugnata per lamentare la diversa valutazione riservata ad altro magistrato, incolpato della stessa infrazione, atteso che la contraddittorietà della motivazione, per essere rilevante, deve emergere dalla medesima sentenza e non dal raffronto tra vari provvedimenti, seppure dello stesso giudice168 - rendono ancor più evidente l’esigenza di giungere ad un punto fermo, in sede di interpretazione dell’art. 3 bis, proprio per evitare che, di fatto, si determinino situazioni che ledano la certezza ed uniformità del diritto in punto di valutazione della circostanza esimente della scarsa rilevanza, valutazione che determina, come si è visto, un’amplissima discrezionalità del giudice disciplinare, che rischia di produrre una sterminata casistica in cui si valutino in maniera disuguale condotte e situazioni del tutto simili.
Per completezza di analisi, infine, deve osservarsi che, se il magistrato invoca l’applicabilità dell’art. 3 bis, il giudice disciplinare è sempre tenuto a motivarne la sussistenza o meno dei requisiti di applicabilità,169 mentre nella ipotesi in cui il magistrato non sollevi in sede di merito alcuna questione sulla “irrilevanza del fatto”, il giudice non è tenuto a motivarne, d’ufficio, la mancata applicabilità nella specie.
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Il ritardo non reiterato nell’adempimento delle funzioni (lett. g e/o a d.lgs. 109/2006) ed il ritardo nella fissazione delle udienze (lett. g o q d.lgs. 109/2006 e art. 81 bis disp. att. c.p.c.).
Il ritardo nel compimento di un solo atto dovuto nell’esercizio delle funzioni non può comportare responsabilità ai sensi della lett. q) ma, semmai, quando la condotta omissiva abbia i connotati di un fatto diverso dal ritardo stesso, diverse fattispecie di illecito, quali, ad esempio, quella di cui alla lett. g) (nel caso in cui l’omissione integri una grave violazione di legge dovuta ad ignoranza o negligenza inescusabile), oppure (o anche) quella prevista dalla lett. a) (nel caso in cui la condotta omissiva arrechi ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti).170
La giurisprudenza disciplinare, in una fattispecie in cui era contestato ad un pubblico ministero il ritardo nelle attività di indagine relative ad un solo processo, che aveva determinato la prescrizione del reato, ha ritenuto di dover qualificare ai sensi della lett. g) e non della lett. a), né della lett. m), l’illecito sanzionato affermando che “… è evidente che l’adozione di provvedimento non consentito dalla legge (lett. m) configura una violazione di legge (lett. g), per cui tra le due fattispecie v’è un indiscutibile rapporto di specialità. Che va risolto nel senso che, sebbene la lett. g) sembri ‘prima facie’ riferibile a qualsiasi violazione di legge, essa in realtà risulta applicabile solo ai comportamenti illegali, perché alle decisioni o ai provvedimenti illegittimi è applicabile esclusivamente la fattispecie prevista dalla lett. m). A meri ‘comportamenti’ si riferisce (per di più testualmente) anche la lett. a). E sembra ragionevole ritenere che pure tra questa fattispecie e quella prevista dalla lett. g) vi sia un rapporto di specialità, in quanto per un magistrato la violazione di legge è certamente un comportamento scorretto. Sicché deve concludersi che i comportamenti scorretti riconducibili alla fattispecie di cui alla lett. a) siano solo quelli che non integrino una violazione di legge, laddove i comportamenti integranti una violazione di legge sono riconducibili esclusivamente alla fattispecie speciale prevista appunto dalla lett. g)”.171
La sentenza si pone peraltro in contrasto con altra coeva, che in fattispecie simile (prescrizione del reato per omesse indagini), ha escluso la configurabilità dell’illecito di cui alla lett. g) ed ha sanzionato il magistrato per gli illeciti di cui alle lett. a) e h).172
Nello stesso senso il giudice disciplinare si era peraltro già espresso: “non configura l’illecito disciplinare per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, la condotta del magistrato del pubblico ministero il quale ometta ogni attività di indagine e non eserciti la sorveglianza sulla attività del consulente tecnico nominato così da determinare l’archiviazione per prescrizione di un solo procedimento penale, atteso che la fattispecie di cui all’art. 2 comma 1, lett. g) è applicabile ai soli comportamenti illegali diversi dai ritardi, mentre a questi ultimi sono riferibili, alternativamente, le fattispecie di cui all’art. 2 lett. q ) e all’art. 2 lett. a), a seconda che i ritardi siano reiterati ovvero ne derivi ingiusto danno o indebito vantaggio per una delle parti”.173
Il giudice disciplinare ritiene, ancora, che costituiscano violazioni della lett. g) del d.lgs. n. 109 anche l’esercizio dell’azione penale nella piena consapevolezza, da parte del pubblico ministero, che gli illeciti contestati siano prescritti174
Quanto alla prima ipotesi, la sentenza del giudice disciplinare è stata confermata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, le quali hanno precisato che “l’accertata consapevolezza della già maturata prescrizione, per tutti i reati contestati, impone – e non semplicemente faculta – il magistrato del P.M. a chiedere l’emissione del provvedimento di archiviazione e non quello di un improbabile rinvio a giudizio, e ciò in base ad un principio regolatore del processo penale, imponente l’immediata declaratoria delle evidenti ragioni di proscioglimento, ancorché per motivi estintivi”.175
A prescindere dall’applicabilità della fattispecie di cui alla lett. g) o di quella di cui alla lett. a), va osservato in via generale che il pubblico ministero, invero, è libero di adottare le sue determinazioni all’esito delle indagini, ma non può mai sottrarsi all’obbligo di svolgerle e definirle nei termini processualmente previsti (sia che intenda iniziare l’azione penale, sia che richieda invece l’archiviazione).
Circa la cogenza di tale obbligo si è più volte pronunciata la giurisprudenza.
Particolarmente rilevante è l’assunto del giudice disciplinare secondo cui “il sistema del codice ha (…) escluso ogni discrezionalità soggettiva da parte del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione” e “non può determinare una disapplicazione di fatto del principio di obbligatorietà rimettendo al magistrato la scelta dei casi nei quali non solo esercitare l’azione, ma addirittura disporre le indagini”.176
La sentenza ha trovato conferma in sede di legittimità ove è stato affermato che “…i margini di relativa discrezionalità, nell’ambito dei quali può darsi la precedenza alla trattazione di un procedimento rispetto ad altro ritenuto di minore importanza, non consentivano comunque il totale accantonamento, incompatibile con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, di quello meno impellente, fino all’esaurimento del termine massimo per il compimento delle indagini preliminari”.177
Lo stesso principio è stato autorevolmente affermato anche dalla Corte costituzionale laddove - per quel che in questa sede rileva - è stato affermato che “l’archiviazione per ratio storica e per il modo in cui è disciplinata, si propone come strumento di controllo volto a verificare, in funzione di garanzia dell’osservanza del precetto dell’art. 112 Cost., che l’azione penale non venga indebitamente omessa”.178
In conclusione, nessuno può ignorare che l’obbligatorietà dell’azione penale è principio cogente ed ineludibile.
Pertanto, quali che siano le giustificazioni opposte dai pubblici ministeri incolpati, costituisce grave violazione di legge determinata da ignoranza inescusabile (ancor prima che da negligenza), il ritenere possibile l’inerzia investigativa.
Analoghi problemi di coordinamento tra le diverse norme del c.d. codice disciplinare sono sorti in tema di ritardo nella scarcerazione per decorso dei termini di custodia cautelare.
Si è ritenuto che integri la fattispecie di cui alla lett. g) il comportamento del giudice dell'udienza preliminare che abbia scarcerato un indagato con ritardo (nella specie, 51 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini della custodia cautelare, senza che possa assumere rilevanza giustificatrice che il fatto sia ascrivibile ad una mera dimenticanza di trascrizione della data di scadenza dei termini nello scadenzario personale, o che il giudice sia stato sottoposto, in quello stesso periodo, ad un gravoso carico di lavoro e vi abbia fatto fronte, dimostrando notevole produttività, nonostante la sussistenza di difficoltà familiari e personali. In particolare la Corte di cassazione ha ritenuto che “Il magistrato ha l'obbligo di diuturnamente vigilare circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini; pertanto, integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile - illecito disciplinare punito dall'art. 2, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 109 del 2006, - il comportamento del giudice dell'udienza preliminare che abbia scarcerato un indagato con notevole ritardo (nella specie, 51 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini di custodia cautelare, senza che possa assumere rilevanza giustificante che il fatto sia ascrivibile ad una mera dimenticanza di trascrizione della data di scadenza dei termini nello scadenzario personale, o che il giudice sia stato sottoposto, in quello stesso periodo, ad un gravoso carico di lavoro e vi abbia fatto fronte, dimostrando notevole produttività, nonostante la sussistenza di difficoltà familiari e personali”.179
Le ripercussioni della sentenza delle Sezioni unite sulla giurisprudenza del giudice disciplinare sono state nel senso di un accresciuto rigore interpretativo in ordine alla sussistenza dell’illecito in esame, collegata ad una ritardata scarcerazione anche di pochi giorni, se non ricorrano valide ed eccezionali cause di giustificazione.180 Si ritiene in questi casi la violazione di legge particolarmente grave, perché incide su un fondamentale diritto, costituzionalmente garantito e perché questo genere di errore giudiziario è avvertito come grave dall’opinione pubblica, particolarmente attenta ad uno dei profili più delicati e rilevanti della professionalità del giudice penale, cui spetta la responsabile sovranità sull’altrui libertà personale.
Più recentemente, tuttavia, il giudice disciplinare ha escluso la configurabilità dell’illecito per mancanza del requisito della inescusabilità della negligenza, a causa del ridottissimo organico di giudici in servizio nell’ufficio giudiziario ed a fronte della vacanza del posto di Procuratore della Repubblica.181 In altra occasione, ha ritenuto causa la “scusabilità” dell’errore del magistrato di sorveglianza, a causa delle sue gravi condizioni di salute.182
Secondo parte della giurisprudenza,183 è da escludere che tale obbligo possa esser ascritto al GIP, il quale, nella fase delle indagini preliminari e, quindi, prima che con l'esercizio dell'azione penale inizi il vero e proprio processo (art. 405 c.p.p.), è un organo di garanzia ad acta, destinato a intervenire solo incidentalmente nella suddetta fase184 nella quale, come ha osservato la Corte Costituzionale, assume la veste di “un giudice senza processo, a funzione intermittente”, che non dispone “atti d'indagine e non è a conoscenza dello sviluppo del procedimento”.185
La giurisprudenza di merito più recente ha riaffermato la responsabilità disciplinare per mancata, tempestiva scarcerazione dell’imputato anche nei confronti di un G.I.P., sebbene la Procura generale avesse chiesto il non luogo a procedere sulla base della precedente, prevalente, giurisprudenza, in quanto “il controllo relativo alla liberazione per perdita di efficacia della misura, segnatamente quando si tratti di scadenza dei termini massimi di custodia, prescinde invece dallo sviluppo delle indagini; e quindi può e deve essere decisa dal giudice per le indagini preliminari indipendentemente dai suoi interventi incidentali nel procedimento" ed "anche ai fini disciplinari, è il giudice per le indagini preliminari il magistrato che, nella fase procedimentale, ha la principale responsabilità di vigilare sulla legittima durata delle misure custodiali”.186
Le Sezioni unite hanno affermato che “anche a garanzia di un trattamento uniforme di situazioni analoghe e della prevedibilità della sanzione, la disapplicazione dal giudice, su conforme parere del P.M., dei termini previsti dalla legge di custodia cautelare, in quanto lesivo del diritto del soggetto trattenuto in carcere oltre i limiti di legge, è ‘grave’ violazione di legge sanzionabile come illecito disciplinare, salvo un’esimente connessa a circostanze di fatto o a provvedimenti che giustifichino la permanenza nella detenzione del soggetto e la sua mancata liberazione, dovendosi attribuire a gravissima negligenza del giudice ogni violazione del diritto di libertà non dovuta a cause eccezionali ovvero già determinate per legge”.187
E’ poi stato affermato anche che occorre esaminare in fatto le situazioni a fronte delle quali si è trovato il pubblico ministero incolpato per la ritardata scarcerazione dell’imputato, costituite dalle annotazioni ai registri generali della data di scadenza dei termini di custodia cautelare che, in automatico e per via informatica, vengono trasmesse dal Tribunale Ufficio G.I.P. all'Ufficio di Procura. Su tali dati può fare affidamento non solo il magistrato del pubblico ministero ma anche la segreteria addetta, come di prassi, alla attività materiale di gestione del fascicolo.188
Anche sul fronte della magistratura giudicante, si è dato rilievo, ai fini della “scusabilità” dell’errore alle disfunzioni di cancelleria.189 Sempre sul fronte della magistratura giudicante, non si è ritenuto di ravvisare la inescusabilità dell’errore, nel calcolo del termine di decorrenza del termine di custodia cautelare, quando ciò sia stata la conseguenza di un mutamento giurisprudenziale in relazione ai criteri di calcolo di detto termine.190
Interessante è poi l’intervento delle Sezioni unite laddove hanno ritenuto che integri la fattispecie di cui alla lett. g) il comportamento del pubblico ministero che non proceda all'iscrizione immediata nel registro delle notizie di reato, previsto dall'art. 335 c.p.p., della persona a cui il reato sia attribuito, trattandosi di adempimento per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità: “In tema di illeciti disciplinari riguardanti magistrati, integra la fattispecie prevista dall'art. 2, comma 1, lett. g) del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 il comportamento del P.M. che non proceda all'iscrizione immediata nel registro delle notizie di reato, previsto dall'art. 335 cod. proc. pen., della persona a cui il reato sia attribuito, trattandosi di adempimento per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità. Costituisce poi apprezzamento di merito, insindacabile in Cassazione ove sorretto da motivazione congrua, stabilire se gli elementi raccolti in sede di indagine siano o meno sufficienti ad imporre l'iscrizione del nominativo della persona, oggetto dell'indagine, nel registro medesimo. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza della sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura che aveva condannato un P.M. per non avere iscritto nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen. una persona chiamata in correità da un collaboratore di giustizia e denunciata - insieme ad altre, tutte regolarmente iscritte - per varie ipotesi di reato in esito ad un'informativa della polizia giudiziaria)”.191
Va rilevato che la giurisprudenza della Sezione disciplinare aveva in un primo tempo inquadrato la fattispecie della ritardata iscrizione nel registro degli indagati ex art. 335 c.p.p. - in ipotesi però in cui condotta era reiterata - nella diversa e più grave ipotesi del ritardo nell’adempimento di provvedimenti giurisdizionali (lett. q).192 L’orientamento prevalente si era poi attestato nella configurabilità non della fattispecie di cui alla lett. g), ritenuta all’epoca non applicabile ai provvedimenti giurisdizionali, ma di quella prevista dalla lett. a).193
La più recente giurisprudenza disciplinare, conformandosi all’orientamento di legittimità, ha ritenuto configurabile la condotta della ritardata iscrizione nel registro degli indagati con un ritardo circa decennale nell’attività investigativa nell’illecito di cui alla lett. g) e non in quello di cui alla lett. a).194
In tutti questi casi, caratterizzati dall’unicità del ritardo si è sempre posto un problema preliminare, quello del possibile rapporto di specialità o del possibile concorso tra gli illeciti previsti dalla lett. a) (“fatto salvo quanto previsto dalle lettere b) e c)” costituiscono illeciti disciplinari “i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti”) e dalla lett. g) (la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile).
La contestazione - spesso operata dalla Procura generale della cassazione - sia dell'illecito disciplinare previsto dalla lett. g) del codice disciplinare, sia della violazione della lett. a), per la cui sussistenza si richiede che la violazione dei doveri di cui all'art. 1, tra i quali è compreso il dovere di diligenza, abbia arrecato ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti è conforme a quanto statuito dalle Sezioni unite, che prevedono il possibile concorso formale tra gli illeciti.
Dunque, la Corte di legittimità si è pronunciata, a Sezioni unite, cinque volte in due anni nel senso del possibile concorso di illeciti di cui alla lett. a) e lett. g) dell’art. 2 del d.lgs. 109/2006.195
Secondo il giudice di legittimità possono sussistere tanto gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile che non arrecano danno ingiusto o indebito vantaggio ad una delle parti, ma che comunque compromettono il bene giuridico (l'immagine del magistrato) a tutela del quale è diretta la previsione di ogni illecito disciplinare, quanto, simmetricamente, violazioni dei doveri imposti al magistrato che non si traducono in gravi violazioni di legge determinate da ignoranza o negligenza inescusabile ed arrecano, tuttavia, ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti. Quando un'unica condotta del magistrato ricada nella sfera di applicazione di entrambe le norme, ricorre un'ipotesi di concorso formale di illeciti disciplinari.
Non si ignora che parte della dottrina non è concorde o non era in un primo tempo concorde,196 e che anche la Sezione disciplinare si pone in consapevole contrasto con l’orientamento di legittimità, applicando il principio di specialità, con diverse motivazioni197 e, a volte, con contrapposte decisioni, poiché talvolta si sanziona il magistrato ai sensi della lett. g), talvolta lo si sanziona ai sensi della lett. a), con diverse conseguenze in tema di gravità del trattamento sanzionatorio, laddove la lett. g) prevede come sanzione minima l’ammonimento e la lett. a) prevede come sanzione minima la censura con trasferimento d’ufficio.198
Non si ignora nemmeno che il giudice disciplinare, più recentemente, ha svolto un ragionamento molto articolato, in consapevole contrasto con l’indirizzo della Corte di cassazione.199 Secondo questo indirizzo deve escludersi che sia configurabile la lett. g) in concorso con la lett. a). In realtà la lett. g) prevede come punibile "la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile". Mentre la lett. a), richiamando l'art. 1, prevede come illecito la violazione dei doveri in esso richiamati. Sembra ragionevole ritenere che tra questa fattispecie e quella prevista dalla lett. g) vi sia rapporto di specialità, perché per un magistrato la violazione della legge è certamente un comportamento scorretto. Sicché si può ipotizzare che i comportamenti scorretti riconducibili alla lett. a) siano quelli che non integrino una violazione di legge, perché i comportamenti integranti una violazione della legge sono riconducibili alla lett. g). Sembra ragionevole tale ricostruzione, se si consideri che la violazione di legge, comportamento più grave, risulti punibile indipendentemente dalla produzione di un danno o di un vantaggio indebito per alcuna delle parti, mentre tale evento è richiesto per la violazione di doveri che non integrino la violazione anche della legge. Può darsi infatti un comportamento antidoveroso che non violi la legge. Mentre la violazione della legge è sempre un comportamento antidoveroso.
Secondo questo orientamento non è in discussione che vi possano essere violazioni di legge non dannose e violazioni dannose di doveri non imposti dalla legge. La parziale sovrapposizione tra le due fattispecie deriverebbe dal fatto che sono antidoverosi tutti i comportamenti che violino la legge. Mentre non tutti i comportamenti antidoverosi costituiscono violazione di legge. Quando si tratti di comportamenti antidoverosi non illegali, per la punibilità si esige anche l'evento di danno o di vantaggio indebito. Sicché, tra le due fattispecie v'è rapporto di specialità bilaterale, per specificazione (l'antidoverosità quale genus includente la species dell'illegalità) e per aggiunta (l'evento di danno o di vantaggio indebito), che secondo la dottrina e la giurisprudenza penali prevalenti escludono il concorso di illeciti. Quando v'è danno o vantaggio indebito, dunque, è applicabile la lett. a), qualunque sia la natura (deontologica o legislativa) della norma violata; quando non c'è danno o vantaggio indebito è applicabile la lett. g), ma solo se è legislativa la norma violata.
Invero, proprio l’argomento della specialità bilaterale, che - secondo i noti principi della “insiemistica matematica” - altro non è che specialità reciproca tra fattispecie che possono essere integrate da un nucleo comune (la grave violazione di legge) e da aspetti diversi, a confermare che è possibile il concorso tra i due illeciti. L'elemento connotante la prima fattispecie è costituito dalla conseguenza ("ingiusto danno" e "vantaggio indebito") derivante dalla violazione dei doveri primari incombenti sul magistrato, mentre gli elementi caratterizzanti la seconda fattispecie (l’inescusabilità dell'ignoranza o negligenza) attengono essenzialmente alla condotta ed all'elemento psicologico dell'illecito, sicché è la loro diversa natura di illeciti "di evento" e "di pura condotta" a comportare che un unico comportamento possa integrare entrambi gli illeciti.
Per di più, anche l’art. 5 del dlgs 109 del 2006 conferma che il concorso di illeciti è ben possibile ed il legislatore se ne fa carico solo onde graduare le sanzioni.
Responsabilità disciplinari connesse alla violazione della c.d. legge Pinto possono poi configurarsi in riferimento ai rinvii delle udienze che comportano uno sforamento dei termini di durata ragionevole dei processi.
Più recentemente la Sezione disciplinare ha ritenuto di configurare ai sensi della lett. g) le condotte di alcuni magistrati addetti alle sezioni civili di Corte d’appello che hanno dilazionato la decisione, ai sensi dell'art. 352 c.p.c., di numerose cause, la cui definizione in termini minori - secondo la prospettiva accusatoria - sarebbe stata possibile in relazione ai carichi rispettivi di lavoro, alla adeguatezza dei mezzi disponibili ed alla materia delle controversie trattate, come era reso evidente dalla circostanza che altri magistrati assegnati alle stesse sezioni degli incolpati, a differenza di costoro, alla data di accertamento dei fatti avevano rinviato, per la precisazione delle conclusioni, agli anni immediatamente successivi al 2010 oltre cento cause. Il giudice disciplinare ha ritenuto in tale occasione che la fissazione, da parte del singolo giudice o del collegio di una agenda del processo che non si limiti alla fissazione cronologica dei processi da decidere sulla base dell'ordine di iscrizione a ruolo ma la scaglioni sulla base delle caratteristiche dei processi pendenti sul ruolo, della loro difficoltà, dell'urgenza legata ad alcune vicende specifiche o alle caratteristiche del procedimento non costituisce una violazione disciplinare se la dilazione non appaia palesemente incongrua in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi.200
La qualificazione giuridica effettuata dal giudice disciplinare non è convincente. Nella prospettiva costituzionale e sovranazionale, codificata nell’ordinamento positivo dalla legge Pinto, anche i rinvii delle udienze possono comportare uno sforamento dei termini di durata ragionevole dei processi. Se questo sforamento dei termini è grave, reiterato e ingiustificato, si ricade - a mio parere - nella previsione dell’illecito di cui alla lett. q) che - come già evidenziato - non può essere interpretato, limitatamente, ai soli ritardi nel deposito dei provvedimenti, prevedendo, letteralmente, la sanzionabilità dei ritardi nell’adempimento degli atti funzionali.201
Questa soluzione interpretativa sembra trovare riscontro nella scelta del legislatore di introdurre, con l’art. 1-ter del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148l), l’art. 81 bis disp. att. c.p.c., con il conseguente obbligo, per il giudice, “quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa”, di fissare, “nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo, il calendario delle udienze successive, indicando gli adempimenti che verranno in ciascuna di esse espletati …” e di stabilire che il mancato rispetto dei termini così fissati “può” costituire violazione disciplinare (oltre che essere rilevante “ai fini della valutazione di professionalità e della nomina e conferma agli uffici direttivi e semidirettivi”). Si tratta di una disposizione non coordinata rispetto alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 109/2006, poiché non è chiaro se si tratti di una nuova figura di illecito disciplinare (che mal si concilia però con l’uso del verbo “può”, a fronte dell’azione disciplinare obbligatoria), ovvero - come sembra preferibile - se essa costituisca una disposizione riconducibile alle figure già previste nel medesimo d.lgs. n. 109/2006 e, in particolare, proprio all’art. 2, primo comma, lett. q), rispetto alla quale dovrebbe essere sistematicamente interpretata.
Peraltro, pur volendo condividere il principio di diritto enunciato dal giudice disciplinare, va osservato che, nella specie, si trattava - in quasi tutti i casi - di rinvii a udienze di precisazione delle conclusioni dilazionati a ben sette anni, per cui le violazioni di legge (artt. 81, 82 e 115 disp. att. c.p.c. sui termini relativi all'intervallo fra udienze e sull'obbligo di rinvio a "udienza immediatamente successiva"; art. 111 Cost. nel precetto, in esso contenuto, del giusto processo nella sua componente temporale della ragionevole durata; art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come costantemente interpretato dalla giurisprudenza della CEDU, secondo la quale i processi in grado d’appello non devono protrarsi oltre i due anni per la durata e, comunque, non deve protrarsi per oltre cinque anni la durata dell’intero giudizio)202 ben avrebbero potuto ritenersi “gravi” ed “inescusabili”. Gravi, perché i rinvii delle udienze non soltanto si pongono in contrasto con le norme del codice di rito che disciplinano i tempi e le cadenze processuali, ma oltrepassano ogni soglia di giustificazione che deve, di regola, ritenersi sempre superata in concreto, quando il tempo di ritardo leda il diritto delle parti alla durata ragionevole del processo, di cui alle norme costituzionali e sovranazionali vigenti, esponendo lo Stato italiano ad una possibile condanna per opera della Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Inescusabili, perché poco importa a tal fine che le reiterate violazioni non siano sintomatiche di una produttività dei magistrati incolpati inferiore a quella di altri (pochi) magistrati inseriti nelle rispettive sezioni civili della Corte. L’inescusabilità è un concetto che va inteso in termini oggettivi e soggettivi con riferimento agli autori delle violazioni di legge e la circostanza che l’azione disciplinare sia stata esercitata solo per alcuni e non per tutti i magistrati addetti alle sezioni civili della Corte d’appello non è di per sé sintomatica di una impossibilità, per i magistrati incolpati, di evitare le commesse violazioni delle norme eurounitarie, costituzionali e processuali previste a tutela delle parti e del giusto e rapido processo.
Non può aver rilievo, ai fini dell’accertamento dell’illecito disciplinare in esame la circostanza che i rinvii abnormi delle udienze non abbiamo comportato “una diminuzione del numero delle definizioni, e, di conseguenza, un allungamento dei tempi dei processi”. Non può condividersi, pertanto, l’affermazione che le dilazioni effettuate non sono palesemente incongrue in relazione ai carichi di lavoro ed alla difficoltà dei processi.203
5. I doveri specifici a carico dei titolari di incarichi direttivi o semidirettivi e le relative omissioni (lett. dd d.lgs. 109/2006).
Il tessuto normativo ordinamentale riconosce ai dirigenti degli uffici giudiziari il potere di sorveglianza sugli uffici medesimi e sui magistrati secondo le previsioni contenute nel Titolo II del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511.
Infatti, l’art. 14 del citato Regio Decreto attribuisce al Presidente della Corte di cassazione, al Presidente della Corte di appello ed al Presidente del Tribunale la sorveglianza sugli uffici soggetti alla loro direzione e sui magistrati in servizio.
Il successivo art. 16 detta disposizioni analoghe in tema di sorveglianza sugli uffici requirenti e sui magistrati ad essi addetti, assegnando tale responsabilità ai dirigenti degli uffici, rispettivamente, nazionali, distrettuali e circondariali (Procura generale della Corte di cassazione, Procure generali distrettuali, Procure della Repubblica presso i Tribunali ordinari e presso i Tribunali per i minorenni).
Sulla base dei dati normativi citati, quindi, il C.S.M.204 ha osservato come nel sistema vigente il potere di sorveglianza costituisca (o meglio abbia costituito fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 25/2006, che ha introdotto il potere di vigilanza sugli uffici da parte dei Consigli giudiziari) un proprium dei dirigenti degli uffici giudiziari, strettamente connesso e consequenziale ai loro compiti di direzione, organizzazione e gestione, in definitiva autonomo in quanto non derivato dall’iniziativa dell’autorità centrale.205
Il d.lgs. n. 109 del 2006 prevede alcune fattispecie di illecito disciplinare proprio, cioè che può essere ascritto soltanto ai soggetti indicati dalle norme, quali titolari di incarichi direttivi e semidirettivi, sanzionabili anche con la misura minima dell’ammonimento. Esse trovano il loro fondamento sia nel generale dovere di correttezza, sia nelle specifiche esigenze di garantire i controlli nel sistema del governo autonomo della magistratura (lett. dd), assicurare l’indipendente e l’imparziale esercizio della giurisdizione (lett. ee) ed aumentare l’efficienza della risposta giudiziaria negli uffici di loro competenza (lett. s).
In particolare, ai fini della presente relazione, rileva l’art. 2, secondo comma, lett. dd), il quale prevede quale illecito disciplinare “l’omissione, da parte del dirigente l’ufficio o del presidente di una sezione o di un collegio, della comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati dell’ufficio, della sezione o del collegio”.
L’illecito in questione va raccordato con la successiva disposizione di cui all’art. 14, quarto comma, del d.lgs. n. 109 del 2006.206 Ora, se la facoltà di segnalazione è propria di ogni cittadino e, generalmente, di ogni soggetto dell’ordinamento, alcuni organi o soggetti giuridici hanno un vero e proprio dovere di comunicazione di “ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare” al Ministro della giustizia ed al Procuratore generale presso la Corte di cassazione. Essi sono il Consiglio superiore della magistratura, i Consigli giudiziari e, appunto, i dirigenti degli uffici. A loro volta, i presidenti di sezione ed i presidenti di collegio, nonché i procuratori aggiunti207 hanno il dovere di comunicare ai dirigenti degli uffici “i fatti concernenti l’attività dei magistrati della sezione o del collegio o dell’ufficio che siano rilevanti sotto il profilo disciplinare”.
Dunque, dovendosi raccordare quanto previsto dalla lett. dd) con quanto disposto dal successivo art. 14, quarto comma, può affermarsi che soltanto i titolari di incarichi direttivi hanno il dovere di comunicare direttamente agli organi titolari dell’azione disciplinare i fatti di rilevanza appunto disciplinare di cui sono venuti a conoscenza proprio a causa o nell’esercizio delle loro funzioni. I titolari degli incarichi semidirettivi (presidenti di sezione, procuratori aggiunti) o anche i presidenti di collegio hanno il dovere di segnalare i fatti medesimi ai titolari dei rispettivi uffici direttivi, che provvederanno ad inoltrare la notizia dell’illecito ai titolari dell’azione. Deve ritenersi che i titolari degli uffici direttivi possano adempiere il dovere sanzionato in via disciplinare, anche trasmettendo in via gerarchica ai rispettivi organi deputati alla sorveglianza ed alla vigilanza nel distretto di appartenenza (il Presidente della Corte d’appello ed il Procuratore generale presso la Corte d’appello).
La previsione di un obbligo di rapporto a carico dei predetti soggetti è una scelta legislativa che non costituisce una necessaria conseguenza dei doveri di vigilanza e di sorveglianza. La enfatizzazione del ruolo di controllo dei dirigenti, ma anche dei titolari degli uffici semidirettivi, ha invece un duplice effetto negativo, bene evidenziato dallo stesso Consiglio superiore della magistratura in sede di parere sul decreto delegato n. 109 del 2006: da un lato, rischia di introdurre nella vita degli uffici un clima generalizzato di sfiducia e di diffidenza, dall’altro, rende difficile che i dirigenti (o i loro diretti collaboratori) possano conseguire quel livello di autorevolezza che solo può riuscire ad ottenere la necessaria collaborazione di tutti i componenti dell’ufficio, unica garanzia di un efficiente esercizio del servizio giudiziario.208
Se si pensa, ad esempio, al problema dei ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni (lett. q), si è in concreto riscontrato che la solerte denunzia ai titolari dell’azione disciplinare da parte del capo dell’ufficio tende ad aggravare (piuttosto che a risolvere) il problema che, lontano dal riguardare soltanto la responsabilità personale del singolo magistrato ritardatario, investe la funzionalità dell’intero ufficio e l’interesse dell’intera collettività (oltre che delle parti processuali) ad avere un processo giusto e rapido.
Un intervento preventivo del capo dell’ufficio che, ancor prima di trasmettere la segnalazione del fatto di rilevanza disciplinare, riesca ad attenuare le conseguenze negative dei ritardi medesimi sul flusso degli affari dell’ufficio giudiziario, magari attraverso una diversa ripartizione dei carichi di lavoro, che tenda conto più puntualmente delle direttive del Consiglio superiore della magistratura in materia,209 sarebbe senz’altro auspicabile.
E’ bene tuttavia precisare che non vi è, e non può esservi, alcun automatismo tra le segnalazioni dei soggetti a ciò abilitati e l’esercizio dell’azione disciplinare da parte dei suoi titolari, tenuti ad un preventivo vaglio circa la sussistenza effettiva degli elementi costitutivi della notizia di illecito disciplinare. Ai soggetti destinatari del dovere di cui alla lett. dd) va pertanto riconosciuto un margine di apprezzamento della rilevanza dei fatti in questione, tale da escludere la responsabilità disciplinare per mancate segnalazioni relative a fatti ictu oculi non riconducibili, in concreto, ad alcuna delle fattispecie tipiche di illecito disciplinare cui rinvia la norma medesima.210
Tale margine di apprezzamento deve ritenersi tanto più ampio in quei casi in cui la fattispecie tipica richiede una valutazione in termini di gravità, reiterazione, rilevanza del fatto, ecc. Il dovere di segnalazione, in altre parole, non può nascere sic et simpliciter dalla conoscenza del fatto senza alcuna valutazione in termini di concretezza e per la sola possibilità astratta di una sua configurabilità in una delle fattispecie tipizzate dal legislatore. Al contrario, esso sembra da ricondursi all’esito di una prima sommaria verifica della gravità del fatto, quando è richiesta, o comunque della sua non riconducibilità prima facie nella sfera della non rilevanza ai sensi dell’art. 3 bis.
Sicché, con specifico riferimento ai ritardi, il dovere di segnalazione potrebbe sussistere non per il solo fatto che i ritardi siano superiori al triplo del massimo, ma all’esito di una prima e sommaria delibazione in relazione, quanto meno, alla loro gravità e reiterazione (se non anche alla mancata giustificazione, anche se ciò potrebbe essere dubbio alla luce dell’orientamento ormai consolidato della Corte di cassazione sul tema dei ritardi).
Potrebbe quindi convenirsi con quanto affermato in uno dei due interventi del giudice disciplinare che risultano in materia, e cioè che “Non configura illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni, per grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, né per omessa comunicazione del presidente di sezione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire illeciti disciplinari compiuti da magistrati della sezione, la condotta del titolare di un ufficio semidirettivo che non solleciti formalmente il magistrato affidato alla sua attività di coordinamento a depositare tempestivamente una sentenza relativa a numerosi imputati detenuti per gravi reati, in relazione ai quali si verifichi la scadenza dei termini di fase della custodia cautelare, situazione che avrebbe potuto essere evitata con il tempestivo deposito del provvedimento, ed ometta di dare comunicazione della vicenda agli organi titolari dell’azione disciplinare, quando il processo sia di eccezionale complessità, egli conceda al giudice della sua sezione ripetuti esoneri dall’ordinario carico di lavoro, e l’ufficio sia gravato di un eccezionale carico di lavoro, in quanto tali circostanze escludono che si sia verificata qualunque inerzia nell’attività di vigilanza, tanto più che non esistono sistemi generali di monitoraggio sul rispetto dei termini nel deposito delle motivazioni delle sentenze”.211
Sulla questione sono specificamente intervenute due Circolari CSM approvate il 13 novembre 2013 (“Modifica della Circolare in materia di organizzazione tabellare - Provvedimenti da adottare per prevenire o porre rimedio ai casi di significativi ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati addetti all’ufficio” e “Definizione di compiti e responsabilità dei dirigenti degli uffici giudiziari nel caso di ritardi nel deposito di provvedimenti giudiziari da parte dei magistrati dell'ufficio”).
Secondo l’organo del governo autonomo della magistratura, nei casi di ritardi nel deposito di provvedimenti, il dirigente non ha solo compiti di informazione a fini disciplinari, ma ha anche doveri di conoscenza e, quindi, di comprensione delle cause dei ritardi, in funzione di eventuali interventi organizzativi di loro esclusiva competenza.
Se la violazione degli obblighi di informazione può rilevare sul piano disciplinare, la violazione dei doveri di conoscenza ed eventualmente di intervento rilevano sul piano della valutazione dell’attività del dirigente. Peraltro, quest’ultimo è tenuto, in sede di redazione del rapporto informativo ai fini della valutazione della professionalità, a dar conto “delle ragioni accertate dei ritardi, degli elementi utili per valutare l’eventuale giustificabilità e dei provvedimenti organizzativi adottati per rimuoverne le cause che risultino non riconducibili esclusivamente a responsabilità del ritardatario”.
E’ dunque necessario prevedere che, in presenza di ritardi, il dirigente debba accertarne le cause, ai seguenti fini: a) adempiere compiutamente agli obblighi di informazione, illustrando anche le ragioni accertate dei ritardi, in modo da fornire così elementi per valutarne l’eventuale giustificabilità; b) intervenire con provvedimenti organizzativi destinati a rimuovere le cause dei ritardi, soprattutto in quei casi in cui risultino non riconducibili esclusivamente a responsabilità del magistrato ritardatario.
In tale prospettiva, gli interventi del dirigente devono ispirarsi al principio per cui occorre adeguare, continuamente quanto tempestivamente, l’organizzazione dell’ufficio ai criteri di migliore funzionalità e di una massima efficacia ed efficienza del servizio. Invero, l’esistenza di significativi e reiterati ritardi (anche quando essi non superino per gravità la soglia della rilevanza disciplinare presunta) può rappresentare il sintomo di una possibile criticità operativa del sistema, di fronte al quale il dirigente ha il compito di intervenire quanto prima onde verificare le cause dei ritardi maturati dal singolo magistrato o dalla sezione e, conseguentemente, rimuovere i fattori eziogenetici del fenomeno.
Non v’è dubbio, ad esempio, che il dirigente debba assumere i correttivi necessari qualora risulti che la disfunzione sia dipesa da una non corretta distribuzione del lavoro giudiziario e, quindi, da una imperfetta determinazione dei criteri organizzativi.
Dunque, in tutti i casi in cui si accerti che i ritardi non dipendono da circostanze esclusivamente afferenti alla sfera professionale del magistrato, i rimedi vanno individuati, all’esito di un più approfondito esame dei flussi, con l’assunzione di un modello organizzativo più adeguato; ad esempio, attraverso la modifica dei criteri di assegnazione degli affari, il ripensamento della composizione e delle materie di competenza delle sezioni, la redistribuzione dei ruoli, l’affiancamento di giudici onorari o di giudici ausiliari ovvero l’assegnazione di ruoli autonomi ai G.O.T. in presenza di significative carenze di organico.
Peraltro, anche nei casi in cui si accerti che le disfunzioni dipendano unicamente dal magistrato interessato, a tutela degli interessi dell’utenza e del loro diritto ad una ragionevole durata del processo, il dirigente non può non farsi carico dell’eliminazione dell’arretrato patologicamente accumulato.
A tal fine deve utilizzare tutti gli strumenti disponibili, quali esoneri quantitativi, qualitativi (con previsione di adeguati meccanismi compensativi), affiancamenti, riequilibri dei ruoli, fatto salvo comunque il suo dovere di informare i titolari dell’azione disciplinare e di darne conto nei rapporti redatti in sede di valutazione di professionalità.
In tale ottica essenziale è anche il ruolo dei presidenti di sezione, che devono farsi promotori dei rimedi in concreto più opportuni. Essi, anche nel corso degli incontri ex art. 47 quater O.G., sono tenuti a curare, oltre allo scambio di informazioni sulle esperienze giurisprudenziali e l’approfondimento delle innovazioni legislative, anche il monitoraggio dell’andamento della sezione, il flusso degli affari, l’individuazione di proposte di ulteriore razionalizzazione idonee al raggiungimento degli obiettivi tabellari, eventualmente anche coinvolgendo i dirigenti della cancelleria.
La modifica della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2014/2016 (Circolare P. n. 19199 del 27 luglio 2011 - Delibera del 21 luglio 2011 e succ. mod. all’11 settembre 2013), si è attuata mediante l’introduzione di una disposizione che estrinsechi il generale dovere del dirigente di vigilare costantemente sulla funzionalità dell’ufficio con specifico riferimento alla tempestività nel deposito dei provvedimenti e, di conseguenza, di adottare i provvedimenti organizzativi necessari a superare le situazioni di criticità.
Tale nuova disposizione, consistente nell’introduzione del Capo VI bis intitolato: “provvedimenti da adottare per prevenire o porre rimedio ai casi di significativo ritardo nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati addetti all’ufficio”, è stata inserita dopo il Capo VI che riguarda i “Criteri per l’assegnazione degli affari”.
Nei relativi paragrafi si sancisce, in primo luogo, il generale dovere del dirigente di verificare la corretta funzionalità operativa dell’ufficio anche sotto il profilo della tempestività nella definizione degli affari assegnati ai magistrati.
Per l’adempimento di tale dovere si prevede una attività di verifica periodica sui termini di deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati dell’ufficio.
Essenziale, in tale fase, è il ruolo dei presidenti di sezione, tenuto conto dei compiti che ad essi competono ai sensi dell’art. 47-quater O.G. e del paragrafo 35 della Circolare.
La fase di verifica è particolarmente importante non solo per rilevare i casi in cui i ritardi significativi sono già maturati ma anche per monitorare i casi in cui, pur non essendo decorsi i termini di deposito previsti normativamente, la situazione del carico di lavoro del singolo magistrato sia tale da far prevedere che tali termini non saranno rispettati.
Ci si pone, dunque, in un’ottica di doverosità di interventi finalizzati anche a prevenire i ritardi.
Espletato il monitoraggio semestrale, nella ipotesi in cui emergano situazioni di criticità che necessitano di interventi organizzativi il dirigente dell’ufficio, sentiti i presidenti di sezione ed i magistrati interessati, dovrà adottare sollecitamente i provvedimenti necessari per porvi rimedio, indicando specificamente le ragioni e le esigenze di servizio che li giustificano.
Questo obbligo motivazionale è dovuto all’esigenza di dar conto delle differenti ragioni che possono aver determinato le criticità, responsabilizzando il dirigente nei casi in cui tali situazioni siano dovute a disfunzioni organizzative anche sopravvenute.
I provvedimenti organizzativi da adottare possono essere, innanzitutto, quelli di riequilibrio dei ruoli, già previsti dal paragrafo 57.2 in via generale per tutte le situazioni che giustificano la misura.
Essi, peraltro, possono consistere anche in una più ampia riorganizzazione dell’ufficio giudiziario con riguardo, quindi, al numero, al dimensionamento e alla competenza per materia delle sezioni.
Insomma, la verifica periodica sulla tempestività nel deposito dei provvedimenti deve costituire un’occasione proficua per una ulteriore analisi dei dati statistici relativi ai flussi ed alle pendenze in rapporto alle risorse personali e materiali di cui l’ufficio può effettivamente disporre e deve comportare l’adozione da parte del dirigente delle variazioni tabellari ritenute necessarie, finalizzate al potenziamento dei settori o delle singole sezioni ovvero al altre modifiche dell’assetto tabellare secondo moduli più razionali e coerenti.
Nella nuova normativa é stato previsto l’obbligo del dirigente di intervenire anche nei casi in cui i ritardi non siano dovuti a criticità di carattere organizzativo. In tal caso, ribadito il dovere di segnalazione dei ritardi rilevanti in sede disciplinare, il dirigente dovrà promuovere lo smaltimento dei procedimenti o processi in cui i ritardi siano maturati attraverso una specifica programmazione con il magistrato interessato e, precisamente, con un piano di rientro sostenibile sia per lo stesso magistrato sia per l’intero ufficio.
Peraltro, qualora tale programma non sia da solo sufficiente o, comunque, non sortisca gli effetti positivi auspicati, si è previsto che il dirigente adotti ulteriori misure organizzative, fra le quali la nuova circolare indica a titolo esemplificativo:
-
il parziale o totale esonero temporaneo del magistrato dall’assegnazione di nuovi affari;
-
l’esonero temporaneo da specifiche attività giudiziarie;
-
la redistribuzione dei procedimenti o processi all’interno della sezione, con l’eventuale formazione di ruoli autonomi da assegnare ai G.O.T., nel caso di significative vacanze di organico, ovvero con l’assegnazione di ruoli aggiuntivi ai singoli giudici, disponendo l’affiancamento di G.O.T., secondo i moduli organizzativi previsti dal seguente paragrafo 61.
Tali misure, che devono essere improntate a perseguire il principio di ragionevole durata del processo nell’interesse degli utenti ad una giustizia celere, devono comunque tenere conto dell’intero assetto organizzativo dell’ufficio e non devono comportare violazioni del principio di perequazione dei carichi di lavoro.
Per questo si è previsto che le misure organizzative non debbano comportare una sperequazione permanente dei carichi di lavoro tra tutti i magistrati dell’ufficio e debbano prevedere adeguati meccanismi compensativi una volta che sia stato attuato il programma di rientro.
Infine, va sottolineato che è stata espressamente prevista l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni introdotte con la recente delibera anche alla Corte di cassazione, in virtù del richiamo generale di cui all’art. 7 bis, terzo comma 3, O.G. (si veda anche il Capo X paragrafi 72 e ss. della circolare).
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Conclusioni.
Alla luce dell’esame della giurisprudenza disciplinare sin qui svolto e delle considerazioni di diritto esplicitate, possono farsi alcune brevi riflessioni, anche de iure condendo.
E’ un dato di fatto che, nell’ottica del cittadino, utente finale del servizio giustizia, il parametro più importante è quello del tempo impiegato per la risoluzione del processo, civile o penale che sia.
Del tempo impiegato per la definizione complessiva del processo e non per singoli segmenti procedurali. Sarebbe paradossalmente inutile giungere a tempi di deposito delle sentenze e dei provvedimenti in genere più brevi, se si allungassero i tempi di complessiva definizione del processo, a causa della impossibilità di meglio cadenzare l’enorme mole processuale incombente sugli uffici giudiziari. Non è così che si attuerebbero l’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e le norme sulla c.d. legge Pinto.
Quelle dei cittadini sono doglianze giuste e sacrosante. Del resto, come si è visto, sia la nostra Costituzione, sia la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, elevano il principio della “ragionevole durata del processo” a criterio sovraordinato che deve essere rispettato sia dal legislatore che dall’operatore del diritto e, in particolare, dal magistrato.
E’ vero anche che il cittadino responsabilizza del ritardo con il quale viene soddisfatta la sua domanda di giustizia sempre il magistrato, che è sì il motore del processo, ma deve fare i conti con una serie di variabili a lui non imputabili.
Queste doglianze dei cittadini e dell’opinione pubblica in genere sono senz’altro giuste e condivisibili, ma soltanto in parte. Questo perché - lo si è già detto - il presupposto ineludibile della durata ragionevole del processo è l’efficienza complessiva del sistema giustizia, cioè l’ottimizzazione delle risorse umane, economiche, di strutture e l’investimento in risorse nuove là dove sono insufficienti.
La giustizia disciplinare - come si è visto - fa il suo, interpretando le norme di legge con rigore pari ad equilibrio, alla luce proprio dei principi costituzionali e sovranazionali.
Ma tutto il resto non dipende dal potere giudiziario, tanto meno dagli organi della giurisdizione disciplinare; dipende essenzialmente dal potere esecutivo e dal potere legislativo. Per un verso, infatti, l’ottimizzazione delle risorse è un compito che spetta al Ministro della giustizia, sempre per disposto della Costituzione (art. 110) e, per altro verso, le riforme organiche - non settoriali o demagogiche - volte a migliorare efficienza ed efficacia del processo sono un compito che spetta al Legislatore.
Il decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 (“misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari”), convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 114 ed il decreto legge 12 settembre 2014 n. 132 (“Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile”), ancora in attesa di conversione in legge, non sono provvedimenti capaci di incidere effettivamente sulla durata dei processi, come lo sarebbero invece interventi sul personale di cancelleria ormai allo stremo, sulla riorganizzazione della geografia giudiziaria a completa attuazione della c.d. legge Severino (decreti legislativi 7 settembre 2012 nn. 155 e 156), interventi legislativi appropriati, tecnicamente competenti e capaci di varare norme processuali semplici, che non si prestino ad essere strumentalizzate dalla parte che ha torto.
Ma - come qualcuno ha detto - “è inutile allungare i giorni previsti per un viaggio se nessuno mette nuova benzina nel serbatoio”. Riforme che siano mirate solo a frapporre ulteriori ostacoli in relazione al compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni - come, ad esempio, quella nota con lo slogan dei “tribunali aperti tutto l’anno” - determineranno, di fatto, l’effetto opposto rispetto all’obiettivo prefissato ed allungheranno i tempi di espletamento dei singoli processi; senza ampliare l’orizzonte di osservazione alle altre cause dei ritardi, esse sono riforme destinate a non risolvere il vero problema di abbreviare i tempi processuali e a non migliorare il sistema volto alla tutela dei diritti in conformità al fondamentale principio costituzionale, mai attuato, di realizzare una eguaglianza sostanziale tra i cittadini, non soltanto in relazione alla effettività della tutela dei diritti, ma anche in relazione alla ragionevole durata di tutti i processi.
Mario Fresa sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione
APPENDICE GIURISPRUDENZIALE
(sentenze di particolare rilievo)
RITARDI gravi e reiterati (lett. q)
Casi in cui non è previsto dalla legge alcun termine.
CSM, sez. disc., ord. 23 settembre 2014 n. 149
Proscioglimento di GIP che avevano ritardato l’emissione di decreti penali di condanna, con conseguente prescrizione dei reati.
Ritardi reiterati dei PM nell’espletamento delle indagini – lett. q)
CSM, sez. disc., 20 novembre 2009 n. 165, confermata da Cass., sez. un., 5 agosto 2010 n. 18210
CSM, sez. disc., 18 maggio 2009 n. 66
CSM, sez. disc., 23 maggio 2014 n. 98
Sospensione termini feriali e mancata sospensione termini di deposito
CSM, sez. disc., 5 novembre 1992 n. 96
Ne bis in idem, limiti e inapplicabilità
Cass., sez. un., 27 febbraio 2012 nn. 2927 e 2928 (preclusione per ritardo ricadente nel medesimo arco temporale)
CSM, sez. disc., ord. 30 luglio 2014 n. 131 (idem)
Cass., sez. un., 29 settembre 2014 n. 20450 (sulla c.d. incolpazione chiusa e non aperta)
Contestazione suppletiva (ammissibilità)
CSM, sez. disc., 14 aprile 2014 n. 62
Archiviazione (possibile successiva contestazione per i medesimi segmenti di ritardo)
Cass., sez. un., 25 gennaio 2013 n. 1769
Sanzione non inferiore alla censura (dubbi di illegittimità costituzionale)
Cfr. Cass., sez. un., ord. interlocutoria 21 maggio 2014 n. 11228 (su art 13 dlgs 109)
Rilevanza del ritardo ultrannuale
Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18697 (settore civile)
Cass., sez. un., 28 marzo 2014 n. 7308 (settore civile)
Cass., sez. un., 22 settembre 2014 n. 19885 (settore penale)
Cass., sez. un., 30 settembre 2014 n. 20568 (settore civile e penale)
Ragionevole durata
C.E.D.U., 31 luglio 2001, Zannouti c. Francia
Reiterazione
Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18696 (più di una volta)
CSM, sez. disc., 11 luglio 2014 n. 142 e precedenti conformi (abitualità)
Cass., sez. un., 29 settembre 2014 n. 20450 cit. (abitualità, ma non in senso penalistico)
Rimozione
CSM, sez. disc., 16 giugno 2008 n. 70 (ritardi di sette e otto anni nel deposito della motivazione di tre sentenze penali in tema di criminalità organizzata, oggetto di più procedimenti disciplinari)
CSM, sez. disc. 21 aprile 2008 n. 40 (ostinati ritardi in sede civile, collegati ad altri illeciti concernenti rapporti personali con consulenti tecnici d’ufficio)
CSM, sez. disc., 4 novembre 2011 n. 168 (ritardi nel settore civile della Corte d’appello di un magistrato che, da circa un decennio ed anche negli uffici in precedenza ricoperti, aveva improntato la sua condotta nel senso di continui, gravi e reiterati ritardi, più volte sanzionati in sede disciplinare)
CSM, sez. disc., 19 settembre 2014 n. 150 (plurimi ritardi di sentenze civili, monocratiche e collegiali, depositate anche oltre quattro anni)
Mancata giustificabilità
CSM, sez. disc., 4 novembre 2011 n. 168 cit. (requisito intrinseco dell’illecito)
Cass., sez. un., 30 marzo 2011 n. 7193 (elemento estrinseco alla fattispecie)
Cass., sez. un., 28 marzo 2014 n. 7307 (elemento estrinseco alla fattispecie)
CSM, sez. disc., 18 gennaio 2013 n. 36 (sul cd catalogo delle situazioni di inesigibilità)
Cass., sez. un., 27 novembre 2013 n. 26550 (scelta organizzativa non di competenza del magistrato)
Cause giustificative
Stato di salute
Cass., sez. un., 24 aprile 2014 n. 9250 (grave malattia o stato invalidante di prossimo congiunto non giustifica)
Cass., sez. un., 22 settembre 2014 n. 19885 (depressione non giustifica)
Cass., sez. un., 17 maggio 2013, n. 12108 (vicende familiari risolvibili con congedi e aspettative)
Cass., sez. un., 24 aprile 2014 n. 9520 (idem)
Maternità
Cass., sez. un., 11 settembre 2013 n. 20815 (può giustificare)
Carichi di lavoro inesigibili
CSM, sez. disc., ord. 10 aprile 2014 n. 54 (possono giustificare)
CSM, sez. disc., ord. 10 aprile 2014 n. 55 (idem)
CSM, sez. disc., 6 giugno 2014 n. 104 (idem)
CSM, sez. disc., 13 giugno 2014 n. 124 (idem)
Art. 3 bis
CSM, sez. disc., 17 ottobre 2008 n. 116 (sul principio di offensività, fattispecie in tema di incarico extragiudiziario)
Cass., sez. un., 13 dicembre 2010, n. 25091 (applicabilità ad ogni illecito, anche se presuppone la gravità)
Cass., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7307 (idem, segue ad altre conformi)
Obbligo motivazione su applicazione 3 bis e limiti
Cass., sez. un., 24 aprile 2014 n. 9250 (solo su istanza dell’incolpato)
Cass., sez. un., 28 marzo 2014 n. 7307 (idem)
Ritardo unico
Nelle indagini del PM
CSM, sez. disc., 27 settembre 2012 n. 3/2013 (applica lett. g)
CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 4/2013 (applica lett. a)
Cass., sez. un., 11 marzo 2013 n. 5941 (applica lett. g)
Cass., sez. un., 9 aprile 2013 n. 11831 (cogenza e obbligatorietà)
Corte Cost. 28 gennaio 2009 n. 121 (idem)
Nella scarcerazione per decorso termini custodia cautelare
Cass., sez. un., 12 gennaio 2011 n. 507 (applica lett. g)
CSM, sez. disc., 20 gennaio 2012 n. 66 (idem)
CSM, sez. disc., 1° luglio 2014 n. 132 (causa giustificazione PM: carenza organico)
CSM, sez. disc., ord. 23 settembre 2014 n. 152 (causa giustificazione PM: stato salute)
Cass., sez. un., 23 ottobre 2003 n. 19097 (esclude responsabilità GIP)
CSM, sez. disc., 8 febbraio 2013 n. 78 (esclude responsabilità GIP)
CSM, sez. disc., ord. 16 gennaio 2014 n. 9 (afferma responsabilità GIP)
CSM, sez. disc., 20 giugno 2014 n. 134 (afferma responsabilità GIP)
Cass., sez. un., 29 luglio 2013 n. 18191 (idem)
CSM, sez. disc., ord. 23 settembre 2014 n. 148 (causa giustificazione GIP: disfunzioni cancelleria)
CSM, sez. disc., ord. 16 settembre 2014 n. 145 (causa giustificazione GIP: mutamento giurisprudenza)
Ritardo nella iscrizione nel registro indagati
Cass., sez. un., 12 ottobre 2011 n. 20936 (applica lett. g)
CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 4/2013 (applica lett. a)
CSM, sez. disc., ord. 15 aprile 2014 n. 59 (applica lett. g e 3 bis)
CSM, sez. disc., 16 maggio 2014 n. 92 (applica lett. g)
Concorso formale illeciti lett. g) e a)
Cass., sez. un., ord. interlocutoria 21 maggio 2014 n. 11228 (si concorso formale)
Cass., sez. un., 27 novembre 2013 n. 26548 (idem)
Cass., sez. un., 29 luglio 2013 n. 18191 (idem)
Cass., sez. un., 22 aprile 2013 n. 9691 (idem)
Cass., sez. un., 11 marzo 2013 n. 5943 (idem)
CSM, sez. disc., 13 dicembre 2013 n. 7/2014 (no concorso illeciti)
Rinvii delle udienze con sforamento dei termini di ragionevole durata del processo
CSM, sez. disc., 8 marzo 2013, n. 57 (applica lett. g ma esclude illecito)
Cass., sez. un., 27 gennaio 2014 n. 1516 (conferma sentenza sez. disc.)
CEDU, sez. seconda, 2 marzo 2010, Lefevre c. Italia (sulla ragionevole durata del processo)
CSM, sez. disc., ord. 9 aprile 2014 n. 96 (esclude illeciti a e g)
Omessa comunicazione di illecito da parte dirigenti uffici (lett. dd)
CSM, sez. disc., ord. 2011 n. 37 (esclude l’addebito)
CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 11 (esclude l’addebito)
1 La presente relazione riproduce ampi stralci, con integrazioni ed aggiornamenti giurisprudenziali, del libro FIMIANI-FRESA, Gli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari, Torino, 2013. Il paragrafo 3, in particolare, trae origine dal Cap. V del libro, scritto da FIMIANI, ed è stato rielaborato ed ampliato, con l’aggiornamento della giurisprudenza e con specifico riferimento all’applicazione dell’art. 3 bis d.lgs. n. 109/2006 in tema di ritardi.
2 Secondo i dati diffusi il 9 settembre 2014 dall’A.N.M., tratti dall’ultimo rapporto Cepej, “la magistratura italiana nell’anno 2010 ha definito 2 milioni 834 mila procedimenti civili contenziosi”, mentre la Francia ne ha definiti “1 milione 793 mila” e la Germania “1 milione 586 mila”.
3 L’intervento del Procuratore generale del 24 gennaio 2014 all’inaugurazione dell’Anno giudiziario è consultabile in www.cortedicassazione.it..
4 Si discute in dottrina della autonoma rilevanza disciplinare della fattispecie ivi prevista, ben potendo tale condotta essere riconducibile all’illecito di cui alla lett. q) del d.lgs. n. 109 del 2006. Cfr. BIONDI, Sviluppi recenti e prospettive future della responsabilità del magistrato, in AIC – Associazione Italiana dei costituzionalisti, n. 1, 2012, 5.
5 ESPOSITO, Intervento del Procuratore generale della Corte di cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 (del 29 gennaio 2009) in Osservatorio sul rispetto dei diritti fondamentali in Europa (www.europeanrights.eu), 2010, Newletters n.19; cfr. anche PATRONE, Il PM in Europa secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in Osservatorio…, op. cit., 2010, Newletters n.19.
6 Valori già prospettati anni addietro da FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 889; v. anche, più recentemente, SENESE, La risposta dei giudici italiani al conflitto tra gli ordinamenti, Napoli, 2008, 50 ss.; in tema di ragionevole durata del processo, cfr. tra le più recenti pronunce, CEDU, 24 aprile 2012, Mezzapesa e Plati c. Italia.
Cfr. sul punto PATRONE, “La dimensione costituzionale del diritto penale dell’UE dopo il Trattato di Lisbona”, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 7. Tra le più recenti pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo, espressive delle nuove frontiere transazionali del diritto cfr. in particolare: CEDU, 4 giugno 2013, Case of Kostecki e Case of Hanu, entrambe in tema di diritti della difesa nel processo penale; CEDU, 11 maggio 2012, Sud Fondi e altri, in tema di danno conseguente a confisca di fondi (il noto caso di Punta Perotti); CEDU, 3 aprile 2012, Sessa, in materia di libertà religiosa; CEDU, 27 marzo 2012, Mannai, in materia di espulsione di stranieri; CEDU, 23 febbraio 2012, Hirsi Jamaa e altri, in tema di respingimenti di stranieri; CEDU, 14 febbraio 2012, Arras ed altri, in tema di retroattività delle leggi di interpretazione autentica; CEDU, 7 febbraio 2012, Cara Damiani, in materia di condizioni di detenzione; CEDU, 10 gennaio 2012, in materia di danni ambientali e alla salute dei cittadini (c.d. emergenza rifiuti).
8 Cfr. Cass., sez. un., 25 gennaio 2013 n. 1769; Cass., sez. un., 19 dicembre 2009 n. 26809 (contra, l’orientamento isolato di Cass., sez. un., 5 luglio 2011 n. 14664).
9 Sul punto cfr. FRESA, “Illecito disciplinare dei magistrati. Interpretazione abnorme e dovere di riserbo, in La Nuova Giurisprudenza civile commentata, a cura di ALPA-ZATTI, 2014, n. 4, 196 ss.
10 Sulla responsabilità, non solo disciplinare, dei magistrati, cfr. tra i più recenti ZANON-BIONDI, Il sistema costituzionale della magistratura, quarta ed., Bologna, 273 ss.
11 Cfr. NATOLI, La deontologia dei magistrati, in ASCHETTINO-BIFULCO-ÉPINEUSE-SABATO, Deontologia giudiziaria. Il codice etico alla prova dei primi dieci anni, Napoli, 2006, 236/237. Cfr anche, sul codice etico della magistratura, SABATO, Il codice etico per i magistrati italiani: un esempio per l’Europa, in Cento anni di Associazione Nazionale Magistrati; DE NARDI, L’ordine giudiziario e il suo prestigio, Padova, 2002, 164.
12 Secondo le fonti fornite dal Procuratore generale della Corte di cassazione, in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario 2014, le azioni disciplinari del Ministro nel 2013 hanno subito un incremento del 127%; sono state, infatti, a fronte delle 33 del 2012, 75, delle quali 29 esercitate per ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, da cui hanno tratto origine altrettanti procedimenti disciplinari. Per tale illecito la Procura generale nel 2013 ne ha promosse 28.
14 Cfr. FANTACCHIOTTI, Profili sostanziali: le infrazioni disciplinari e le relative sanzioni, in La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, in La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, a cura di TENORE, Milano, 2010, 210.
CSM, sez. disc., 20 novembre 2009 n. 165, confermata da Cass., sez. un., 5 agosto 2010 n. 18210 (in senso analogo CSM, sez. disc., 18 maggio 2009 n. 66).
CALAMANDREI affermava che la Costituzione dovesse essere intesa come “norma cogente e vincolante per tutte le istituzioni e come solenne promessa rivolta ai cittadini e alle future generazioni di un’età di giustizia e di diritti”.
19 CSM, sez. disc., 12 aprile 2010 n. 79, che richiama genericamente giurisprudenza di segno contrario.
21 In questo senso il 15 settembre 2014 è stata da alcuni consiglieri del C.S.M. chiesta al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica sulla disciplina delle ferie dei magistrati alla luce della normativa introdotta dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132.
22 Cass., sez. un., 5 marzo 2009 n. 5283 in fattispecie di rigetto del ricorso avverso ordinanza di sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio relativa a magistrato il quale, incolpato per il ritardo nel deposito di provvedimenti civili fino a dieci anni e di provvedimenti penali fino a cinque anni, dopo essere stato condannato alla censura, aveva, nonostante nuovi solleciti provenienti dal dirigente del suo ufficio, perpetuato i ritardi in relazione a quegli stessi provvedimenti di cui già aveva tardato il deposito. Cfr., nel sistema disciplinare abrogato, anche Cass., sez. un., 18 giugno 2010 n. 14695 secondo cui la contestazione dell’addebito di ritardo nel deposito di provvedimenti giudiziari segna l’insorgere di una nuova condotta omissiva disciplinarmente rilevante, che costituisce fatto diverso rispetto al quale l’instaurazione di un procedimento e l’eventuale irrogazione di altra sanzione non sono preclusi. Cfr. più recentemente anche Cass., sez. un., 7 gennaio 2014 n. 69 e Cass., sez. un., 14 luglio 2014 n. 137.
23 Ex plurimis, CSM, sez. disc., 8 febbraio 2011 n. 39, che però ha inquadrato nell’illecito di cui alla lett. a) del d.lgs. n. 109 del 2006, per mancanza del requisito della reiterazione, il ritardo di una sola sentenza, dopo plurime condanne per violazione della fattispecie tipica in esame.
24 CSM, sez. disc., 19 maggio 2009 n. 75; 18 maggio 2009 n. 66; 6 febbraio 2009 nn. 43 e 52; 7 novembre 2008 n. 125.
25 Cass., sez. un., 21 gennaio 2010 n. 67; v. anche Cass., sez. un., 16 luglio 2009 n. 16557, in fattispecie connotata da un ritardo nel deposito di provvedimenti giurisdizionali “naturaliter ingravescente col trascorrere del tempo, sicché la non considerazione della parte di quello verificatosi prima del 19-6-2006 sarebbe stata sotto ogni profilo ingiustificata”. Cfr. anche CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 86.
Cass., sez. un., 27 febbraio 2012 nn. 2927 e 2928; cfr. anche CSM, sez. disc., ord. 30 luglio 2014 n. 131.
29 Cass., sez. un., 11 febbraio 2014 n. 25; CSM, sez. disc., ord. 30 aprile 2014 n. 69 in fattispecie in cui ha poi applicato l’art. 3 bis d.lgs. n. 109 del 2006; CSM, sez. disc., 17 gennaio 2014 n. 25; CSM, sez. disc., 11 gennaio 2013 n. 22.
30 CSM, sez. disc., 22 novembre 2013 n. 150; cfr. nello stesso senso CSM, sez. disc., 17 novembre 2011 n. 161 e, più in generale, Cass. pen, sez. prima, 8 aprile 2008 n. 17265.
34 Cfr. Cass., sez. un., 14 aprile 2011 n. 8488, che ha motivato approfonditamente sulle ragioni per le quali deve negarsi che la congiuntiva “e” possa leggersi “o”.
35 Cass., sez. un., 24 marzo 2010 n. 7000 in fattispecie, invero, dove il giudice disciplinare aveva inevitabilmente sanzionato ritardi nel deposito di sentenze civili con punte massime di più di mille giorni e numerosi ritardi erano compresi tra i 300 e i mille giorni distribuiti tra il 2004 e il settembre del 2008 (v. CSM, sez. disc., 3 luglio 2009 n. 109). Sui limiti al sindacato di legittimità v. anche Cass., sez. un., 30 settembre 2014 n. 20568, la quale ha confermato il noto principio di diritto, secondo cui “la pronuncia della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore Magistratura non può essere impugnata presso le Sezioni unite della Corte di cassazione per lamentare la diversa valutazione riservata ad altro magistrato, incolpato della stessa infrazione, atteso che la contraddittorietà della motivazione, per essere rilevante, deve emergere dalla medesima sentenza e non dal raffronto tra vari provvedimenti, seppure dello stesso giudice, ed atteso, inoltre, che il ricorso avverso le pronunce disciplinari del Consiglio non può introdurre un sindacato sui poteri discrezionali dell’organo, mediante la denuncia del vizio di eccesso di potere, avendo tali pronunce natura giurisdizionale e non amministrativa”.
CSM, sez. disc., 9 novembre 2009 n. 146; nello stesso senso CSM, sez. disc., 5 giugno 2009 n. 78 e altre.
Cfr. Cass. civ., sez. un., 18 giugno 2010 n. 14697,; Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27290; Cass. civ., sez. un., 5 marzo 2009 n. 5283; Cass. civ., sez. un., 1 ottobre 2007 n. 20602; Cass. civ., sez. un., 23 agosto 2007 n. 17916; Cass. civ., sez. un., 27 luglio 2007 n. 16627; Cass. civ., sez. un., 4 ottobre 2005 n. 19347; Cass. civ., sez. un., 22 dicembre 2004 n. 23738; Cass. civ., sez. un., 12 ottobre 2004 n. 20133; Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2004 n. 13904; Cass. civ., sez. un., 11 settembre 2003 n. 13355; Cass. civ., sez. un., 19 novembre 2002 n. 16265; Cass. civ., sez. un., 22 settembre 2000 n. 1039; a questi principi si sono costantemente uniformate numerose decisioni di merito: cfr. ex multis CSM, sez. disc., 12 marzo 2010, n. 53; CSM, sez. disc., 20 novembre 2009 n. 165; 9 novembre 2009 n. 146; 9 ottobre 2009 n. 126; 3 luglio 2009 n. 94.
SORRENTINO, L’illecito disciplinare del ritardo nel compimento degli atti d’ufficio, in Giustizia insieme, Roma, 2009, 1, 95 ss., che ha pure osservato come “in relazione a fattispecie di gravi ritardi la Sezione disciplinare sia giunta, di recente, ad irrogare in due casi la sanzione massima della rimozione”, laddove nel sistema abrogato si doveva risalire al 1993 per rinvenire un altro caso di irrogazione della massima sanzione. DI AMATO, Ritardi e responsabilità disciplinare dei magistrati: l’onda della riforma giunge in Cassazione, in Cassazione penale, 2011, fasc. 3, sez. 2, 912 ss. e, successivamente, DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati. Gli illeciti – Le sanzioni – Il procedimento, Milano, 2013, 223 ss.; cfr. anche BIONDI, Sviluppi recenti e prospettive future della responsabilità del magistrato, in AIC – Associazione Italiana dei costituzionalisti, n. 1, 2012, 3 ss.
DE NARDI, L’illecito disciplinare del ritardo nel compimento degli atti d’ufficio, in Giustizia insieme, Roma, 2009, 1, 101 ss., che ha pure osservato come le fattispecie connesse ai ritardi nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni siano alquanto numerose ed in gran parte sono state definite con sentenze di condanna. Per un prezioso excursus sulla evoluzione giurisprudenziale in tema di illecito disciplinare per i ritardi nel compimento di atti funzionali cfr. anche CAPUTO, Gli illeciti disciplinari, in ordinamento giudiziario, leggi, regolamenti e procedimenti, a cura di ALBAMONTE-FILIPPI, Torino, 2009, 729 ss. e CAVALLINI, Gli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari prima e dopo la riforma del 2006, op. cit., 99 ss.
Cass., sez. un., 23 dicembre 2009 n. 27290, cit. in fattispecie di deposito di trecentosessanta sentenze penali effettuato con ritardi tra i cento e i quattrocento giorni nel vigore, oltre che del d.lgs. n. 511 del 1946, anche del d.lgs. n. 109 del 2006. Cfr. nello stesso senso Cass., sez. un., 1° ottobre 2007 n. 20602 e Cass., sez. un., 16 luglio 2009 n. 16557.
Cass., sez. un., 18 giugno 2010 n. 14697, cit. e, successivamente, Cass., sez. un., 5 aprile 2013 n. 8360; cfr., tra le più recenti CSM, sez., disc. 11 luglio 2014 n. 142.
48 L’indirizzo rigoroso della Corte di legittimità ha trovato ulteriore conferma in Cass., sez. un., 30 marzo 2011 n. 7194, secondo cui l'esimente prevista dall'art. 3 bis del d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109 è applicabile al caso in cui al magistrato venga contestato l'illecito previsto dall'art. 2, primo comma, lett. q) del d.lgs 109 del 2006 quando i ritardi gravi e reiterati nel deposito dei provvedimenti a lui ascrivibili non ne abbiano compromesso l'immagine nell'ambiente giudiziario in cui egli opera ma anche qualora non abbiano fatto venir meno la fiducia e la considerazione delle parti che subiscono direttamente gli effetti dei ritardi medesimi. Nessun rilievo, invece, può essere riconosciuto, ai fini dell'esimente in questione, alla laboriosità del magistrato, in quanto l'art. 3 bis - secondo la citata pronuncia - fa riferimento alla scarsa rilevanza del fatto e cioè ad elemento di carattere oggettivo, non attinente alla persona.
Cass., sez. un., 23 agosto 2007, n. 17919; cfr. nello stesso senso, Cass., sez. un., 12 luglio 2004, n. 12875; Cass., sez. un., 18 ottobre 2002, n. 14832; Cass., sez. un., 22 febbraio 2002, n. 2626; Cass., sez. un., 12 maggio 2001, n. 195; Cass., sez. un., 29 dicembre 2000, n. 1334; Cass., sez. un., 22 settembre 2000, n. 1039.
Cass., sez. un., 6 dicembre 2011 n. 26138, che, in base a questo principio di diritto, ha cassato con rinvio CSM, sez. disc., 18 febbraio 2011 n. 50, che aveva ritenuto integrare la fattispecie tipica di cui alla lett. q) il notevole arretrato di un giudice per le indagini preliminari, senza effettuare la prescritta verifica.
Cass., sez. un., 14 aprile 2011 n. 8488 cit., pure in fattispecie di ritardi di un giudice per le udienze preliminari, a riprova degli enormi carichi di lavoro che gravano sui magistrati che svolgono le funzioni di GIP/GUP e mal si conciliano con i brevi o brevissimi termini processuali previsti per il deposito dei relativi provvedimenti. La successiva sentenza di condanna resa in sede di rinvio è stata poi confermata da Cass., sez. un., 12 aprile 2012 n. 5768.
v. sul punto Cass., sez. un., 5 marzo 2009, n. 5283 che, in relazione all’attività di componente della commissione d’esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense, ne ha ritenuto l’irrilevanza in sede disciplinare, ove il magistrato non abbia rappresentato agli organi conferenti la difficoltà di svolgere l’incarico per l’eccessivo carico di lavoro giudiziario.
Cfr. in dottrina DE NARDI, L’illecito disciplinare del ritardo nel compimento degli atti d’ufficio, op. cit., 105, che richiama come norme parametro costituzionali anche gli art. 101, 54, secondo comma e 24, primo comma, “il quale ultimo non assicura soltanto il diritto di accesso alle corti (unitamente al diritto ad una eventuale tutela cautelare), ma assicura altresì il diritto di ottenere una decisione giurisdizionale di merito (cfr. Corte cost. n. 123/1987) al termine di un processo che abbia avuto una durata ragionevole”.
Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18697; in senso conforme Cass., sez. un., 27 dicembre 2011 n. 28802; Cass., sez. un., 13 febbraio 2012 n. 1990; Cass., sez. un., 28 marzo 2012 n. 4943; Cass., sez. un., 26 aprile 2012 n. 6490; Cass., sez. un., 1° agosto 2012 n. 13795; Cass., sez. un., 25 novembre 2013 n. 26284; Cass., sez. un., 27 novembre 2013 n. 26550.
Cass., sez. un., 28 marzo 2014 n. 7308 (a conferma di CSM, sez. disc., 24 maggio 2013 n. 79); cfr. anche CSM, sez., disc. 11 luglio 2014 n. 142; CSM, sez. disc., 11 luglio 2014 n. 136; CSM, sez. disc., ord. 28 aprile 2014 n. 67; CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 73; CSM, sez. disc., 14 marzo 2014 n. 50; CSM, 6 marzo 2014 n. 60; CSM, sez. disc., 14 febbraio 2014 n. 34; CSM, sez. disc., 14 febbraio 2013 n. 46 e CSM, sez. disc., 21 giugno 2013 n. 103.
57 C.E.D.U., 31 luglio 2001, Zannouti c. Francia; cfr. CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 88; CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 86; CSM, sez. disc., 21 marzo 2014 n. 84.
Cass., sez. un., 22 settembre 2014 n. 19885; Cass., sez. un., 20 febbraio 2013 n. 4215; Cass., sez. disc., 10 maggio 2013 n. 64. Nello stesso senso, per un caso di ritardi, sia nel settore civile che in quello penale, Cass., sez. un., 30 settembre 2014 n. 20568.
Cfr. ex multis CSM, sez. disc. 6 giugno 2014 n. 103 sul carattere di servizio pubblico dell'attività giudiziaria, “che non può tollerare, per i cittadini destinatari dei provvedimenti, attese irragionevoli concretanti forme di denegata giustizia in violazione di quanto disposto dagli artt. 97, comma 1, e 111, comma 2, della Costituzione”.
Cass., sez. un., 22 settembre 2014 n. 19885; Cass., sez. un., 25 gennaio 2013 n. 1768; CSM, sez. disc., 3 giugno 2014 n. 115; CSM, sez. disc. 11 ottobre 2013 n. 129.
Cfr. in dottrina, SORRENTINO, I giudici-lumaca nel mirino della riforma. Linea dura sul ritardo negli atti d’ufficio - Quell’illecito disciplinare tipico e i suoi elementi costitutivi, in Diritto e giustizia, 2006, 37, 115 ss..
66 CSM, sez. disc., 8 luglio 2011 n. 111, che ha ritenuto che la gravità del ritardo vada riferita non solo all'entità di esso in termini temporali, ma anche all'importanza dei procedimenti interessati, potendo accadere ... che la particolare rilevanza degli interessi in gioco o le possibili conseguenze del ritardo... siano tali da superare anche la presunzione normativa di non gravità.
69 In tal senso SORRENTINO, Prime osservazioni sulla nuova disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, in Questione giustizia, 2007, 1, 54 ss..
70 CAPUTO, Gli illeciti disciplinari, op. cit., 735; cfr. anche Cass., sez. un., 12 aprile 2012 n. 5761 che, in una ipotesi di ritardi di un giudice del tribunale di sorveglianza, ha confermato la valutazione operata dalla Sezione disciplinare, nel senso che i ritardati depositi (con il superamento di un anno in 72 casi) eccedevano i limiti di ragionevolezza e di giustificabilità.
71 Cfr. CSM, sez. disc., 21 dicembre 2010 n. 41/11 in fattispecie in cui la gravità degli addebiti ed i precedenti disciplinari dell’incolpato hanno imposto l’applicazione della sanzione della perdita di anzianità di mesi due (l’incolpato, nell’arco di circa due anni e mezzo, aveva depositato oltre il triplo dei termini di legge, più di dieci sentenze penali, per alcune delle quali era già intervenuta condanna alla sanzione dell’ammonimento, nonché otto provvedimenti in materia di misure di prevenzione patrimoniale e undici provvedimenti in materia di misure di prevenzione personali, con ritardi, anche tenuto conto del periodo già oggetto del precedente giudizio, per una sentenza, pari, complessivamente, a 1765 giorni e per un’altra sentenza pari, complessivamente, a 1609 giorni).
Cfr. Cass., sez. un., 7 gennaio 2014 n. 69 in fattispecie in cui è stato rigettato il ricorso, per la gravità dei ventidue ritardi ultra annuali nel deposito delle sentenze, ritardi per i quali nessuna giustificazione è stata fornita dal magistrato incolpato che, sia prima che dopo tale periodo, ha tenuto comportamenti analoghi di tardivi depositi sia pure inferiori all’anno; cfr. anche CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 73, che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della norma, così come interpretata con riferimento alla “gravità” dei ritardi ultrannuali, non ponendo per ciò stesso la norma alcun automatismo in relazione all’accertamento della responsabilità dell’incolpato.
Cass., sez. un., 10 marzo 2005 n. 5213 in fattispecie di irrogazione della sanzione dell’ammonimento ad un giudice del tribunale per i minorenni che aveva omesso di sottoporre al Collegio gli atti per l’eventuale revoca del provvedimento di affidamento di un minore ai servizi sociali comunali ai sensi dell’art. 333 c.c..
Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18696, la quale ha cassato la sentenza della Sezione disciplinare (CSM, sez. disc., 8 ottobre 2001 n. 160) che, con riferimento ad un magistrato che aveva depositato cinque sentenze penali con ritardi superiori ad un anno, aveva escluso l'illecito sul presupposto che il ritardo non fosse, appunto, “abituale”. V. ora anche CSM, sez. disc., 11 ottobre 2012 nn. 140 e 141; CSM, sez. disc., 24 maggio 2013 nn. 75 e 79; CSM, sez. disc., 21 giugno 2013 n. 104.
CSM, sez., disc. 11 luglio 2014 n. 142; CSM, sez. disc., 10 luglio 2014 n. 133; CSM, sez. disc., 13 giugno 2014 n. 117; CSM, sez. disc., 6 giugno 2014 n. 104; CSM, sez. disc. 11 aprile 2014 n. 88; CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 86; CSM, sez. disc., 21 marzo 2014 n. 84; CSM, 6 marzo 2014 n. 60; CSM, sez. disc., 14 marzo 2014 n. 50; CSM, sez. disc., 25 ottobre 2013 nn. 140 e 141; CSM, sez. disc., 18 ottobre 2013 n. 131; CSM, sez. disc., 15 novembre 2012 n. 34/2013; CSM, sez. disc., 23 novembre 2012 n. 25/2013; CSM, sez. disc., 25 ottobre 2012 n. 24/2013; CSM, sez. disc., 8 novembre 2012 n. 152; CSM, sez. disc., 26 ottobre 2012 n. 146; CSM, sez. disc., 27 luglio 2012 n. 113 e 13 luglio 2012 nn. 109 e 111; nello stesso senso CSM, sez. disc., 4 maggio 2012 n. 77. Vero è che, in uno degli interventi sul tema, CSM, sez. disc., 17 maggio 2012 n. 115, il giudice di merito sembra essersi uniformato all’indirizzo di legittimità.
81 In senso parzialmente diverso sembra orientarsi CSM, sez. disc., 11 febbraio 2011 n. 34, che tuttavia parte dal presupposto, disatteso in sede di legittimità, della necessaria “abitualità” del comportamento contestato al magistrato, per cui vi sarebbe la preclusione del giudicato quando il precedente giudizio disciplinare abbia avuto a oggetto ritardi rilevati nel medesimo arco temporale e nel medesimo contesto funzionale cui si riferisca una nuova incolpazione, elevata a carico dello stesso magistrato per ulteriori episodi di ritardo riconducibili all'unitario illecito abituale oggetto del precedente giudizio, e ciò a prescindere dal fatto che nel precedente giudizio vi fosse stata l’estensione del capo di incolpazione al periodo relativo alla pendenza del giudizio disciplinare. Nella fattispecie esaminata dalla sentenza n. 34 del 2001, però, ben si giustificava l’assoluzione dell’incolpato per un diverso ed assorbente motivo: la mancata reiterazione dell’unico ritardo contestato successivamente alla sentenza passata in giudicato. Cfr. anche CSM, sez. disc., ord. 14 gennaio 2011 n. 20, che ha adottato pronuncia liberatoria perché l’azione disciplinare non poteva essere promossa per preclusione del giudicato con riferimento ad una contestazione di reiterato, grave ed ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, relativa al deposito fuori termine di provvedimenti già oggetto di addebito in un precedente procedimento. Il giudice disciplinare ha nell’occasione rilevato che anche i ritardi formalmente non contestati nel primo procedimento andavano compresi nella decisione passata in giudicato, essendoci in atti la prova che tutti i provvedimenti indicati nella contestazione erano stati depositati ancor prima che fosse adottata la richiamata decisione di condanna.
Cass., sez. un., 12 ottobre 2004 n. 20133, che aveva così argomentato, anche in considerazione del carattere circoscritto nel tempo delle circostanze che, nella prima pronuncia, avevano fatto ritenere giustificati i ritardi accumulati dal magistrato nel deposito delle sentenze.
In questo senso, v. Cass., sez. un., 27 febbraio 2012 n. 2927, a conferma di CSM, sez. disc., 25 febbraio 2011 n. 34.
84 CSM, sez. disc., ord. 8 febbraio 2001 n. 39 in fattispecie in cui la condotta omissiva, esplicitando la sostanziale insensibilità alla funzione di recupero propria della sanzione disciplinare, aveva posto l’esigenza di impedire la reiterazione dell’illecito, con una ulteriore crescita del discredito derivante dal mantenimento di una situazione di intollerabili, perduranti ritardi, e di indirizzare un avvertimento aggiuntivo nei confronti del magistrato incolpato.
Cass., sez. un., 29 settembre 2014 n. 20450, che richiama Cass., sez. un., 25 settembre 2013 n. 43221 e Cass., sez. un., 3 novembre 2009 n. 46705.
CSM, sez. disc., 16 giugno 2008 n. 70 in fattispecie di ritardi di sette e otto anni nel deposito della motivazione di tre sentenze penali in tema di criminalità organizzata, oggetto di più procedimenti disciplinari; CSM, sez. disc. 21 aprile 2008 n. 40 in fattispecie di ostinati ritardi in sede civile, collegati ad altri illeciti concernenti rapporti personali con consulenti tecnici d’ufficio; CSM, sez. disc., 4 novembre 2011 n. 168 in fattispecie di ritardi nel settore civile della Corte d’appello di un magistrato che, da circa un decennio ed anche negli uffici in precedenza ricoperti, aveva improntato la sua condotta nel senso di continui, gravi e reiterati ritardi, più volte sanzionati in sede disciplinare. Infine, CSM, sez. disc., 19 settembre 2014 n. 150 in fattispecie di plurimi ritardi di sentenze civili, monocratiche e collegiali, depositate anche oltre quattro anni.
90 Per un efficace excursus delle più rilevanti sentenze della Sezione disciplinare in relazione alla sussistenza o meno del requisito della mancata giustificabilità dei ritardi, v. SORRENTINO, L’illecito disciplinare del ritardo nel compimento degli atti d’ufficio, in Giustizia insieme, Roma, 2009, op. cit..
Cass., sez. un., 30 marzo 2011 n. 7193; Cass., sez. un., 3 novembre 2011 n. 22729; cfr. anche CSM, sez. disc., 6 dicembre 2012 n. 10/2013.
CSM, sez. disc., 4 novembre 2011 n. 168, cit. conclude nel senso che “la responsabilità disciplinare dei magistrati va definita con rigore, senza indulgenze corporative, ma anche con ragionevolezza”. Nello stesso senso CSM, sez. disc., 21 marzo 2014 n. 84.
100 Cass., sez. un., 28 marzo 2014 n. 7307; cfr. anche Cass., sez. un., 17 gennaio 2012 n. 528, che ha cassato CSM, sez. disc., 3 dicembre 2010 n. 7/2011 in fattispecie di assoluzione dall’addebito di ritardi nel deposito di 181 sentenze civili e 202 ordinanze riservate civili, spalmate in un quinquennio, in sezione distaccata particolarmente gravata di lavoro. In dottrina cfr. MARRA, Le prove che il giudice ha l’onere di presentare devono escludere l’antigiuridicità della condotta, in Guida al diritto, 2012, n. 9, 25 ss..
102 Cass., sez. un., 5 aprile 2012 n. 5444; cfr. anche CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 88; CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 86; CSM, sez. disc., 21 marzo 2014 n. 84.
103 Ex multis, CSM, sez., disc. 11 luglio 2014 n. 142; CSM, sez. disc., 13 giugno 2014 n. 117; CSM, 6 marzo 2014 n. 60; CSM, sez. disc., 14 marzo 2014 n. 50; CSM, sez. disc., 10 dicembre 2013 n. 22/2014; CSM, sez. disc., 18 ottobre 2013 n. 131; CSM, sez. disc., 24 settembre 2013 n. 109; CSM, sez. disc., 14 dicembre 2012 n. 26/2013; CSM, sez. disc., 23 novembre 2012 n. 25/2013; CSM, sez. disc., 25 ottobre 2012 n. 24/2013; CSM, sez. disc., 8 novembre n. 152; CSM, sez. disc., 26 ottobre 2012 n. 146; CSM, sez. disc., 11 ottobre 2012 nn. 140 e 141; CSM, sez. disc., 21 settembre 2012 n.134; CSM, sez. disc., 27 luglio 2012 n. 113, CSM, sez. disc., 13 luglio 2012 nn. 109 e 111; CSM, sez. disc., 14 giugno 2012 n. 103; CSM, sez. disc., 8 giugno 2012 n. 94; CSM, sez. disc., 7 giugno 2012 n. 93; CSM, sez. disc., 4 maggio 2012 nn. 77 e 90; CSM, sez. disc., 14 febbraio 2013 n. 41; CSM, sez. disc., 22 febbraio 2013 n. 50; CSM, sez. disc., 24 maggio 2013 n. 75; CSM, sez. disc. 5 luglio 2013 n. 98. Degna di menzione è pure CSM, sez. disc., 17 maggio 2012 n. 96 che, vincolata dal principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite in tema di mancata giustificabilità del ritardo nel deposito di sentenze civili superiore all’anno, ha ritenuto di dover comunque applicare l’art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006, configurando il fatto di scarsa rilevanza.
104 CSM, sez. disc., 6 giugno 2014 n. 104; CSM, sez. disc., 15 novembre 2012 n. 34/2013; CSM, sez. disc., 25 ottobre 2013 nn. 140 e 141; CSM, sez. disc., 24 ottobre 2013 n. 144 e CSM, sez. disc., 11 ottobre 2013 n. 145 (le ultime due hanno peraltro ritenuto configurabile nella specie l’art. 3 bis d.lgs. n. 109 del 2006). Altre volte, la giurisprudenza disciplinare ha affrontato il problema in modo empirico, senza sbilanciarsi sulla questione di diritto, cfr. CSM, sez. disc., 10 gennaio 2013 n. 43.
105 Cass., sez. un., 6 dicembre 2011 n. 26138, cit., in fattispecie di cassazione con rinvio per vizio di motivazione di una sentenza di condanna emessa nei confronti di un giudice per le indagini preliminari.
Cass., sez. un., 25 novembre 2013 n. 26284; Cass, sez. un., 18 luglio 2013 n. 17556; Cass., sez. un., 17 giugno 2013 n. 15124; Cass., sez. un. 13 febbraio 2013 n. 3266, Cass., sez. un., 25 gennaio 2013 n. 1770; cfr. anche CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 12/2013.
CSM, sez. disc., 18 gennaio 2013 n. 36. Nello stesso cfr. CSM, sez. disc., ord. 30 luglio 2013 n. 100.
Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18698 e, più recentemente, CSM, sez. disc., 5 aprile 2013 n. 63.
CSM, sez. disc., 18 gennaio n. 36 cit. e, nello stesso senso, CSM, sez. disc., 3 giugno 2014 n. 115.
CSM, sez. disc., 20 aprile 2007 n. 42 in fattispecie ove, a seguito di incidente stradale occorso al proprio figlio, il magistrato aveva dovuto prestare cura e assistenza.
CSM, sez. disc., 24 maggio 2010 n. 95; CSM, sez. disc., 12 marzo 2010 n. 53 (si cfr. sulla stessa situazione anche CSM, sez. disc., 28 ottobre 2013 n. 124).
118 CSM, sez. disc., 25 febbraio 2011 n. 57, che ha ritenuto il magistrato bisognoso di terapie di riabilitazione motoria, che certamente influirono sul rendimento lavorativo.
121 CSM, sez. disc., 3 aprile 2009 n. 48; CSM, sez. disc., 24 ottobre 2008 n. 119, secondo cui il ritardo può essere giustificato soltanto quando sfoci in vere e proprie patologie, quali, ad esempio, la “depressione maggiore”.
124 Cass., sez. un., 17 maggio 2013, n. 12108, in fattispecie in cui hanno escluso che la Sezione disciplinare sia incorsa nella violazione dell’art. 190 c.p.p. e dei diritti della difesa con la mancata ammissione della ulteriore prova testimoniale, richiesta dal magistrato per dimostrare di essersi costantemente ed intensamente dedicato, per i quasi sette anni coincidenti con il periodo di cui alla contestazione, ai doveri parentali nei confronti di una figlia adottiva particolarmente bisognosa di cure.
126 Cass., sez. un., 11 settembre 2013 n. 20815, a seguito della quale in sede di rinvio CSM, sez. disc., 5 dicembre 2013 n. 5/2014 è pervenuta all’assoluzione del magistrato. Cfr. anche CSM, sez. disc., 14 marzo 2014 n. 61.
CSM, sez. disc., ord. 10 aprile 2014 n. 54; cfr. anche CSM, sez. disc., ord. 10 aprile 2014 n. 55.
CSM, sez. disc., 17 ottobre 2008 n. 116, in fattispecie di svolgimento di un incarico extragiudiziario senza autorizzazione.
132 Tale principio, affermato a partire da CSM, sez. disc.,n. 116/2008 cit., è stato confermato più volte anche dalla Corte di legittimità: Cass., sez. un., 13 dicembre 2010, n. 25091; Cass., sez. un., 30 marzo 2011, n. 7194; Cass., sez. un., 23 aprile 2012 n. 6327; Cass., sez. un., 13 maggio 2013 n. 11343; Cass., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7307.
Cass., sez. un., 30 marzo 2011, n. 7194, cit., che ha cassato per il rilievo attribuito al parametro della laboriosità, CSM, sez. disc., 16 luglio 2010 n. 140, che aveva ritenuto di scarsa rilevanza “la condotta del magistrato che depositi fuori termine numerose sentenze in materia di lavoro, quando lo stesso ponga in essere un particolare impegno diretto a facilitare la conciliazione delle controversie e riesca a ridurre significativamente la durata media dei processi, e, in conseguenza di ciò, i ritardi non abbiano alcuna risonanza negativa nell’ambiente giudiziario e forense, poiché tali circostanze escludono qualunque neghittosità e l’assenza di risonanza negativa dei ritardi (nel caso di specie, l’incolpato, nell’arco di oltre sei anni, aveva depositato oltre il triplo dei termini di legge, 373 sentenze e 416 ordinanze in materia di lavoro, con una punta di ritardo massima di 511 giorni, ed aveva omesso di depositare nei termini altre 46 sentenze, con un picco massimo pari a 398 giorni)”. L’esclusione della rilevanza del parametro della laboriosità in tema di ritardi è stata, da ultimo, confermata da Cass., sez. un., 5 aprile 2013, n. 8360.
Per l’affermazione che la professionalità dimostrata dall’incolpato non può indurre a configurare la scarsa rilevanza del fatto, perché la disposizione prevista dall'art. 3-bis fa riferimento a un elemento di carattere oggettivo, estraneo alla persona del magistrato, cfr., CSM, sez, disc., 7 dicembre 2012 n. 12/2013.
CSM, sez. disc., 16 luglio 2010 n. 126 in fattispecie in cui il magistrato, nel periodo di circa sette anni, aveva depositato, oltre il triplo dei termini di legge, 517 sentenze di lavoro, con punte di ritardo superiori ai trecento giorni in oltre 80 casi e con un picco massimo pari a 834 giorni, nonché 320 ordinanze, sempre di lavoro, con un picco massimo di ritardo pari a 499 giorni.
CSM, sez. disc., 4 giugno 2010 n. 141 in fattispecie in cui il magistrato, nel periodo di circa sei anni, aveva depositato oltre il triplo dei termini di legge, 40 sentenze penali, con punte di ritardo superiori a 700 giorni in 10 casi e con picchi massimi pari o superiori a 1.500 giorni in 2 casi.
CSM, sez. disc., 17 maggio 2012 n. 96 in fattispecie in cui i ritardi nel deposito delle sentenze monocratiche oltrepassavano l'anno in 7 casi, in due dei quali superando i 1000 giorni; i ritardi nel deposito delle sentenze collegiali oltrepassavano in 7 casi i 180 giorni, in due dei quali superando i 365 giorni. Quanto alle ordinanze, in 7 casi i ritardi oltrepassavano i 6 mesi (giorni 309, 324, 325, 389, 450, 570 e 684), con punte oltre l'anno in 4 casi, in due dei quali sfiorando i due anni.
140 DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati. Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento, op. cit., 260. Tra le decisioni che valorizzano, ai fini della scarsa rilevanza del ritardo, la sua minima incidenza percentuale, cfr, anche CSM, sez. disc., 8 marzo 2013 n. 53/2013 che fa, tra l’altro, riferimento alla “personalità del magistrato (…) elemento trainante dell'ufficio”.
CSM, sez. disc., 28 settembre 2012 n. 136, in riferimento al ritardo posto in essere da un giudice, che nel periodo compreso tra il giorno 25 marzo 2003 ed il giorno 15 settembre 2008 (sottoposto ad ispezione periodica ordinaria), aveva omesso di rispettare i termini di deposito di 78 sentenze civili, di cui 59 monocratiche, 18 collegiali e 1 in grado di appello, nonché di 8 sentenze penali (pari al 14,12% delle sentenze complessivamente depositate) con un ritardo massimo pari a 892 giorni e ben 21 casi di ritardo superiore all'anno.
142 Per la valorizzazione del carico di lavoro quale elemento di fatto che consente di applicare l’art. 3-bis, cfr. CSM, sez. disc., 7 marzo 2014 n. 75, secondo cui “tanto, se non è idoneo ad elidere gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito disciplinare descritto in contestazione, rende in ogni caso l'idea di un magistrato che ha cercato in tutti i modi di fare il suo dovere, lasciando inalterato in concreto il suo prestigio, la sua credibilità e quella dell'ordine giudiziario.”
143 CSM, sez. disc., 28 settembre 2012 n. 135, conseguente alla cassazione di CSM, sez. disc., 3 dicembre 2010 n. 7/2011 da parte di Cass., sez. un., 17 gennaio 2012 n. 528.
CSM, sez. disc., 8 novembre 2012 n. 152 in fattispecie di deposito di 142 sentenze civili, di cui 14 venivano depositate con un ritardo compreso tra i 400 e gli 809 giorni; 56 tra i 200 e i 400 giorni, le restanti oltre i 100 giorni.
CSM, sez. disc., 20 dicembre 2012 n. 28/2013 in fattispecie di ritardo nel deposito di 4 sentenze penali, rispettivamente, di giorni 204, 505, 1008 e 1112.
147 Cfr. CSM, sez. disc., 17 maggio 2012 n. 96 e 16 luglio 2010 n. 140; cfr. anche Cass., sez. un., 30 marzo 2011 n. 7194.
Ex multis, CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 74, secondo cui “il fatto appare scarsamente lesivo, in considerazione della minima incidenza percentuale della reiterazione della condotta e della personalità del magistrato, descritto dal capo dell'ufficio quale elemento trainante del Tribunale di (…) e punto di riferimento dei colleghi. Si tratta all'evidenza di una situazione eccezionale, nella quale, pur in presenza di ritardi gravi e non giustificabili, la minima incidenza oggettiva della reiterazione e la personalità del magistrato sono tali da escludere una effettiva lesione all'immagine sociale dell'amministrazione della giustizia”.
Conforme, CSM, sez. disc., 24 ottobre 2013 n. 144 in presenza di un numero esiguo di ritardi superiori all'anno (diciotto, ed in tre soli casi la sentenza era stata impugnata, ma in due di questi casi l'appello era stato dichiarato inammissibile).
DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati. Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento, op. cit., 259.
CSM, sez. disc., n. 16 settembre 2011 n. 152; 23 settembre 2011 n. 156; 4 novembre 2011 n. 168; 22 marzo 2012 n. 56; 13 aprile 2012 n. 57; 15 dicembre 2011 n. 79/2012; 4 maggio 2012 n. 90; 7 giugno 2012 n. 93; 14 giugno 2012 n. 103; 13 luglio 2012 n. 109; 21 settembre 2012 n. 123.
CSM, sez. disc., 14 marzo 2013 n. 60; 25 ottobre 2013 n. 141; 22 novembre 2013 n. 150; 17 gennaio 2014 n. 25; 8 aprile 2014 n. 73.
CSM, sez. disc., ord. 29 maggio 2012 n. 72; ord. 29 maggio 2012 n. 73; 8 giugno 2012 n. 94. In generale, gli elementi in base ai quali viene esclusa la configurabilità dell’art. 3-bis sono la “ricorrenza, costanza, continuità, entità numerica” dei ritardi (CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 88; CSM, sez. disc., 8 aprile 2014 n. 86 e CSM, sez. disc., 11 marzo 2014 n. 82), ed in particolare la loro gravità e reiterazione, in sé idonei “a pregiudicare il prestigio del magistrato e dell'intero ordine giudiziario e (..) dunque preclusivi dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 3 bis del D.Lgs. n.109/2006” (CSM, sez. disc., 10 aprile 2014 n. 80).
161 Sulla gravità del ritardo oltre la soglia della ragionevolezza, quale elemento autosufficiente ai fini della configurabilità dell’illecito, in quanto di per sé espressione di una colpa, almeno in relazione ad un’errata organizzazione del proprio lavoro, pur nell’ambito del complesso delle condizioni soggettive e oggettive nelle quali il magistrato opera, cfr. Cass., sez. un., 20 febbraio 2013, n. 4215.
162 Conf. DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati. Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento, op. cit., 260, che richiama CSM, sez. disc., 20 luglio 2010 n. 138 (cassata da Cass., sez. un., 13 settembre 2011 n. 18698), della quale, però, evidenzia l’erroneità per aver verificato il rispetto della ragionevole durata del processo rispetto ad una parte dei procedimenti nei quali si erano verificati i ritardi, nonché CSM, sez. disc., n. 16 luglio 2010 126 (che parla di tempi delle procedure “accettabili”) e Cass., sez. un., 1° agosto 2012 n. 13795, in cui si evidenzia la necessità della dimostrazione che tutti i procedimenti, nei quali si sono verificati i ritardi contestati, abbiano avuto una durata ragionevole.
Cass., sez. un., 30 marzo 2011, n. 7194.
CSM, sez. disc., 21 marzo 2014 n. 84; cfr. anche CSM, sez. disc., 8 giugno 2012 n. 94, confermata da Cass., sez. un., 12 febbraio 2013 n. 3266.
165 CSM, sez. disc., 14 febbraio 2013 n. 28, cit., nonché CSM, sez. disc., 17 maggio 2012 n. 115, che però fonda il giudizio di scarsa rilevanza anche sul rilievo che “agli atti del Consiglio giudiziario non era stato, inoltre, segnalato nessun ulteriore elemento negativo a carico del magistrato in esame, né sussistevano in atti segnalazioni e/o lamentele da parte del Foro”. Quest’ultimo, anzi, aveva “particolarmente apprezzato l'impegno (…) nelle funzioni di presidente, componente di organo collegiale e giudice monocratico. Ne emerge, quindi, il profilo di un magistrato la cui immagine non è risultata menomata dalle condotte ascrittegli e che, anzi, è dimostrato essere stato sempre apprezzato, prima e dopo i fatti oggetto del presente procedimento, per la sua professionalità e capacità di affrontare le diverse emergenze lavorative con spirito di servizio e disponibilità”.
166 Conf. DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati. Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento, op. cit., 48.
CSM, sez. disc., 10 dicembre 2013 n. 22/2014. Resta ferma la possibilità per il giudice disciplinare di ritenere alcuni ritardi giustificati, applicando quanto al resto l’art. 3-bis (in tale prospettiva, cfr. CSM, sez. disc., 11 ottobre 2013 n. 145).
172 CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 4/2013. Per dovere di completezza, v. anche la più recente CSM, sez. disc., ord. 5 febbraio 2013 n. 23, che ha disposto il non luogo a procedere nei confronti di un presidente di sezione della Corte d’appello penale in relazione ad un unico ritardo determinatosi in merito ad una istanza di applicazione dell’indulto, che aveva provocato una ingiusta detenzione. La Procura generale della Corte di cassazione aveva in quel caso qualificato l’incolpazione ai sensi dell’art. 2, lett. a), ma la Sezione disciplinare non ha preso posizione sulla qualificazione dell’illecito, escludendo in radice il fatto costitutivo dell’addebito. Nello stesso senso, v. anche CSM, sez. disc., ord. 18 marzo 2013 n. 45 e CSM, sez. disc., 15 febbraio 2013 n. 48; più recentemente, CSM, sez. disc. 4 marzo 2014 n. 100, dopo aver configurato l’ipotesi della lett. a) in analogo caso di inerzia investigativa, ha poi assolto il magistrato ai sensi dell’art. 3 bis.
174 CSM, sez. disc., 1° giugno 2012 n. 92 in fattispecie di richiesta di rinvio a giudizio di 127 medici in relazione a 245 articolati e complessi capi di imputazione aventi ad oggetto i delitti di truffa e falso ideologico, tutti prescritti.
176 CSM, sez. disc. 16 aprile 2010 n. 112, che ha escluso l’illecito di cui alla lett. g) e configurato quello di cui alla lett. a), sol perché le omissioni non erano dovute a ignoranza o negligenza inescusabile, ma erano intenzionali ed avevano determinato un danno ingiusto ed un indebito vantaggio, rispettivamente, alla persona offesa ed all’indagato.
179 Cass., sez. un., 12 gennaio 2011 n. 507, confermata dalle più recenti Cass., sez. un., 12 ottobre 2012 n. 17403; Cass., sez. un., 25 gennaio 2013 n. 1767 e Cass., sez. un., 29 marzo 2013 n. 7933, che hanno pure precisato il principio secondo cui il magistrato ha l'obbligo di vigilare diuturnamente circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini. Il principio di diritto è rigorosamente seguito anche dalla Sezione disciplinare: cfr. CSM, sez. disc., 7 ottobre 2011 n. 15/12, confermata da Cass., sez. un., 7 agosto 2012 n. 14174; CSM, sez. disc., 20 gennaio 2012 n. 22, confermata da Cass., sez. un., 12 ottobre 2012 n. 17403, cit.; e ancora: CSM, sez. disc., 31 maggio 2012 nn. 98 e 102; CSM, sez. disc., 1° giugno 2012 n. 101; CSM, sez. disc., 8 febbraio 2013 n. 78; CSM, sez. disc., 19 2013 n. 85. Sulla questione dei ritardi nella adozione dei provvedimenti di scarcerazione, cfr. in dottrina DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati…, op. cit. 205 ss.
180 CSM, sez. disc., 20 gennaio 2012 n. 66, cit., ha ritenuto la configurabilità dell’illecito di cui alla lett. g) nel caso di un ritardo nella scarcerazione di cinque giorni. Tale sentenza è stata confermata da Cass., sez. un., 14 novembre 2012 n.19830. Cfr. più recentemente anche CSM, sez. disc., 9 novembre 2012 n. 157 e CSM, sez. disc., 17 gennaio 2013 n. 35.
183 CSM, sez. disc., 8 febbraio 2013 n. 78; contra CSM, sez. disc., ord. 16 gennaio 2014 n. 9, che ha rigettato la richiesta di non luogo a procedere del Procuratore generale secondo la quale il dovere del giudice di vigilare sulla persistenza delle condizioni anche temporali a cui la legge subordina la privazione della libertà personale non sussisterebbe qualora il giudice non abbia la disponibilità degli atti del procedimento. E invece proprio “il giudice che ha applicato la misura cautelare destinatario del precetto dell'art. 306 c.p.p., secondo il quale egli deve disporre l'immediata liberazione della persona privata della libertà personale nelle ipotesi in cui la custodia cautelare perde efficacia ai sensi degli artt. 299 e seguenti, indipendentemente e a prescindere dall'istanza di parte, sia esso il pubblico ministero o l'imputato”.
188 CSM, sez. disc., 14 aprile 2014 n. 71 che ha assolto l’incolpato in fattispecie di ritardo nella scarcerazione di undici giorni, segnalato dal difensore dell’imputato al pubblico ministero, subito attivatosi. In senso analogo, cfr. anche CSM, sez. disc., ord. 6 maggio 2014 n. 77.
190 CSM, sez. disc., ord. 16 settembre 2014 n. 145; cfr. anche, per un caso di rigetto della richiesta di non luogo a procedere della Procura generale in fattispecie di mancata scarcerazione nei termini di custodia cautelare da parte di un presidente di sezione, CSM, sez. disc., ord.16 settembre 2014 n. 144.
191 Cass., sez. un., 12 ottobre 2011 n. 20936. Cfr. anche Cass., sez. un., 24 settembre 2009 n. 19 che, escludendo ogni riferimento al concetto di "discrezionalità" tuttavia fa riferimento a una "naturale fluidità che presenta lo scrutinio dei fatti che concretamente possono determinare l'insorgenza dell'obbligo di iscrizione". Più recentemente, CSM, sez. disc., ord. 15 aprile 2014 n. 59, sulla base di questo principio, ha ritenuto di poter applicare l’art. 3 bis d.lgs. n. 109 del 2006 alla fattispecie di cui alla lett. g), in quanto in concreto la condotta del magistrato non aveva determinato alcun danno alle parti.
CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 4/2013, già richiamata in relazione al ritardo nelle indagini da parte del pubblico ministero.
195 Cass., sez. un., ord. interlocutoria 21 maggio 2014 n. 11228; Cass., sez. un., 27 novembre 2013 n. 26548; Cass., sez. un., 29 luglio 2013 n. 18191; Cass., sez. un., 22 aprile 2013 n. 9691; Cass., sez. un., 11 marzo 2013 n. 5943.
DI AMATO, La responsabilità disciplinare dei magistrati Gli illeciti - Le sanzioni - Il procedimento”, Milano, 2013, 208 ss.; FIMIANI-FRESA, Gli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari, Torino, 2013, 52;
Cfr, ex multis CSM, sez. disc., 9 marzo 2012 n. 32, in caso di addebiti contestati ad un giudice fallimentare.
Si è già detto delle due sentenze coeve della Sezione disciplinare (CSM, sez. disc., 27 settembre 2012 n. 3/2013 e CSM, sez. disc., 7 dicembre 2012 n. 4/2013) che hanno applicato, in situazioni uguali, l’una la lett. g), l’altra la lett. a).
199 CSM, sez. disc., 13 dicembre 2013 n. 7/2014, che conseguentemente applica la fattispecie di cui alla lett. a).
200 CSM, sez. disc., 8 marzo 2013, n. 57, che ha trovato conferma in Cass., sez. un., 27 gennaio 2014 n. 1516.
Cfr. nello stesso senso BIONDI, Sviluppi recenti e prospettive future della responsabilità del magistrato, in AIC – Associazione Italiana dei costituzionalisti, op. cit., 5.
Cass., sez. un., 27 gennaio 2014 n. 1516, nel confermare la suindicata sentenza della Sezione disciplinare, ha ritenuto che, in relazione ai fatti emersi, non vi fossero elementi per dire violato il dovere di laboriosità o per affermare che fosse dovuto a negligenza inescusabile il mancato rispetto dei termini di cui agli artt. 81, 82 e 115 disp. att. c.p.c. Le sezioni unite osservano in motivazione: se ogni giudice fissasse per la precisazione delle conclusioni “un numero di cause pari al limite delle sentenze che può redigere in un anno, non avrebbe poi spazio per poter fissare a breve le cause che presentassero connotati di urgenza. Benché vada detto che meriterebbe censura qualsiasi atteggiamento volto ad aumentare il da farsi in un più lontano futuro al precipuo scopo di alleggerire l’impegno più vicino nel tempo, come tale più probabilmente destinato ad essere adempiuto dalla stessa persona fisica del magistrato che il rinvio dispone”. Nello stesso senso, cfr. anche CSM, sez. disc., ord. 9 aprile 2014 n. 96.
205
In questo senso CSM, Circolare 13 novembre 2013 “Modifica della Circolare in materia di organizzazione tabellare - Provvedimenti da adottare per prevenire o porre rimedio ai casi di significativi ritardi nel deposito dei provvedimenti da parte dei magistrati addetti all’ufficio”.
206 Per gli aspetti procedurali cfr. FRESA, “Profili procedurali: il procedimento disciplinare innanzi al CSM: iniziativa, istruttoria, conclusione”, in La responsabilità disciplinare nelle carriere magistratuali, a cura di TENORE, Milano, 2010, 353 ss..
207 La previsione che anche i procuratori aggiunti hanno l’obbligo di comunicare agli organi titolari dell’esercizio dell’azione disciplinare ogni fatto astrattamente idoneo ad assumere rilievo disciplinare è il frutto dell’intervento della legge 24 ottobre 2006 n. 269, a modifica dell’art. 14 del d.lgs. n. 109 del 2006.
209 V. ad esempio la risoluzione C.S.M. del 7 settembre 2011 in tema di standard di rendimento ed analisi e sperimentazione per gli uffici di primo e secondo grado e, più recentemente, la circolare C.S.M. P10356 del 4 maggio 2012 in tema di carichi esigibili.
210 Così CAPUTO, Gli illeciti disciplinari, op. cit., 744. Nello stesso senso, FANTACCHIOTTI, Profili sostanziali: le infrazioni disciplinari e le relative sanzioni, op. cit., 221.
211 CSM, sez. disc., ord. 2011 n. 37; nell’altro più recente caso CSM, sez. disc., 11 aprile 2014 n. 11 ha escluso in radice la configurabilità dell’elemento materiale dell’illecito, assolvendo il dirigente per essere stati esclusi gli addebiti.