Bernardo Petralia Proc.re della Rep.ca di Sciacca
Testo dell’intervento al Congresso ANM
Siamo tutti convinti che prima o poi dovremo confrontarci con il nuovo
ordinamento giudiziario.
Alla resa dei conti, qualcuno dovrà dirci se applicarlo o disattenderlo. Per
sospensione o per totale abrogazione della legge. Aspettiamo dunque di capire,
di conoscere l’esito di questo rilevante verdetto.
In particolare voglio qui riferirmi al decreto che concerne il pubblico
ministero.
Certo - e parlo proprio da pubblico ministero - sconvolge alquanto apprendere da
quella decretazione delegata di un assetto che prevede un’organizzazione
dittatoriale del procuratore capo, l’assoluta obliterazione dell’apporto, del
contributo, dei pareri dei colleghi sostituti nella redazione del programma
organizzativo. Proprio questi che stiamo vivendo sono giorni, come dire, di
tabelle, siamo tutti impegnati nella formulazione dei progetti organizzativi
c.d. “tabellari” e sappiamo benissimo quanto sia importante lo scambio continuo
tra i colleghi di ogni ufficio, le riunioni congiunte anche col personale
amministrativo, protagonista non ultimo del risultato finale cui ogni ufficio
deve tendere dandosi un’organizzazione, un assetto.
Tutto verrà sconvolto: tra tante novità, il procuratore-principe godrà di un
potere di revocabilità assoluta, indiscriminata, delle deleghe date ai singoli
sostituti. E’ vero, si dice nel decreto che il procuratore dovrà motivare le sue
scelte espropriative; per carità, i sostituti controinteressati avranno facoltà
di interloquire con osservazioni ma tutto andrà poi rimesso alla decisione
suprema del Procuratore generale della Cassazione il quale tutt’al più potrà
assumere iniziative - anch’esse poco chiare - limitate al versante disciplinare.
Nulla invece sarà deciso, e nulla si saprà, in ordine all’incidente connesso
alla revoca disposta dal procuratore.
Sappiamo inoltre da una rinnovata e per certi versi più agguerrita
programmazione politica diffusa in questi giorni che la separazione delle
carriere, da virtuale e strisciante, potrebbe diventare legge. E si prevede fin
d’ora la “clonazione” di un secondo Consiglio Superiore della Magistratura da
destinare a quella branca ormai separata che sarà quella dei rappresentanti del
pubblico ministero.
Tutto ciò, se applicato a regime, avrà un costo altissimo per la giustizia e
soprattutto per le conquiste delle democrazie liberali che ci hanno consegnato
una figura alta di giudice, come amiamo dire “senza timori e senza speranze”,
cioè un giudice libero da ricatti disciplinari e da condizionamenti di carriera,
che ha come unico limite il vincolo costituzionale della soggezione alla legge.
Una figura che sarà purtroppo destinata a scomparire.
Tuttavia, se pur saremo costretti ad attuare tutto questo, sono convinto, per
quella quota residuale ma ancora vigorosa di fiducia che ripongo nella
magistratura, che tale riforma non basterà a piegare la coscienza ed il rispetto
alto per la storia passata e presente della magistratura: il futuro procuratore,
il futuro dirigente “per bene”, potrà ancora sforzarsi di fare buon governo dei
rinnovati poteri che le riforme ordinamentali stanno per consegnargli.
Faccio questa premessa per affermare che ciò che più mi allarma - e che deve
allarmare tutti noi - al di là del nuovo ordinamento in punto di assetto degli
uffici di procura, è l’esistenza di uno scenario ben più vasto e articolato, in
cui la riforma ordinamentale altro non è che un tassello di un più generale
depotenziamento dei poteri inquirenti, endoprocedimentali ed endoprocessuali,
del procuratore della repubblica. Depotenziamento che passa per ulteriori e
recenti novità normative che hanno letteralmente sfiancato ed avvilito le
prerogative investigative e di risultato del pubblico ministero.
Mi riferisco all’incremento ed all’eccessiva enfatizzazione dei poteri della
polizia giudiziaria. Si pensi alla riforma Pisanu sull’uso “contratto” della
polizia giudiziaria per le notifiche del p.m.; una riforma apparentemente
banale, apparentemente un piccolo dettaglio irrisorio, ma a cagione della quale
c’è già, invece, una ricaduta enorme sulle indagini del pubblico ministero, sui
suoi tempi e sui rischi di invalidità. Una ricaduta concreta e negativa. E nella
medesima riforma, assistiamo anche ad una subliminale novità passata un po’
sotto silenzio: un ritocco “culturale” sull’istituto della delega che il p.m.
può dare alla p.g.; parrebbe oggi, proprio in conseguenza di quella riforma, che
la polizia giudiziaria - nei contesti ordinari, non di mafia e terrorismo - non
sia più ancorata e vincolata all’obbligatorietà della delega. Probabilmente sta
per avere termine quella figura di polizia giudiziaria,, quel particolare ruolo
di braccio esecutivo - una sorta di “continuum” operativo - del pubblico
ministero.
E che dire poi della riduzione dei fondi che riguardano l’assistenza informatica
presso gli uffici giudiziari? Inoltre, si sente parlare di un taglio addirittura
del 50% delle spese d’ufficio, sicchè non si potrà far più nulla di veramente
utile; e comunque nulla, o ben poco, di ciò che si è fatto finora.
Nel mio piccolo ufficio di procura, per fare qualche esempio, ci siamo abbonati
ad alcune riviste non “ministeriali”, per un aggiornamento che riguardi un po’
tutte le tematiche del nostro lavoro d’ufficio. Ogni sostituto riceve
settimanalmente un aggiornamento costante che, ovviamente, è condizionato dalla
conoscenza che l’ufficio ha delle plurime pubblicazioni del settore. Se il
“plafond” delle spese scenderà, giocoforza si contrarranno le conoscenze e
l’aggiornamento collettivo ed individuale ne risentirà. Toccherà abbonarci
personalmente se non intenderemo rinunciarvi.
Insomma, dovremo cercare di far fronte alle enormi difficoltà gestionali che il
deficit di erogazione economica ha già generato e che probabilmente, di qui a
poco, genererà in modo deflagrante. Sarà un ulteriore e non indifferente aspetto
di un sistema giustizia che si avvia gradatamente a forme di scadimento sempre
più evidenti.
E che dire, poi, dei progetti di riforma dell’art. 192 c.p.p.? Ed ancora, dei
sempre più annunciati interventi normativi sullo strumento delle
intercettazioni, ormai unico veicolo di consolidamento probatorio che il p.m. ha
a disposizione e che è in grado di offrire al giudice in modo efficace e
stabile? Tutti sappiamo, infatti, che anche dieci testi oculari sono pressocchè
nulla se nel dibattimento non confermano; oggi anche le misure cautelari sono a
rischio se adottate sulla sola scorta di resoconti di tipo testimoniale.
Che dire inoltre del giudice di pace? Oggi, ancora grazie alla legge Pisanu,
abbiamo tolto alla polizia giudiziaria quell’importante compito di ausilio al
processo che essa svolgeva esercitando di fatto l’azione penale e partecipando
autonomamente al giudizio. Tutte le incombenze che gravavano utilmente sulla
polizia giudiziaria - ricordate la grande enfasi che ha accompagnato il varo
della riforma sul giudice di pace penale? - oggi sono ricascate sul pubblico
ministero. Dall’oggi al domani; e con ricadute operative non indifferenti che
alcuni procuratori di questa repubblica hanno subito coraggiosamente contestato
al ministro in documenti formali.
Un pubblico ministero, dunque, privato dei mezzi e dei poteri concreti
d’intervento sulle indagini e sul processo, meno forte rispetto alla polizia
giudiziaria, potrà anche divenire un gerarca, ma sarà un gerarca limitato alla
gestione di una quotidianità banale, assai lontano dal modello di “illuminato
inquirente” che fin qui i codici e le leggi hanno preteso fosse il pubblico
ministero, non più di tanto interessato ad una ricerca convinta della prova,
sempre più destinata, quest’ultima, a coincidere con la “flagranza”, prova sì
suprema, ma prova sostanzialmente in mano alla polizia giudiziaria ed alla quale
il p.m. accede con compiti secondari, un po’ subalterni.
E allora, a quel punto probabilmente non interesserà più ad alcuno porre il p.m.
sotto l’esecutivo; tutt’al più, basterà controllare la nomina di quattro, cinque
procuratori di sedi cardine in Italia e avremo risolto il problema giustizia
nell’ottica di chi non vuole e non tollera i contraccolpi di quella “fastidiosa
legalità” che pochi illusi continuano a guardare come un traguardo di vera
democrazia.
Da una parte, quindi, un’azione penale facilmente controllabile, imbelle,
assolutamente inefficace; dall’altra, un pubblico ministero, un magistrato,
relegato nell’angolo, reso timoroso e conservatore da un carrierismo pervasivo e
continuamente minacciato da sanzioni disciplinari destinate a renderlo non
interprete della legge, bensì piccolo burocrate capace solo di applicare al caso
concreto la più che consolidata giurisprudenza.
Tra l’altro, se vogliamo poi parlare di sanzioni disciplinari discutibili,
basterebbe un cenno, ad esempio, al rischio che tutti noi correremo innanzi
all’estrema genericità di un precetto - qual è, tra gli altri, quello scritto
nel nuovo ordinamento - che mirerà a sanzionare gli eventuali coinvolgimenti in
“attività di centri di potere politico” che, a ben vedere, è formula solo
apparentemente simile ma nella sostanza assai diversa da quella inaugurata nel
codice etico dell’ANM del 1993, ossia il coinvolgimento diretto in “centri di
potere politico”.
E’ dunque necessario ed urgente che tutti noi ci si batta in ogni modo e con
tutti i mezzi legittimi per scongiurare il peggio: raccolte di firme, ricorsi
alla Corte costituzionale, rinnovato impegno dell’attuale e del prossimo C.S.M.,
attività persistente di pungolo e di intelligente protesta dell’ANM.