L'intervento del ministro mi ha lasciato esterrefatto. Più che un dialogo tra sordi mi pare che si tratti di un dialogo tra assenti, cioè di un non dialogo.
Alla richiesta di chiarire le ragioni per le quali la riforma dell'O.G. approvata in Senato costituirebbe una riforma "epocale", ci è stata fornita, assieme ad una sfilza di numeretti che avrebbero dovuto dimostrare l'impegno del Ministro nell'onorare i suoi doveri costituzionali (ma che in realtà sono facilmente manipolabili e comunque quotidianamente contraddetti dalla nostra esperienza quotidiana nelle aule di giustizia), l'incredibile spiegazione che si tratterebbe soltanto di una possibilità in più offerta ai "magistrati scrittori" di mettere a profitto le loro doti e quindi di fare, se credono, un paio di concorsi in più.
Sforzandoci di instaurare un minimo di effettivo contraddittorio scopriamo poi nelle dichiarazioni alla stampa del responsabile per la Giustizia del partito di maggioranza relativa quale sarebbe la reale importanza della Riforma. Si tratterebbe in sostanza di rimuovere le vere cause della lentezza dei processi, e cioè quelle norme dell'O. G. vigente emanate - si badi bene - per attuare almeno in parte la VII Disp. Trans. della Costituzione - che hanno abolito la previgente disciplina Grandi della carriera gerarchizzata e per concorsi.
Con questa affermazione si compie in realtà una doppia mistificazione: 1) perché si afferma, contrariamente al vero, che la causa della lentezza dei processi risiede nell'incultura e neghittosità libresca dei magistrati (che andrebbero invece certamente valutati secondo più concreti e moderni canoni di professionalità specifica, vedi infra); 2) perché si promette improvvidamente (e seguendo misteriosi percorsi logici che non è dato ricostruire ) agli utenti, che rimandando i magistrati davanti alle commissioni d'esami si avranno processi più rapidi ed una generale maggiore efficienza della "macchina giudiziaria".
Tornando al nostro Ministro, credo sia opportuno richiamare i contenuti del suo ben più lungo ed articolato intervento al recente convegno di Verona di M.I.. In quella occasione abbiamo infatti appreso che poiché negli anni 50 i processi duravano meno … si pensa di risolvere i problemi di efficienza e rapidità tornando alle regole degli anni 50 (con buona pace peraltro della VII disposizione transitoria che quelle regole aveva già riconosciute incompatibili con i nuovi principi costituzionali sulla giurisdizione ). Una sorta di conto della "serva", che ignora tutte le altre varianti del problema e si guarda bene soprattutto dall' assicurare la fondamentale precondizione del "ceteris paribus", viene così contrabbandato con il Metodo Gaileiano ( che prevede, lo ricordo, la dimostrabilità di una teoria attraverso la ripetibilità in vitro di una determinata serie causale): è come se per risolvere il problema del traffico odierno si pensasse di abolire le autostrade ritornando alle vecchie strade statali dei primi anni 50 (in un'epoca in cui gli autoveicoli erano ancora un quasi esclusivo appannaggio delle famiglie agiate), quando non si rischiava certo di rimanere imbottigliati nelle interminabili code che oggi (con almeno due/tre veicoli per nucleo familiare medio ) ci tormentano .
I moderni riformisti di oggi non hanno quindi nessuna paura di passare per anacronistici laudatores temporis acti, e ignorano allegramente tutte le vere, fondamentali cifre determinative dell'incognita "durata del processo" (rapporto prodotto/addetti, mezzi strutture e collaboratori disponibili , e ancor di più procedure normative , cioè quello che nei processi produttivi industriali decide di buona parte delle sorti qualitative e quantitative del prodotto , il c.d. Know How).
La statistica, che è una razionale elaborazione di dati certi ed omogenei, a questo punto non c'entra nulla, e siamo di fronte soltanto ad un uso perverso e strumentale di numeri estratti a piacimento dal caleidoscopio delle finalità politiche del Governo.
Quanto detto dimostra che non c'è purtroppo molto da sperare dal dialogo con l'Esecutivo e che bisogna con forza ritornare, attraverso il fondamentale metodo dell'autocritica, al confronto dialettico con tutti gli operatori del diritto, avvocati e personale, sforzandoci di mettere il più possibile in risalto le cose che ci vedono consenzienti e di accettare una serena discussione su quelle che ci dividono. Se in particolare ad es. le recenti articolate proposte dell'ANM in materia di valutazione di professionalità possono servire ad avviare il necessario superamento di ciò che Gaetano Silvestri ha efficacemente chiamato l'ormai inaccettabile criterio della progressione in carriera "per anzianità senza gravi colpe", e se si è d'accordo nel rifiutare la militarizzazione delle Procure e la banalizzazione della attività di interpretazione delle norme, cominciamo a parlare di questo e a far progredire i relativi progetti ed intese. Ma affrontiamo pure ciò che sembra dividerci e dibattiamo di separazione delle carriere o distinzione delle funzioni, possibilmente però con realismo prendendo atto che, per esempio, sempre a Verona il Ministro Castelli ha dichiarato che la separazione delle carriere dovrà pur consentire di porre all'o.d.g. la questione della dipendenza del PM dall'Esecutivo, visto che, a suo dire, gran parte della moderna Europa è così felicemente organizzata.
Poiché, invece, gli amici avvocati sostengono di essere strenuamente contrari ad ogni limitazione dell'indipendenza del PM (e non vi è ragione di non credere alla loro buona fede) proviamo a dibattere serenamente il problema e a vedere se ad esempio si tratta solo di una pia e pericolosa illusione o di una reale e perseguibile possibilità . Il tragitto comune può comunque essere molto più lungo di quanto non si crede.
Nino Condorelli
(presidente del movimento per la giustizia)